A tu per tu con la giovane regista lecchese Ilaria Pezone

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LECCO – Sarà presente al Festival Internazionale Arcipelago di Roma con il film documentario “Masse nella geometria rivelata dello spazio-tempo”. Una tappa decisamente importante se non quasi obbligata, quella romana, per chi ha nei propri obiettivi professionali quello di diventare un regista affermato.

A rincorrere il sogno che potrebbe diventare realtà è la giovane Ilaria Pezone, 26enne lecchese (per la precisione Mandellese), assistente universitario presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e regista del film documetario imperniato sulla figura di Salvatore de Gennaro, in concorso al Festival Arcipelago nella sezione Con/Corto (Concorso nazionale cortometraggi).

Nato come video di sperimentazione vocale, il progetto si è trasformato in un documentario sul giovane cantante lirico e attore napoletano trasferitosi a Varenna (Lecco), protagonista-matrioska che al suo interno contiene la più diversificata varietà di personaggi.

E mentre Ilaria attende con trepidazione le due proiezioni del film-documentario in calendario per lunedì 18 (ore 22.45) e martedì 19 giugno (ore 20,30) nella sala 1 del multisala Intrastevere, Vicolo Moroni 3/A a Roma, l’abbiamo incontrata.

Come nasce la tua passione per la cinematrografia?
La mia passione per la cinematografia in realtà è un po’ particolare: non amo il cinema come industria ma il cinema come artigianato. Mi spiego meglio: la mia formazione è di tipo artistico, dal liceo all’accademia di Brera ho studiato le arti visive e mi sono sempre interessate le possibilità di interazione tra i vari linguaggi dell’arte. A Brera ho infatti frequentato il corso di studi chiamato Nuove Tecnologie per l’Arte, specializzandomi in Cinema E video. Mi piacciono le contaminazioni, mi piace quando il cinema sembra un quadro, quando un quadro sembra musica, quando un suono sembra poesia…e così via. Così, ho iniziato interessandomi alla pittura (facilitata dal fatto che mia sorella maggiore è pittrice), dipingendo io stessa e tuttora apprezzo la manualità e la freschezza della pittura. Tuttavia percepisco una necessità espressiva che vada oltre il quadro, fisso, e che si disponga nel tempo. Così ha inizio il mio interesse per il cinema, concepito come un susseguirsi di quadri (o meglio, campi) in movimento. Prima di raccontare vere e proprie storie mi sono infatti cimentata con la videoarte, molto vicina alla concezione di cui parlo. Questa produzione prosegue ancora oggi, parallelamente a progetti più lunghi e impegnativi, come nel caso di questo documentario, che nascono dal desiderio di scoprire qualcosa, una sorta di verità personale.
A dire il vero, prima ancora della videoarte, precisamente alle scuole medie, mi regalarono una videocamera sony digitale in Hi8 a cui sono molto affezionata. Con lei ho iniziato immediatamente a girare dei brevi video musicali, spot, o storie di fantascienza molto banali, insieme alla mia unica protagonista, una vicina di casa. Ci divertivamo molto, non avevo nemmeno un programma di montaggio inizialmente (l’acquisto è arrivato qualche anno dopo per esigenze ‘’stilistiche’’) e registravamo la colonna sonora con un walkman attaccato alla videocamera, che si attivava ogni volta che premevo rec! Ecco, queste sono state le mie prime e probabilmente ultime fiction! A supporto di queste mi informavo e andavo tutti i giovedì al cinema, avevo una passione molto forte per tutto il cinema in quel periodo, volevo imparare, ero affascinata. Poi dal liceo, insoddisfatta di questi semplici “giochi”, ho impostato diversamente il tutto, così come spiegavo precedentemente.

