21 marzo “Giornata in Ricordo delle Vittime innocenti delle mafie”
L’incontro con la magistrata Alessandra Cerreti nell’articolo degli studenti del liceo Agnesi di Merate
MERATE – “Come ho scelto questo lavoro? La risposta è: passione. Lo scrissi persino nel tema di terza elementare. Sono cresciuta sentendo parlare di mafia. Pensate che il mio mito in adolescenza non erano i Rolling Stones, bensì Giovanni Falcone: sognavo di fare il suo lavoro”.
Queste sono le parole di Alessandra Cerreti, siciliana di Messina, magistrata dal 1997, una donna che nel corso della sua carriera ha raggiunto grandi risultati. Tra i tanti, fu titolare del procedimento All Inside che consentì l’arresto e la condanna di più di 80 figure appartenenti alla storica ed egemone cosca Pesce. La magistrata ha inoltre gestito la collaborazione di giustizia con la prima donna di ‘ndrangheta: Giuseppina Pesce, figlia del boss Salvatore Pesce.
Nella mattinata del 17 febbraio le classi quarte del Liceo Scientifico “Maria Gaetana Agnesi” hanno avuto l’opportunità di incontrare questa importante magistrata, in occasione della “Giornata in Ricordo delle Vittime innocenti delle mafie”, che ricorre il 21 marzo di ogni anno. L’incontro, a causa dell’emergenza sanitaria in corso, si è tenuto a distanza, tramite la piattaforma Meet, ed è durato circa 2 ore, anche se noi ragazzi l’avremmo ascoltata per molto altro tempo.
La conferenza è stata decisamente molto interessante. Infatti, pur essendo stati numerosi i progetti riguardanti il tema della legalità proposti nel nostro percorso scolastico, questo incontro è stato indubbiamente quello che, a detta di noi tutti studenti, ci ha segnato di più. La magistrata Cerreti ha affrontato il tema “Voci femminili contro la mafia”, raccontandoci la sua esperienza personale con tale passione che ha subito attirato l’attenzione di tutti noi.
Il suo discorso iniziale, dedicato alla spiegazione della figura del magistrato, ha mostrato con evidenza l’amore verso la sua professione, riuscendo ad accendere il nostro interesse e la nostra curiosità tanto da farci interrogare anche sul nostro futuro… Abbiamo scoperto infatti il lavoro del Pubblico Ministero, raccontato da una di loro e presentato a noi con un’umanità che dai giornali spesso non traspare.
Molte sono state le domande degli studenti riguardanti il suo lavoro: abbiamo appreso che necessita di tanti sacrifici, tra tutti la mancanza di privacy: Alessandra Cerreti vive purtroppo scortata da 16 anni e non è stato semplice per lei abituarsi.
E’ un lavoro che porta con sé dei rischi, non ci si può fidare di nessuno; ma come lei stessa ha detto: “Non devi avere paura di loro. Loro devono avere paura di me, perché io sono lo Stato. Accetto il rischio perché ne vale la pena”.
E’ un lavoro del tutto invasivo: non si smette di essere magistrati nel tempo libero. Non esiste una vita sociale come per i normali cittadini, poche sono le possibilità di incontrare persone nuove. La famiglia si deve adattare: pochi amici, ma quelli veri. Tutta la sua esistenza è influenzata dal lavoro. La magistrata Cerreti, dopo averci spiegato il ruolo della sua figura professionale, ci ha poi anche raccontato diverse vicende che l’hanno vista partecipe, partendo innanzitutto dal ruolo della donna all’interno dell’associazione mafiosa ‘ndranghestista.
Le donne, ad esempio, hanno il compito delle “ambasciatrici”. Nella fase in cui tutti gli uomini sono o in carcere oppure latitanti, sono loro che possono effettuare i colloqui con i carcerati, portando le comunicazioni dove necessario e mantenendo vive le fila dell’organizzazione. Ma la donna ricopre anche un ruolo “sotterraneo”, ma non meno potente: veicolare i valori della ‘ndrangheta ai propri figli. E’ proprio lei che trasmette infatti il valore della vendetta e il senso dell’onore – anche se tutto hanno tranne che l’onore – quando il marito o è morto oppure è in carcere.
