LECCO – Continua il dibattito sulla società mista, a capitale pubblico e privato, per la gestione dei servizi sociali. Una proposta avanzata da Lecco per i comuni che ne condividono l’ambito territoriale e che sarebbe la prima sperimentazione in Italia. Dopo la lettera dei sindacati, con le proprie perplessità sul tema, pubblichiamo la risposta alle organizzazioni sindacali nella comunicazione a firma del presidente e vicepresidente dell’Ambito distrettuale di Lecco:
“Nel prendere atto delle osservazioni formulate dalle Organizzazioni Sindacali, nello spirito collaborativo e aperto che ha guidato il lavoro svolto dall’Ambito, evidenziamo quanto segue, ripercorrendo l’ordine delle questioni poste dalla Vostra nota:
1) Necessità di garantire servizi omogenei su tutto il Territorio.
L’obiettivo di garantire servizi omogenei su tutto il territorio provinciale è perseguito dai Comuni fin dai Piani di Zona 2012-2014, attraverso l’individuazione di un’ “area comune” ampliatasi con il Piano di Zona Unitario del 2015-2017. Questa scelta ha permesso di condividere non solo la realizzazione di servizi comuni (es. Servizio Affidi, Servizio Lavoro, Disabilità, Adulti, Formazione, Servizi antiviolenza ecc..), ma anche di fissare regole, criteri, modalità condivise (regolamento ISEE, piano operativo DGR, SIA, “Dopo di noi”, criteri di accesso ai servizi adulti, disabili, formazione giovani, accreditamento ecc.). Il Piano di Zona Unitario individua l’obiettivo di giungere al Piano di Zona Unico ma, come illustrato dal Presidente del Distretto dott. F. Galbiati nella recente Assemblea dei Sindaci, questo risultato avrebbe richiesto un approfondimento anche con Regione Lombardia che non ha avuto luogo in questi anni e una condivisione politica sul capofila dell’Accordo di programma unico.
La prospettiva di una gestione associata unica per tutta la provincia non è mai stata obiettivo del Piano di Zona che riconosce, invece, l’originalità delle forme di organizzazione dei diversi territori. I Piani di Zona dell’Ambito di Lecco indicano, peraltro, e fin dal 2012, l’opportunità di costituire una forma associata per la gestione dei servizi, in grado di promuovere l’integrazione fra pubblico e privato, valorizzando le politiche di welfare territoriale e partecipato.
La valutazione analitica dei bisogni e la conseguente programmazione dei servizi, così come la destinazione delle risorse, la formulazione degli indirizzi guida e degli orientamenti rimangono prerogativa dei Comuni attraverso il Piano di Zona, aspetto ben distinto dall’erogazione dei servizi in capo alle forme gestionali prescelte dai diversi territori .
2) Un modello sperimentale.
Comprendiamo come ogni sperimentazione possa preoccupare, ma pensiamo anche che, allo stesso tempo, possa saper entusiasmare se apre a possibilità nuove di coinvolgimento non solo delle organizzazioni sociali, ma anche dei cittadini destinatari e delle realtà di volontariato, cioè di tutti i soggetti che prendono parte al welfare locale. Si tratta, dunque, di convergere verso obiettivi di corresponsabilità e riconoscimento di quelle partnership diffuse che devono consentire un futuro qualitativo ai servizi in termini di qualità ma anche di prossimità comunitaria.
L’Ambito distrettuale e i Comuni intendono garantire il massimo e fattivo confronto con le OO.SS. e con la società civile che guarda con interesse e attenzione al processo avviato. La scelta dell’Ambito di puntare ad un partenariato pubblico-privato, supera la forma “contrattuale” dei rapporti per evolvere in quella societaria della impresa sociale mista, dunque di tipo “istituzionalizzato”, perché rende stabile tale forma di collaborazione mediante un nuovo e distinto soggetto giuridico che dialoga con il proprio territorio con agilità, flessibilità, e quindi maggiore aderenza ai cambiamenti sociali.
3) Gli asseriti vantaggi della forma societaria.
Nella nota viene fatto riferimento all’inserimento futuro di nuove attività aggiuntive rispetto a quelle affidate con l’evidenza pubblica, con la conseguente necessità di nuove procedure di gara: questo aspetto riguarda non tanto l’impresa sociale in sé quanto qualunque gara fatta da qualunque ente pubblico. I Comuni stanno predisponendo le linee guida dello statuto che, ispirandosi al D.lgs.112, può prevedere un ampio oggetto sociale e stanno definendo quali servizi intendono realizzare nell’immediato o nel prossimo futuro, e in quali aree di intervento. Quanto più ampio sarà il mandato, minori saranno le difficoltà ad inserire nuovi servizi secondo i bisogni rilevati.
