Giornata della Memoria: medaglie ai deportati lecchesi

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LECCO – Consegnate durante una cerimonia molto sentita e partecipata le medaglie d’onore ai 15 cittadini italiani residenti nella provincia di Lecco, che durante il secondo conflitto mondiale furono deportati o internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per far fronte all’economia di guerra. L’

onorificenza, voluta dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, si è inserita nell’ambito delle celebrazioni per la Giornata della Memoria.

Tra le 15 persone della provincia di Lecco a cui è stata riconosciuta e assegnata la medaglia d’onore, erano presenti in sala anche gli unici tre sopravvissuti alla deportazione ancora in vita: Renato Acerboni, classe 1924 di Casargo, Rinaldo Beri, classe 1923 di Casargo e Franco Sacchi, classe 1924 nato a Oggiono ma residente a Valmadrera. Questi i nomi degli altri deportati a cui è stato riservato il riconoscimento della medaglia d’onore: Acerboni Pietro (1924, Casargo), Casiraghi Ernesto (1916, Robbiate), Castagna Beato (1915, Valmadrera), Crimella Ersilio (1924, Valmadrera), Dell’Oro Luigi (1914, Valmadrera), Fumagalli Giuseppe (1917, Colle Brianza), Mapelli Mario (1916, Perego), Ratti Ambrogio (1913, Barzago), Rusconi Bernardo (1915, Valmadrera), Sandionigi Giovanni (1924, Valmadrera), Sesana Virgilio (1920, Annone Brianza) e Tavola Domenico (1912, Colle Brianza).

Introducendo la manifestazione, il Prefetto di Lecco, dott.ssa Antonia Bellomo, ha sottolineato come “le medaglie d’onore costituiscono un riconoscimento forse tardivo ma comunque importante per l’eroismo dimostrato da queste persone internate. La consegna delle medaglie – ha aggiunto il Prefetto – impone a noi tutti un momento di riflessione, in concomitanza anche con la cerimonia che si sta svolgendo al Quirinale: ricordare il sacrifico, le privazioni e le sofferenze di questi uomini permette di rafforzare la memoria rispetto a quanto accaduto, perché solo una memoria che sia opera di edificazione per il presente e per il futuro può fungere da baluardo contro l’indifferenza verso i gesti e le azioni di questi ultimi reduci”. Un concetto, quello della memoria, ripreso anche dal prevosto di Lecco, mons. Franco Cecchin: “ho come l’impressione che ogni tanto ci facciamo rubare la memoria – ha affermato il prelato – quindi bisogna continuare a raccontare queste storie per non cancellare ciò che è accaduto: evviva la memoria se è una memoria raccontata”. Il Prefetto di Lecco ha infine ringraziato “le numerose autorità presenti, gli insigniti della medaglia e le loro famiglie, ma anche coloro che con opera certosina hanno ricostruito la storia di questi nostri cittadini, che la guerra ha portato lontano da casa: in particolare – ha concluso la dott.ssa Bellomo – un grazie alla direttrice dell’Archivio di Stato di Como Lucia Ronchetti e ai suoi collaboratori: con una ricognizione e una verifica dei documenti in loro possesso hanno contribuito a far sì che queste persone potessero venire insignite della medaglia d’onore”.

Terminate le presentazioni, è stata la volta dei tre insigniti dell’onorificenza: dopo aver ricevuto la medaglia, hanno ricordato alcune delle disavventure, delle violenze e delle privazioni che hanno dovuto subire durante il lungo periodo della prigionia e della deportazione. Renato Acerboni, deportato subito dopo l’armistizio del 1943 e costretto a lavorare in fabbrica come tornitore, ha ricordato che “furono mesi di violenze per un lavoro da fare in situazioni complesse, specialmente quando nell’ottobre del ’44 iniziarono i bombardamenti dei russi e degli americani. Il bombardamento faceva andar via la corrente, ma i “lagerfuhrer” tedeschi pretendevano che continuassimo a lavorare”.

“Il problema grosso era la fame”, ha precisato subito dopo Rinaldo Beri, un altro reduce della deportazione e compagno di disavventure di Acerboni. “Lavoravamo a sistemare le traversine della ferrovia bombardate dagli Alleati, ricordo che dovevamo andare a tempo di comando e guai se sbagliavamo”, ha ricordato ancora il sopravvissuto di Casargo. “Il problema della fame rimase anche quando mi trasferirono a lavorare in un campo di aviazione, così come durante i lavori svolti sui campi di patate e di barbabietole dei contadini locali. E’ stata una vita durissima – ha concluso Beri – in cui solo per un caso di fortuna dovuto al bombardamento americano sulle baracche tedesche siamo scampati al forno crematorio”.

Il terzo premiato, Franco Sacchi, ha sottolineato come “la mia fortuna sia stata quella di esser finito in un lager di alpini, considerati dagli stessi tedeschi come persone forti e coriacee. In questo modo mi hanno mandato a lavorare in una grande fattoria, dove pane e patate non mancavano quasi mai”. “Il supporto morale e fisico degli alpini – ha ammesso Sacchi – mi è stato fondamentale, perché di fronte ai racconti delle loro sofferenze sul Don e a Nikolajewka la mia condizione di internato non era nulla di paragonabile. Così alla fine del settembre 1945 ci hanno rimpatriati, ma è stata un’esperienza lunga e dura, vissuta a soli vent’anni”.

A conclusione della manifestazione, sono intervenuti anche i ragazzi della classe 3^A dell’Istituto “Aldo Moro”: partendo da alcune letture fatte in classe, hanno riproposto alcuni dei passaggi più significativi, con la promessa “di dipingere queste parole sui muri della nostra scuola”: un altro modo per non dimenticare quanto successo ai deportati e ai prigionieri lecchesi durante la seconda guerra mondiale.

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