LECCO – “Sono passati solo alcuni giorni dalla celebrazione della giornata del rifugiato. L’occasione è stata ghiotta per vedere per l’ennesima volta schierarsi respingitori e accoglientisti. L’un contro l’altro armati e pronti, almeno mediaticamente a uno scomunicarsi reciproco.
I primi con ragionamenti campati per aria o del tutto strumentali o entrambe le cose, per utilizzare la situazione e dire un No alla presentazione al Senato della legge sullo jus soli, e lucrare qualche voto in più al prossimo ballottaggio elettorale ; i secondi fermi all’idea che basti accogliere e per vedere i problemi, per la gran parte, risolti.
Per quanto mi riguarda nessuno dovrebbe morire in mare anzi il mare non dovrebbe diventare una inutile pena per un’inutile strage. Quasi una guerra di cui noi siamo, però, responsabili. Per me chi chiede asilo, senza distinzione alcuna tra aventi diritto perché rifugiato e immigrati per ragioni economiche dovrebbe essere trasportato in piena sicurezza in Italia e da qui, quando lo vogliano, in Europa.
Ma non mi va nemmeno bene, chi proclama che l’ integrazione si otterrebbe semplicemente togliendo i migranti dagli attuali campi di concentramento dove sono affidati alle mani amorevoli, quanto interessate e agguerrite di cooperative sociali. Fanno bene i vescovi a lanciare il loro appello per l’accoglienza, ma l’accoglienza da sola non basta soprattutto se si trasforma in un accompagnamento securitario e coercitivo dei migranti ,lautamente retribuito. Ovviamente a favore di strutture del cosi-detto terzo settore. Ma l’integrazione nemmeno si raggiunge con l’accoglienza detta diffusa. Di cui Lecco, a parole, avrebbe fatto l’ apri pista Sembra questa essere piuttosto un modo per aumentare i metodi di controllo. Per renderli più efficienti. E capillari. Impossibile pensare che l’integrazione debba avvenire valorizzando le comunità migranti di chi si è riconosciuto tale facendo l’esperienza attuale della migrazione. Bisogna dividere migrante da migrante per evitare problemi. Mentre i soldi dovrebbero essere dati direttamente a loro perché se li autogestiscano e possano vivere in appartamenti come fanno coloro che hanno già un permesso di soggiorno o hanno richiesto, dopo dieci anni di residenza, la cittadinanza italiana. Anche se tutto questo non risolve i problemi di autonomia e di reddito non assistito. Non risolve cioè il problema del lavoro. Che non è solo un problema che riguarda i migranti. E che deve trovare una soluzione per tutti. Senza dover dar vita all’industria della guerra tra non occupati, noi e loro che ci portano via il lavoro.
E tuttavia non vale la tesi di chi vorrebbe respingere questi migranti, primo perché il costo dei respingimenti è insieme impossibile e costosissimo. Chi viene respinto ha solo una funzione di deterrenza esemplare. Secondo perché non basta il respingimento nell’improbabile luogo di provenienza. Facile dire, aiutiamoli a casa loro. Perché chi dice questo non sa che chi emigra lo è a causa di quelle leggi di crescita economica di modernizzazione o di globalizzazione che a loro modo di vedere dovrebbero invece salvare. Succede come è successo da noi negli anni 50 e 60 del secolo scorso. Le ristrutturazioni economiche dell’agricoltura allora in atto ed esiti più che prevedibili di un sistema economico modernizzatore, erano la causa prima della migrazione dal Sud al Nord. Così è oggi.
Si invoca a questo proposito un presunto neo piano Marshall che la Germania e con lei l’Europa metterebbe in atto; non si vede come la cosa sia alquanto improbabile nonché contradditoria. La Germania, al posto di produrre avanzi in Europa dovrebbe farsi locomotiva solidale dello sviluppo, e attraverso questo produrre eventualmente occupazione , quell’occupazione che dovrebbe riguardare indifferentemente migranti e non migranti. Al posto di politiche economiche restrittive, che chiede ai suoi partners europei, dovrebbe procedere a liberare questi ultimi dai “lacci e lacciuoli” di queste politiche economiche. Solo dopo è pensabile un Piano Marshall per l’Africa, ammesso e non concesso che i risultati che si otterrebbero fossero davvero strutturali e duraturi. Per evitare quello che è successo ancora in Italia. Dove l’emigrazione dal Sud ha ripreso, ancora, oggi, a galoppare”.
Alessandro Magni