Saranno gli atti della procedura di gara a tradurre le scelte fatte dai singoli Comuni in ordine ai servizi conferiti alla società mista, essendo nella piena discrezionalità dei singoli Comuni, quali titolari dei propri servizi, scegliere cosa affidare e da quando, cosa non affidare, cosa affidare sicuramente e cosa eventualmente poter affidare (in termini, ad esempio, di servizi complementari), nel pieno rispetto del Piano di Zona e del Codice dei contratti pubblici.
La durata della società è cosa diversa dalla durata del rapporto con il socio-privato ed è pensata per permettere di garantire una prospettiva di ampio respiro ai Comuni, così come avviene per tutte le forme associate, siano esse aziende speciali o consorzi. Specifiche clausole consentiranno ai comuni di recedere o aderire, così come di sciogliere la società qualora si ritenesse di operare in altro senso. Ma questo vale anche, per l’appunto, per l’Azienda Speciale o il Consorzio di Comuni, così come per qualunque forma associativa o societaria.
4) La presenza del Socio Privato a maggioranza.
Nella Vostra nota viene paventato il rischio per i Comuni di avere un socio privato di maggioranza; al riguardo viene sottolineato che “Lo SDF sostiene che il problema non sussiste grazie a poteri di regolazione che permangono in capo ai Comuni (…)”. In realtà appare doveroso precisare che lo SDF non nega tale profilo di attenzione, ma ha suggerito ai Comuni di prevedere forme e strumenti per minimizzare il rischio di un eventuale comportamento contrario agli interessi pubblici dei Comuni soci da parte del socio privato, e a questo si sta lavorando.
Il modello gestionale prescelto è certamente più tutelante le prerogative e gli interessi degli enti locali titolari dei servizi, dal momento che – come evidenziato dalle stesse OO.SS.– nella tradizionale forma dell’appalto le Amministrazioni sono praticamente stazioni appaltanti, avendo solo gli ordinari rimedi contrattuali in fase di esecuzione. La forma dell’impresa sociale, inoltre, prevede obbligatoriamente il coinvolgimento degli utenti, del personale della società mista e di altri soggetti interessati; una garanzia in più al momento sconosciuta a tutte le altre forme gestionali.
Da ultimo, il Gruppo di lavoro degli Amministratori ha individuato l’ulteriore strumento della Consulta dei Comuni, rappresentativi degli enti affidanti, che avrebbe proprio il ruolo di “attenzione della politica al territorio”, nel rispetto dell’autonomia giuridica della società. Una società di cui faranno parte gli stessi Comuni: da qui il costante diritto e possibilità per gli enti locali di essere informati sulla gestione dei servizi, condizione anche questa non automaticamente rinvenibile nella tradizionale forma dell’appalto. L’Impresa sociale, infine, si doterà delle principali professionalità necessarie per il governo e presidio dell’attività, rappresentando un elemento di continuità e garanzia di equilibrio e controllo gestionale.
5) La scelta del socio privato.
Non è chiaro a quale impianto di gara faccia riferimento la Vs. nota, non essendo evidentemente ancora stato predisposto alcunché in proposito, ed essendo in ogni caso un atto non divulgabile. Le Vs. osservazioni avanzano un “legittimo dubbio se non sia invece opportuno consentire la partecipazione di più soggetti che conferiscano alla società singoli settori di attività, rilanciando una maggiore pluralità dell’offerta sul territorio”. L’orientamento in atto predilige la scelta di un unico socio (anche nelle forme plurali che la legge prevede es. ATI), a tutela delle opzioni dei Comuni poiché, ai sensi del D.lgs 112, il socio di maggioranza non può essere un ente con scopo di lucro.
6) La separazione delle Funzioni di Programmazione da quelle di Gestione dei Servizi.