Ci ha colpito molto il pensiero che nostri coetanei, nati in famiglie mafiose, vivano in un mondo completamente diverso dal nostro, con un’educazione radicalmente opposta. Ad esempio, la magistrata ci ha raccontato di una canzoncina (ninna nanna du malandrineddu) che viene cantata ai neonati: un vero e proprio inno alla violenza. A differenza nostra, la loro vita è già strutturata: all’età di 12-13 anni il maschio maneggia coltelli, a 14-15 deve dimostrare di essere un bravo killer, iniziando così la carriera criminale. E le bambine? Verso gli 11 anni viene assegnato loro un fidanzato, per stipulare alleanze mafiose: sono una vera e propria merce di scambio.
C’è poi la cosiddetta “fuitina”, la scappatella, l’alternativa per i figli minorenni al matrimonio, in cui i due ragazzini scappano e dopo due giorni, essendo la femmina ripudiata dal padre in quanto non più illibata, va a vivere con i parenti di lui, rimanendo incinta giovanissima. Trattandosi di ragazzi della nostra età, questa diversità di modo di vivere ci ha profondamente colpiti, ponendoci di fronte una realtà di cui si parla sempre troppo poco, che non immaginavamo essere così drammatica.
La magistrata Cerreti ha proseguito poi la conferenza parlandoci della sua esperienza personale con le donne all’interno dei clan di ‘ndrangheta, totalmente sottomesse all’uomo, nella fedele quanto anacronistica riproduzione di una società arcaica, gerarchicamente maschilista. La magistrata ha infatti collaborato con Giusy Pesce, una donna della ‘ndrangheta. Vedere che una donna decide di ribellarsi, di informare lo stato dei crimini commessi dalla sua famiglia, testimoniare contro il suo clan, è un colpo durissimo per la mafia. Collaborare vuol dire abbattere il muro dell’omertà, e Giusy Pesce lo fece per dare un futuro diverso ai suoi figli, un futuro migliore.
Non tutti i collaboratori di mafia però riescono a salvarsi dalla propria famiglia. La storia di Maria Concetta Cacciola è invece l’esempio di una vittima che non ce l’ha fatta. Perseguitata dalla sua famiglia per un sospetto tradimento online, ha cercato protezione nello stato, ma dopo aver ceduto ai ricatti dei suoi parenti venne uccisa dalla famiglia, che per tentare di scagionarsi tentò pure di inscenare un suicidio…con un litro di acido muriatico, dal significato inequivocabile. Da tutte queste esperienze nella lotta contro la criminalità nasce però un protocollo nuovo, che scatta quando dei minori hanno dei presunti legami mafiosi: si chiama “Liberi di scegliere” e dà loro la possibilità di provare una vita diversa, una vita nella legalità fino ai 18 anni, età a cui viene data loro la possibilità di scegliere se tornare alla propria famiglia o se continuare questo percorso.
E’ stata senza dubbio un’esperienza che ha segnato noi ragazzi e anche gli insegnanti che erano presenti. Spesso sentiamo parlare di mafia, ma possiamo assicurare che le parole di una donna che affronta tutti i giorni questo pericolo e che ha deciso di vivere combattendo, ci hanno colpito in una maniera differente.
L’incontro con la magistrata ci ha invece avvicinato maggiormente a questo tema: per la prima volta ci siamo sentiti davvero chiamati in causa in prima persona e sicuramente questo incontro ci migliorerà anche nella nostra vita da cittadini attivi. Magari avrà addirittura ispirato qualche giovane tra noi ad intraprendere la carriera del magistrato, sulle orme di questa grande donna che noi abbiamo avuto il privilegio di conoscere, anche se purtroppo da dietro uno schermo, mentre avremmo davvero desiderato stringerle la mano.
“La mafia è un fenomeno umano e, come tutti i fenomeni umani, la sua fine dipende da noi”. Si conclude così l’incontro con la Dottoressa Alessandra Cerreti, con una significativa citazione di Giovanni Falcone, che ci induce a riflettere su quanto possiamo fare per combattere questo fenomeno, purtroppo molto più vicino anche a noi di quanto non sembri.
Articolo a cura di Alice Cantù e Olmo Brigliadori – classe 4As Liceo Statale “M.G. Agnesi” di Merate