Come sei arrivata a Salvatore de Gennaro?
Salvatore, ed è questo il bello, l’ho conosciuto per puro caso, mentre passeggiavo una domenica al Lavello (Calolziocorte). La musica del concerto nel Santuario arrivava fino al fiume, ed era talmente invitante che non ho potuto resistere, così sono entrata ed ho assistito al concerto. Nel film appaiono infatti come primo impatto, le immagini di quel concerto, riprese da operatori a cui poi ho chiesto il girato per cercare di colpire lo spettatore allo stesso modo in cui sono stata colpita io dalla voce, dalla gestualità coinvolgente di Salvatore in quel contesto. Non sapevo come avrei fatto a contattare Salvatore: la sera del concerto non mi sono presentata per chiarirmi le idee su cosa avrei voluto fare. Indubbiamente, volevo ”catturare” il suo fenomeno in video, o almeno cercare di farlo. Grazie a internet, poi, sono riuscita a ritrovarlo e gli ho lanciato una proposta che lui subito ha accolto con entusiasmo: pensavo inizialmente che avremmo potuto creare dei set nei quali lui avrebbe interpretato brani virtuosistici del Novecento musicale (Berio, Cage, Ligeti…) per enfatizzare la particolarità della sua voce (capace sia di sembrare femminile, sia di essere decisamente maschile, con rapide variazioni solo apparentemente semplici). Questa prima idea è stata effettivamente realizzata, ma il suo modo di essere, la profondità di Salvatore, che a questo punto diviene personaggio, mi ha spinto a scavare nell’interiorità scissa di un cantante/attore che vive personaggi conflittuali tra loro, ma tutti coesistenti nella sua persona. Da video di sperimentazione vocale diviene così un documentario che riguarda l’esistenza di ognuno di noi, perché ognuno crea per se stesso e il “teatrino” che lo circonda il proprio o i propri personaggi.
Personalmente ho trovato affascinante questa figura, perché Salvatore ha letteralmente dato la propria vita all’arte, sacrificando ogni altro aspetto o ambizione umani. E questa sensazione non me l’ha mai spiegata, l’ha trasmessa al concerto, come fossimo entrati in risonanza: mi sono da subito proiettata in lui, rivedendo me stessa nel tipo di vita che invece non ho completamente sposato, per varie circostanze. E, per contro, lui ha immediatamente capito che cosa io stessi in realtà cercando.

Cosa ti aspetti dalla partecipazione all’Arcipelago Film Festival?
Non ho mai creduto più di tanto nei Festival, spesso, purtroppo, ci si arriva quando in giuria troviamo il parente, l’amico, il professore…e via dicendo. Per fortuna non si può fare sempre di tutta l’erba un fascio, perché non è questo il caso di Arcipelago, e io stessa sono rimasta sorpresa alla notizia della selezione. Mi sono iscritta al festival avendone sentito parlare con ammirazione da parte di qualcuno, ma non ricordo chi. Credo che sia un’occasione importante per mostrare il proprio lavoro, il proprio pensiero, e soprattutto confrontarsi con quelle che sono le esigenze di un festival e del sistema distributivo dei film. Anche solo parlare di qualità, in termini di pixel, dei video proiettati, mi è stato utile per evitare eventuali errori o imprecisioni in fase di montaggio, le prossime volte! Sono curiosa di vedere anche gli altri film in concorso, e spero di trovare persone stimolanti. Essere al Festival per me è già una soddisfazione, non mi aspetto niente di più, ricevere una menzione dalla giuria sarebbe un grande riconoscimento, ma come dicevo non me l’aspetto, quell che sarà andrà benissimo.

Quali sono le tre caratteristiche principali di un buon film? E quelle di un buon regista?
Tre caratteristiche per un buon film e un buon regista: …è difficile parlarne sinteticamente, in generale, forse mi è più facile racchiudere i concetti che riguardano il documentario, che è l’ambito che più mi interessa (non amo le fiction!). Un buon film deve essere etico, estetico e personale. Partendo dall’ultimo, io credo che alla base della produzione di un film debba sempre esserci una spinta, una motivazione fortissima grazie alla quale qualsiasi difficoltà, qualsiasi rallentamento o ostacolo siano necessariamente superati. Non si tratta di una possibilità, quando dipende principalmente da me, mi dico sempre: voglio, quindi posso. Se non è ora sarà dopo, ma quello che sento di voler creare esisterà. Estetico, perché ogni film deve essere guadabile, non tanto per gli occhi, o il piacere estetico puro, piuttosto per la mente: il film è una struttura architettonica solida che parla alla mente dello spettatore, ogni volta in maniera diversa. Non deve dire troppo, ma deve evocare, lasciando qualcosa su cui riflettere, senza necessariamente scomodare temi grandiosi o retorici. Si possono fare anche grandi riflessioni sulla polvere in una scatola, se un film lo suggerisce. Infine etico, perché devo sempre pensare che ho uno spettatore che guarderà ciò che ho preparato per lui. Personalmente non voglio mai buttare addosso allo spettatore le angosce in cui già si imbatte quotidianamente. Vorrei che il mio spettatore stesse bene al cinema, pur non lasciandolo fantasticare sul sogno e l’irreale, ma guardando la realtà, così com’è vista dal filtro del mio occhio. Il primo spettatore, naturalmente, sono io. Per quanto riguarda il documentario, l’etica è rivolta anche alle persone coinvolte nel film: bisogna saper dire basta al cinema, quando subentra una richiesta umana. Naturalmente Lars Von Trier non sarebbe d’accordo, ma io non sono Lars Von Trier e ho le mie regole. è altrettanto giusto che ognuno crei e senta le proprie.

