L’impresa dei Ragni al Torre sfuma e ne spunta un’altra al Fitz Roy

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PATAGONIA – L’’obiettivo principale della spedizione patagonica di Matteo della Bordella, Luca Schiera e Silvan Schupbach, resta ancora inaccessibile, corazzato dietro l’’armatura di ghiaccio che ancora ricopre le pareti del Cerro Torre (vedi articolo). Nei giorni scorsi, però, i tre hanno approfittato di una breve finestra di bel tempo per dedicarsi a un obiettivo di tutto rispetto: la ripetizione della via dei Ragni al Fitz Roy. Il progetto per ora è rimasto solo un tentativo, ma di sicuro da questa “ricognizione” sono nati nuove idee, stimoli e sogni da rincorrere….

“Quest’anno sembra che le condizioni per scalare il Cerro Torre non arrivino proprio, o per lo meno le buone condizioni per scalare la sua parete Nord, che era l’obiettivo che ci eravamo prefissati per questa spedizione – fa sapere  Matteo Della Bordella dalla Patagonia – Dopo la prima finestra di bel tempo che ci ha permesso di scalare il Fitz Roy a metà febbraio, si annunciavava un’altra finestra di 3 giorni per la fine del mese di febbraio. Nei giorni scorsi le previsioni davano temperature molto alte (zero termico a 3600 metri) e le pareti non erano ancora ripulite dal ghiaccio accumulato in mesi di maltempo. Così abbiamo deciso di scartare a priori il nostro progetto al Cerro Torre. Personalmente mi spiace di aver parlato molto da casa di questa ipotetica salita e poi non averla nemmeno tentata, ma i rischi oggettivi presenti su quella parete per noi sono troppo alti con le condizioni attuali e le temperature previste. Su questo siamo tutti d’accordo ed è sufficiente per farci abbandonare la nostra idea e dedicarci ad altro senza rimpianti”.

All’interno del gruppo Ragni – ma anche al di fuori – se ne parlava già da un po’ e così il terzetto ha deciso di tentare la ripetizione della via dei Ragni al Fitz Roy.

“Sarebbe bello andare a ripetere la via dei Ragni al Fitz Roy, ripulirla dalle scalette di metallo e poi salirla in libera…”, si diceva, un progetto che in realtà ne contiene 3 diversi e che rientra senza dubbio nella categoria di quegli obiettivi “che valgono una spedizione”.

fitz roy 2

La via dei Ragni al Fitz Roy sale per circa 1200 metri di parete sul pilastro Est e fu terminata nel 1976 da Casimiro Ferrari e Vittorio Meles, dopo innumerevoli tentativi portati avanti da un folto team del gruppo Ragni e dopo che già in precedenza altre cordate avevano tentato senza successo questa via. Il successo di Casimiro Ferrari su questa parete è arrivato dopo un vero e proprio “assedio”, andato avanti mesi e che ha richiesto “artiglieria pesante”, quali centinaia di metri di scalette metalliche, e centainaia di chiodi (ma non a pressione). Erano altri tempi e stiamo parlando a tutti gli effetti di una grande impresa alpinistica d’altri tempi.

Negli anni successivi sull’imponente parete Est del Fitz sono nate altre vie molto blasonate e che al giorno d’oggi contano qualche ripetizione come “Royal Flush” o “ El Corazon”, ma per un motivo o per l’altro, nessuno ha mai ripetuto il pilastro Est dove corre la via dei Ragni.

Così Della Bordella, Schiera e Schupbach decidono di “metterci le mani” partendo con l’intento di ripetere la via in 3 giorni e a questo punto lasciamo la parola a Matteo, uno dei tre protagonisti e al suo racconto:

“Partiamo di buon ora dal Paso Superior e superiamo la terminale appena fa chiaro.
Qui inizia la festa: i primi 160 metri sono costituiti praticamente da un unico diedro solcato da una fessura mano-pugno-offwidth sulla sua faccia sinistra. La scalata è fantastica e molto sostenuta, tutta d’incastro e perfettamente verticale. Solo che servirebbero 4 serie di friend dall’1 al 4 per proteggersi in modo adeguato. Con 3 fantastici tironi da 55 metri, in circa 3 ore siamo alla fine del pilastro.
E qui iniziano i dolori: traversi, camini bagnati, fessure ghiacciate e scalette di metallo in mezzo. Come ha detto Silvan da qui in poi la scalata diventa “90% not fun and 10% dangerous”. Pian piano mi faccio strada sui tiri successivi. A volte, per fare più in fretta tiro qualche scaletta di metallo evitando così di dover ripulire i tratti di fessura ghiacciata. Ogni volta che mi appendo a quei pioli inizio a sudare freddo e mi vedo già precipitare giù con la scaletta che mi arriva in faccia, ma per fortuna nonostante qualche cavo strappato, le scalette di Casimiro (o chi le ha costruite per lui) dimostrano solidità anche dopo 38 anni!
A pomeriggio inoltrato raggiungiamo la prima grande cengia e con qualche lunghezza più facile su terreno misto ci portiamo sotto a una nuova parte verticale. Siamo alla ricerca di un posto da bivacco, per passare la notte, ma non riusciamo a trovare nulla, solo qualche cengia spiovente ricoperta da ghiaccio e neve.
Mi viene in mente che sulla relazione di “Royal Flush” è indicato un posto da bivacco al 14esimo tiro, così pensiamo di andare lì a bivaccare per poi ridiscendere il giorno successivo. Purtroppo, non so se normalmente ci sia meno ghiaccio in parete e le cenge siano pulite o se il bivacco sia inteso con amaca o portaledge, ma anche qui non troviamo sulla, solo cenge spioventi coperte con ghiaccio e neve e un posto per sedersi per una persona.
Siamo di fronte alla scelta di passare la notte appesi o rinunciare. Facendo due calcoli: abbiamo davanti a noi una parete di 900 metri alta e ripida come El Capitan, non sappiamo nemmeno bene dove passa la via per poter provare a procedere di notte, stiamo scalando da 13 ore ed avremmo bisogno di riposo.
Decidiamo all’unanimità di scendere. Anche se dentro di me è una decisione che stavolta brucia. Brucia e mi lascia qualche rimorso perché la motivazione era altissima e stavamo procedendo nei tempi previsti. Ma forse una decisione saggia, a giudicare dalle condizioni in cui mi sono risvegliato la mattina successiva e considerando il fatto che a metà del terzo giorno si è alzato un vento molto forte, mentre stando alle nostre previsioni il tempo avrebbe dovuto tenere almeno fino alla mattina seguente.
L’inizio di un nuovo progetto? Si vedrà. In realtà quello che un po’ sapevo già della Patagonia, ma di cui ho ancora avuto più conferma quest’anno è che è molto difficile e rischioso fare programmi e focalizzarsi su un unico progetto. Molto meglio partire con qualche obiettivo chiaro e poi decidere sul posto in base alle condizioni che si trovano”.

 (Fonte info e foto: www.ragnilecco.com)