Il tema posto nella nota ha una sua rilevanza, ed è all’origine del dibattito avviato fin dalla primavera scorsa. L’indirizzo regionale (DGR 2941/2014 e Legge regionale 23/2015) vale per tutte le forme gestionali e fa, in particolare, riferimento alle Aziende Speciali e ai Consorzi (“qualora l’Assemblea distrettuale individui l’azienda speciale consortile o il consorzio di comuni, quale ente capofila dell’Accordo di programma per l’attuazione del piano di zona, particolare attenzione va posta nell’individuazione del soggetto istituzionale a cui viene attribuito il ruolo di Ufficio di Piano, in quanto non si ritiene opportuno che le due componenti – quella di programmazione sociale territoriale e quella di gestione di unità di offerta/interventi- coesistano all’interno di un medesimo soggetto che spesso nasce con lo scopo di produrre ed erogare servizi per il territorio di riferimento”DGR2941/2014).
Se, come indicato nella Vostra nota, la presenza dei comuni nell’impresa sociale in qualità di soci può rappresentare un elemento di conflitto, a maggior ragione questo varrebbe per le società in house , per le Aziende Speciali, per i Consorzi di Comuni. L’unica forma consentita sarebbe dunque quella della totale esternalizzazione dei servizi.
Il tema è stato ampiamente affrontato e la configurazione della società mista impresa sociale riteniamo scongiuri il paventato “conflitto di interesse” poiché è un soggetto giuridico distinto rispetto ai Comuni soci, eroga obbligatoriamente servizi non solo ai soci, ha prevalente capitale privato senza che i Comuni esercitino forme ed attività di coordinamento e controllo diretto.
Non si coglie infine il perché venga insinuato il dubbio che la funzione e la governance programmatoria non siano in mano pubblica. I Comuni dell’Ambito, attraverso l’Accordo di Programma, definiranno il Piano di Zona avvalendosi dei propri tecnici, in dialogo con le forze sociali. Inoltre, nel nostro territorio, una parte importante della programmazione sociale deriva da atti di indirizzo del Distretto di Lecco/Ufficio di Coordinamento dei Sindaci che si avvale dei propri operatori. E’ quindi evidente che per competenze tecniche e istituzionali gli strumenti di governo, di scelta, di orientamento delle risorse e di indirizzo rimangono una prerogativa pubblica.
7) Ruolo delle associazioni di volontariato.
Anche su questo tema non si capisce sulla base di quali elementi si possano fare le considerazioni contenute nella Vostra nota. Il tema della presenza/partecipazione del volontariato è infatti costitutivo dell’Impresa Sociale, unica forma societaria per cui questo viene specificato dalla norma. L’orientamento dei Comuni è quindi quello di valorizzare appieno questo apporto nel rispetto dei vincoli posti dal D.lgs che prevede, peraltro, forme di partecipazione e coinvolgimento degli utenti, dei lavoratori e dei volontari. Inoltre, il vigente Codice dei contratti, nonché il recente Codice del Terzo settore contemplano forme e strumenti per il coinvolgimento di vari soggetti.
Per concludere
Dispiace rilevare che le OO.SS. non abbiamo indicato nemmeno un punto di interesse e possibile convergenza sulle scelte dell’Ambito, quasi come se ci fosse un atteggiamento pregiudiziale e non di merito. SI fatica infatti a cogliere il motivo per cui non è stato chiesto un confronto preliminare prima di assumere un giudizio. I Comuni si sono a lungo confrontati in questi mesi ed hanno perseguito obiettivi che sono stati man mano definiti nel Gruppo di lavoro, nei momenti di confronto territoriale e in Assemblea, secondo un itinerario pubblico e lineare.
Il partenariato pubblico/privato (sociale nel nostro caso) sembra invece, a nostro giudizio, uno strumento coerente con l’evoluzione della nostra società e con la realtà di questo territorio, da guardare e accompagnare con attenzione soprattutto da chi ha interesse alla tutela del cittadino. Un’occasione per cominciare a discutere su come riconfigurare un modello di welfare locale capace di aggregare le migliori energie delle nostre comunità. Su questo ci si attende dalle OO.SS. uno stimolo innovativo che guardi agli esiti e ai risultati in favore dei cittadini .
Sarebbe interessante anche individuare a quale livello taluni servizi alla cittadinanza, promossi dalle stesse OO.SS., potrebbero entrare in un dialogo partecipativo con questo modello gestionale, così come proficuamente avvenuto con le realtà associative di emanazione sindacale che, in questi anni, hanno concorso a costruire, con l’Ambito di Lecco in particolare, esperienze di un welfare qualitativo e di prossimità.
Disponibili ad ogni ulteriore approfondimento, porgiamo cordiali saluti”
La Presidente Paola Giovanna
Il Vicepresidente Viganò Alberto Pasini