LECCO – “Il nostro non è un libro solo sul fondamentalismo jihadista, ma una riflessione su tutti i radicalismi, di qualunque colore essi siano, anche quelli che stanno penetrando nelle nostre società occidentali”: basterebbero queste poche parole di Anna Migotto per rendere evidente l’attualità e l’importanza pedagogica dell’incontro tenutosi in sala Ticozzi martedì 6 marzo.
Quattro classi del liceo scientifico e musicale Grassi, accompagnate dai loro docenti di lettere, hanno avuto la preziosa opportunità di incontrare Anna Migotto, giornalista e film-maker esperta di esteri, coautrice – insieme a Stefania Miretti – del libro “Non aspettarmi vivo. La banalità dell’orrore nelle voci dei ragazzi jihadisti”. L’evento rientrava nel progetto Einaudi “Lo Struzzo a scuola”, che prevede la lettura di un testo e la discussione direttamente con l’autore. Un’opportunità che il Grassi non si è lasciato sfuggire.
Introdotta e guidata dal professor Sacco, l’addetto stampa del liceo, Migotto ha spiegato come è nato un lavoro così corposo: “Abbiamo scelto la Tunisia perché ci interessava approfondire l’apparente contrasto tra due aspetti: è il Paese in cui la Rivoluzione dei Gelsomini (la declinazione locale delle Primavere Arabe, che ha portato alla cacciata del dittatore Ben Ali, ndr) ha portato la democrazia e, allo stesso tempo, lo Stato a maggioranza musulmana che ha visto la partenza del maggior numero di foreign fighters per Raqqa e il sedicente Stato Islamico. Il punto nodale è la mancanza di senso. Alcuni ragazzi ci hanno detto che, ad un certo punto, per dare una svolta ad una esistenza senza prospettive avevano davanti a sé due opportunità: scappare in Europa su un barcone fatiscente o andare a Raqqa o Mosul in aereo, con biglietto pagato e la prospettiva di uno stipendio mensile di 1000 dollari. Facile capire quale sia stata la scelta di molti”.
Anche grazie alle domande degli studenti, estremamente opportune e pertinenti, la giornalista ha avuto modo di affrontare numerose questioni delicate ma decisive, come il ruolo della scuola e, in generale, del percorso di istruzione delle giovani generazioni, l’importanza della famiglia, il peso del gruppo e dell’identità collettiva in una società, come quella tunisina – almeno nella sua dimensione urbana – che poco si discosta dalle nostre comunità occidentali.
Nel libro si raccontano anche storie che lasciano il segno: quella di Malik, jihadista di vecchia data, della scuola di Al-Qaeda, nutrito di un odio profondo ed ideologico per l’Occidente, che però vede i nuovi arrivati del Daesh (acronimo arabo che corrisponde ad Isis) come fanatici di cui meglio non fidarsi; quella di Abderhamen, giovane dalla mente brillante ed aperta che, dopo essersi avvicinato ai fondamentalisti, se ne è ben presto allontanato per laurearsi prima in teologia e poi in antropologia; quella, infine, del pastorello Mabruk, con cui si chiude il libro, che viene barbaramente ucciso dai terroristi che si addestrano sulle montagne dove il ragazzino porta a pascolare il suo povero gregge.
Ma forse è il personaggio di Abderhamen che può darci maggiori insegnamenti: “Sì – conclude Anna Migotto – il suo straordinario esempio ci fa capire con grande evidenza che leggere, studiare, esercitare lo spirito critico sono la migliore arma per combattere fondamentalismi ed estremismi di ogni sorta, che in una società spenta e culturalmente povera rischiano invece di insinuarsi come un virus letale”.
“E con queste parole il cerchio si è chiuso: eravamo partiti dal concetto generale di radicalismo e siamo tornati allo stesso punto, per sottolineare ancora una volta come la scuola abbia un ruolo imprescindibile nella formazione dei ragazzi e nella prevenzione di fenomeni che, come tutte le posizioni estreme, possono portare ad esiti infausti”.