LECCO – Si accavallano in queste settimane lecchesi appuntamenti che hanno i giovani per protagonisti e, leggendoli in filigrana si coglie un fervore carico di prospettive.
Lontano da me l’idea di sottovalutare o minimizzare quella radiografia del disagio giovanile che fatica a evolvere e a portarci fuori dalle secche della disoccupazione e dello scoramento, talvolta incline a preoccupanti derive psicologiche. Non sono due mondi opposti, ma il variegato spettro della gioventù che per definizione non può avere una grafica piatta.
Parto dall’incontro al Politecnico – della scorsa settimana all’interno dei “Dialoghi di Vita Buona” – durante il quale, tra centinaia di giovani di diversa estrazione e disciplina, sono venuti a galla puntuali rilievi e specifiche richieste, in un contraddittorio che è lo specchio del momento che stiamo vivendo. Il Comune non può non essere coinvolto da una domanda precisa che chiede se Lecco sia una città per i giovani. Lecco è una città giovane per storia, affrancatasi dall’antico borgo e proiettata a ritornare quel cardine strategico della Lombardia, da sempre riconosciuto a livelli sovraccomunali, ma spesso trascurato quando si è trattato di investire in infrastrutture nei collegamenti. Forse si è creduto che la conquista dell’autonomia provinciale fosse di per sé volano per la crescita, con tutto quell’armamentario istituzionale ed immobiliare sul quale forse ci si è adagiati, pensando bastasse una targa per guadagnarsi un rango. Ora siamo alla svolta e io dico che Lecco è una città per giovani se sappiamo riconoscere e incanalare le energie, se al successo delle nostre scuole superiori e del Politecnico sappiamo affiancare altre opportunità, altri indirizzi legati allo sviluppo futuro di Lecco e del territorio.
E ancora, come non leggere come risorsa la vitalità delle decine di società sportive che anche quest’anno hanno raggiunto prestigiosi traguardi: in primis hanno completato quel processo educativo che spesso trova le Istituzioni, la scuola e le famiglie non in grado da sole di svolgere appieno ,quella che per molti volontari è ancora una risorsa.
Infine domani, sabato alle 17, a suggellare questo trittico, a conferirgli solidità e sostanza, ci sarà in piazza Garibaldi (all’interno della manifestazione “La Piazza degli Studenti”organizzata in collaborazione con la Consulta provinciale degli studenti di Lecco e gli altri enti del territorio) la consegna ai neo diciottenni della Carta costituzionale e del discorso diPiero Calamandrei del 1955 tenuto a Milano e rivolto ai giovani. I saldi principi e i valori indelebili sono il patrimonio sul quale costruire il futuro di un patto generazionale, di solidarietà condivisa resa necessaria dalla constatazione che naufragate le ideologie, vacillanti le idee, ai giovani abbiamo il dovere di lasciare gli ideali e operare perché non restino appesi all’albero delle buone intenzioni. Vi lascio con un passaggio significativo del discorso di Calamandrei.
Piero Calamandrei
Discorso sulla Costituzione
Milano, 26 gennaio 1955
“L’articolo 34 della Costituzione dice: «I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». Eh! E se non hanno i mezzi? Allora nella nostra costituzione c’è un articolo che è il più importante di tutta la costituzione, il più impegnativo per noi che siamo al declinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a voi. Dice così: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
È compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’articolo primo – «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro» – corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto un’uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società.
E allora voi capite da questo che la nostra costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di un lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinanzi!…”