Che obiettivi professionali hai? Insomma dove ti piacerebbe arrivare…
Non ho un’idea chiara di quali siano i miei obiettivi. So bene ciò che non voglio, cioè la televisione, la moda, la pubblicità, la fiction….e malgrado questo ogni tanto ci ho a che fare. Aspirerei al cinema come massima realizzazione professionale, tuttavia, non so se sarei a mio agio con una troupe di professionisti a cui impartire ordini. Non si tratta di trascuratezza, mi piace il contatto diretto con ciò che riprendo, e mi piace la figura del filmmaker più di quella del regista, proprio perché il filmmaker riprende direttamente, e spesso monta anche il video, ha quindi un approccio intimo con le sue creature. Non posso dire di essere già arrivata, ma la strada che sto percorrendo mi piace più o meno così com’è. Quello che mi manca è la possibilità di sperimentare di più, con più soldi per le attrezzature e per chi mi aiuta, utilizzando magari una pellicola 16mm da seguire in tutto e per tutto dal ciack allo sviluppo.

Al fianco di quale grande regista vorresti poter lavorare e perchè?
Uno dei più grandi registi (artisti) viventi, umanamente e professionalmente, per me è Jon Jost, che però è americano e vive a Seoul. Sarebbe meraviglioso poter lavorare con lui, quanto irrealizzabile. Per il momento mi accontento di poter ricevere le sue email e di scambiare reciprocamente i nostri film!

C’è un film che più di tutti apprezzi e ammiri e del quale avresti voluto essere tu la regista? Qual’è?
Uno dei suoi film, appunto, che ho visto molti anni fa, al liceo artistico, mi ha aperto la mente e l’ispirazione latente: All The Vermeers in New York”. Ringrazio ancora infinitamente Massimo Ferrari per avermi fatto vedere quel film durante il suo cineforum.

Le cinematografia in Italia che periodo sta vivendo e quale futuro le aspetta?
Non mi sento in grado di poter dare giudizi sulla cinematografia italiana contemporanea: per prima cosa sono molto ignorante perché non ho quasi mai tempo di andare al cinema; in secondo luogo, sono piuttosto esigente quando guardo un film e pochissimi superano ”l’esame”. Apprezzo molto, tra i registi più noti, Pietro Marcello, Alina Marazzi, Crialese, Garrone e nella fiction il primo Sorrentino. Sicuramente mi sto dimenticando qualcuno, ma mi sono venuti in mente questi. Ce ne sarebbero altri, ma non sono popolarmente conosciuti perché hanno una distribuzione più piccola oppure non ce l’hanno proprio. Non penso sia un cinema in declino, anzi vedo che molte cose stanno finalmente cambiando e il cinema italiano, passando sempre e solo attraverso il documentario, che è da sempre il grande innovatore nel cinema, è forse un po’ più aperto alle contaminazioni linguistiche, rispetto al passato. In questo ha sicuramente influito molto positivamente la videoarte.

Come stanno influendo le nuove tecnologie sulla realizzazione dei film?
Sicuramente le nuove tecnologie, eliminando i costi della pellicola (sviluppo ma anche trasporto), stanno agevolando notevolmente i giovani registi quasi sempre squattrinati. Inutile dire che la leggerezza del mezzo video e l’abitudine da parte nostra, a essere continuamente sorvegliati o comunque a contatto con le telecamere, da un lato permette un approccio più intimo con i soggetti ripresi (questo per quanto riguarda il documentario), dall’altro però il rischio è di girare una grandissima quantità di materiale inutile senza selezionarlo, e questo non implica la preparazione preventiva della struttura mentale prima, e filmica poi, di cui parlavo precedentemente. Non si è mai trattato di premere soltanto un bottone!
Tra le nuove tecnologie, troviamo inoltre i social network (Facebook, Myspace, Youtube, Vimeo…) , vera innovazione nel campo creativo, perché grazie a internet le distanze non esistono più o si accorciano, e il confine tra sconosciuti e conosciuti è più labile. è facile trovare persone con affinità al proprio gusto personale, guardandone o ascoltandone i lavori; diventa quindi più facile trovare collaboratori e al contempo condividere le proprie creazioni. Credo che i festival, ma anche le scuole di cinema, dovrebbero forse sfruttare di più questa importante novità socioculturale.

Che progetti hai per il futuro?
Per il futuro non ho progetti a breve termine, dal punto di vista cinematografico. Finito un film ho il desiderio di fermarmi, contemplarlo (e guardarne soprattutto i difetti per migliorarmi) e assimilarlo finchè io non abbia voglia di dire qualcos’altro.
Attualmente sono stata ammessa a un laboratorio-concorso a Filmmaker (Milano), lo sto frequentando e spero che mi possa ispirare o risvegliare nuove idee.