Nella Chiesa del Sacro Cuore di Mandello l’ultimo saluto al grande alpinista scomparso a 86 anni
Le nipoti: “Non potevamo avere nonno migliore. Ti ameremo per sempre”
MANDELLO – “Mi piace pensarti in un posto migliore mentre giochi a golf o scali qualche vetta. Ora hai raggiunto quella più alta. Come dicevi tu: ‘C’è il Re di Francia e il Re di Norvegia, e poi ci sono io, il Re del Civetta’. Ciao Re del Civetta, ti ameremo per sempre”.
Si sono svolti questa mattina, mercoledì 2 marzo, nella Chiesa del Sacro Cuore a Mandello, i funerali di Giorgio Redaelli, 86 anni, alpinista soprannominato ‘Re del Civetta’, membro onorario dei Ragni di Lecco. Tante le persone che hanno voluto riunirsi accanto alla famiglia per dare l’ultimo saluto al grande alpinista, autore di celebri imprese tra gli anni ’50 e ’60 (tra cui la prima salita invernale della via Solleder al Civetta compiuta nel 1963 con Toni Hiebeler e Ignazio Piussi).
In chiesa erano presenti il presidente dei Ragni Luca Schiera insieme ad altri esponenti del gruppo dei maglioni rossi (tra cui Luigino Airoldi) il sindaco di Cassina Valsassina – paese dove Redaelli viveva – Roberto Combi, il consigliere comunale Sergio Gatti in rappresentanza dell’amministrazione comunale di Mandello, dove Redaelli era nato, e molti altri tra amici e conoscenti. In prima fila la moglie Aurora con i figli Nicoletta e Mauro e le nipoti.
I ricordi delle nipoti
Sono state proprio le commosse parole di due nipoti, Carolina e Caterina, a restituire il ritratto di Redaelli: non solo un appassionato alpinista ma anche un nonno ‘sprint’, attento e premuroso, amante del golf e delle barzellette.
“Negli ultimi tempi non eri più tu ormai ma non importa – ha ricordato una delle nipoti, Carolina – Quello che importa è ciò che hai lasciato nei nostri cuori e che custodiremo per sempre, come gli indelebili ricordi ad Artavaggio dove tu eri il migliore compagno di giochi. Ricordo quando ci portavi a scalare con corde e imbrago e ci raccontavi delle vette che avevi conquistato, delle notti trascorse in parete e di quanto amavi la montagna, un amore che hai trasmesso a tutti noi. Avevi sempre un sacco di barzellette da raccontare – ha proseguito – ridevamo a crepapelle anche se ogni tanto le tue barzellette non le capivamo nemmeno. Mi piaceva quando arrivavi a casa nostra e chiedevi due cose, i polaretti e il golf in tv, quando mi portavi le chiavette Usb con su le foto di te e la nonna in giro a scalare per il mondo, quando mi mandavi i vocali in whatsapp che cominciavano sempre con ‘ok, è partito, ora puoi parlare…ciao, siamo i nonni!’ come se io non lo sapessi. Come nonno non avresti potuto essere meglio di così. Dicevi sempre che avresti preferito morire in parete ma noi siamo contenti, altrimenti non avremmo avuto la fortuna di averti al nostro fianco – ha concluso commossa – come dicevi tu: c’è il re di Francia e il re di Norveglia, e poi ci sono io, il re del Civetta. Ciao, re del Civetta. Ti ameremo per sempre”.
Il parroco durante l’omelia: “L’arrampicata è metafora del cammino della vita”
Nell’omelia, Don Ambrogio Balatti ha ricordato “l’animo estroverso e creativo” di Redaelli “che ha esercitato fin da piccolo e che ha espresso nel modo più esaltante con le sue imprese alpinistiche”. “Sono di qualche anno più grande di Giorgio ma me lo ricordo – ha continuato il don – è nato a Molina ed è cresciuto anche intorno a questa chiesa. La figura dell’arrampicatore è una metafora del cammino della vita, un cammino che serba sempre qualche traguardo da raggiungere e che comporta una fatica da compiere per arrivare in cima, da cui però si può godere di un panorama che da terra non vedremmo. Questo ci aiuta a capire qual è il senso della nostra vita. Giorgio aveva capito che trovava gioia quando raggiungeva il traguardo che si era prefissato, in cordata con i suoi amici”.
Al termine della comunione sono risuonate le note del Signore delle Cime. La bara di Giorgio Redaelli è stata quindi portata fuori dalla chiesa dai maglioni rossi presenti: “Addio Re del Civetta, finalmente sei sulla vetta più alta”.