LECCO – Un uomo, nel silenzio raccolto dei presenti, posa con amarezza il suo sguardo verso la targa commemorativa di uno dei periodi più tragici per la città di Lecco, il 1944: un anno di sofferenza per la città, schiacciata dal dominio nazi-fascista, ma anche l’anno del coraggio per i tantissimi operai lecchesi che, nella settimana tra l’uno e l’8 marzo, si sono uniti ai lavoratori del Nord d’Italia, nel più grande sciopero mai realizzato nell’Europa schiava del totalitarismo. Quell’uomo è Giuseppe Galbani, uno dei 22 operai dello stabilimento Bonaiti deportati nel campo di concentramento di Mauthausen, a seguito del rifiuto unanime degli operai di tornare a lavoro; sopravvissuto allo scempio, Giuseppe Galbani ha preservato in questi anni la propria salute, per poter raccontare l’inenarrabile. Questa mattina, la città di Lecco ha voluto rendere onore a lui e ai suoi colleghi per il loro eroismo, ma sopratutto per tenere vivo il sapore amaro di una tragedia che non deve ripetersi più.
Per questo la manifestazione odierna, iniziata con la S. Messa presso la chiesa di Castello, si è raccolta con un corteo che ha raggiunto l’area dove sorgeva la ditta Bonaiti, ora occupata dall’Istituto G. Bertacchi, per omaggiare il monumento alla memoria dei lavoratori deportati. Molte le autorità cittadine presenti alla commemorazione: tra questi il sindaco Virginio Brivio, il prefetto Marco Valentini, l’assessore provinciale Antonio Conrater, il segreterio generale di Uil Lecco, Giuseppe Pellegrino. La celebrazione è seguita poi nell’aula magna del vicino Istituto Bovara, dove gli studenti della scuola media Stoppani hanno dato il loro affettuoso contributo alla causa, eseguendo tre brani densi di significato: “Oltre il ponte”, di Italo Calvino, il canto partigiano “I ribelli della montagna”, e “La libertà” di Giorgio Gaber.
Non ci sono parole, invece, per descrive il drammatico racconto con il quale Giuseppe Galbani ha voluto rivivere quei dannati giorni di marzo: “Sono passati 68 anni, eppure a me sembra che quella tragedia sia avvenuta di recente, tanto in me è ancora lucido e presente il ricordo di quel lontano martedì; quando a Lecco, nelle prime ore del pomeriggio, si era diffusa una triste e clamorosa notizia, che raggiunse una quarantina di famiglie, informandole che i loro cari non erano più al loro posto di lavoro. Mariti, padri e figli erano stati sbalzati ferocemente dalle fabbriche, rapiti da una compagnia camice nere, i repubblichini, che avevano aderito a quella fantomatica Repubblica Sociale Italiana, che di italiana aveva solo il nome… “
Giuseppe Galbani ripercorre l’atroce esperienza della deportazione, dei campi di sterminio, dell’umanità strappata ai suoi compagni di disgrazia, dell’incredulità delle persone che non credevano possibile la sua testimonianza di quegli orrori. La conclusione è sopratutto un ammonimento: ” Su questa strada noi abbiamo arrancato, per conquistare la libertà. E’ la libertà che io lascio in eredità a voi, è vostra questa libertà! godetela voi giovani, ma rispettatela e fatela rispettare come il bene più importante che esista. Difendetela usando l’amicizia, un sentimento nobile che cammina in parallelo con la libertà. Solo con l’amicizia tra i popoli potremo davvero ritrovare la pace”.