In provincia di Lecco ci sono più morti in montagna che sulle strade

Tempo di lettura: 6 minuti
Soccorso Alpino Valsassina FMI Moto Club Valsassina intesa protocollo trial 2022 (53)
Alessandro Spada capo stazione della Stazione Valsassina e Valvarrone del CNSAS

Il dato allarmate presentato dal capostazione Valsassina – Valvarrone del CNSAS Alessandro Spada

“A molte persone manca la cultura della montagna, non possiedono le conoscenze basilari per affrontare anche una semplice escursione. Serve formazione partendo dalle scuole e serve migliorare la comunicazione sfruttando il digitale”

VALSASSINA – In provincia di Lecco ci sono più morti in montagna che sulle strade. Il dato, decisamente spiazzante e fors’anche allarmante, è stato fornito dal capostazione Valsassina e Valvarrone della XIX Delegazione Lariana del Soccorso Alpino Alessandro Spada, durante la serata di lunedì scorso organizzata dal Cai Lecco in sala don Ticozzi nell’ambito dei festeggiamenti per il 150° di fondazione (vedi articolo).

Se un rapporto percentuale preciso fra il numero di mezzi che transitano e circolano in un anno in provincia di Lecco e il numero di persone che frequentano le montagne lecchesi non c’è, è tuttavia evidente che i mezzi in circolazione sono di gran lunga più numerosi dei frequentatori delle montagne, comprendendo tutti: escursionisti, alpinisti, scalatori e cercatori di funghi.

Nonostante ciò, i morti sulle strade sono inferiori rispetto a quelli in montagna. Numeri alla mano, Spada ha mostrato come negli ultimi tre anni (dal 2020 al 2022) i morti in montagna (dati CNSAS) sono stati 54: 17 nel 2020, 14 nel 2021 e 23 nel 2022; mentre i morti sulle strade (dati Istat) sono stati 40: 11 nel 2020, 14 nel 2021 e 15 nel 2022.

Il confronto con l’anno 2023 non è ancora possibile, in quanto il dato Istat sui decessi in incidenti stradali non è stato ancora fornito, mentre sono 21 le persone decedute lo scorso anno sulle montagne lecchesi.

“E’ un dato preoccupante – spiega il capostazione Spada – Come lo è del resto il numero di interventi effettuati durante tutto l’arco del 2023 dalle Stazioni di Lecco, Valsassina-Valvarrone e Triangolo Lariano sulle montagne lecchesi, che ammontano a 342, quasi un intervento al giorno. A questi, è bene ricordare, si devono sommare gli interventi effettuati da altri enti, come i Vigili del Fuoco. Quindi, 342 interventi è un dato in difetto”.

Andando più in profondità nella lettura dei numeri, Spada sottolinea come il 78% di queste persone non sono iscritte al Cai o comunque ad associazioni escursionistiche.

“Questo dato, che può sembrare di poco rilievo, cela invece un’informazione importante e probabilmente una grande verità di fondo legata ad altri due dati. Il primo, di queste 342 interventi 120 sono per persone illese; il secondo dato, sempre sul totale di 342 interventi effettuati nel 2023, 199 sono per escursionisti, quindi per persone impegnate in un’attività di fatto semplice, non stiamo parlando di arrampicatori (per i quali sono stati effettuati solo 11 interventi) o alpinisti (42 interventi). Ciò significa, e torniamo alla verità di fondo nascosta, che manca una cultura di base della montagna. Molte persone non hanno le conoscenze basilari per affrontare anche una semplice escursione”.

Quindi aggiunge: “Sono persone che si sono perse, disorientate, incapaci di tornare su propri passi, di ritrovare il sentiero e raggiungere la meta che sia il rifugio, la vetta o la via di casa, persone che si fanno sorprendere dal buio, eccetera, eccetera”.

I soccorsi in piazzola a Barzio
I soccorsi in piazzola a Barzio

A corroborare l’analisi vi è un altro dato significativo, tutte queste persone provengono da fuori provincia. “Sia chiaro – tiene a precisare Spada – Con questo dato non si vuole far passare il messaggio che i lecchesi sono più bravi, ma è pur vero, e lo dicono i dati, che chi vive in prossimità delle montagne, chi è abituato a frequentare la montagna, conosce il territorio, i sentieri e cosa non secondaria, possiede quelle informazioni tali per cui, se si intraprende un’escursione con un determinato dislivello e una determinata lunghezza, si riesce a valutare lo sforzo richiesto, il tempo necessario per raggiungere l’obiettivo e quindi si sa a priori se si è pronti e preparati per effettuare quella determinata escursione”.

A questo si aggiungono altre accortezze, come il premurarsi di avere informazioni sull’evoluzione del meteo, piuttosto che sulle condizioni dei sentieri, aspetti che in montagna non devono essere dati per scontato.

“Nelle nostre zone – prosegue Spada – C’è ancora una cultura diffusa della montagna, dovuta alle abitudini anche tramandate, all’assidua partecipazione ad associazioni come al Cai o ad altre associazioni appartenenti al mondo della montagna, alla frequentazione di Guide Alpine, tutte cose che portano ad una crescita consapevole e un’educazione alla montagna. Non è così, fatte le dovute eccezioni, per chi vive nelle metropoli e nelle aree di periferia come l’hinterland milanese o la Brianza, dove la cultura della montagna manca e i fatti lo dimostrano”.

Foto archivio soccorso alpino
(foto archivio)

In questo contesto, dove, soprattutto dopo il Covid-19 sempre più persone hanno iniziato a frequentare la montagna, cosa si potrebbe fare per educare alla montagna?

“Fare formazione, iniziando dalle scuole. Cosa che per esempio in Valsassina facciamo già. Sfruttare meglio e al meglio la tecnologia. Sempre più persone si basano sulle informazioni che trovano in internet attingendo a fonti non ufficiali, in questa direzione si potrebbe fare qualcosa di più e di diverso per dare un approdo sicuro, specializzato e professionale a chi cerca informazioni: penso ad un App, o ad un sito specifico. L’esempio più eclatante di cosa significa dare credito a ciò che si trova in rete è quanto successo tempo fa al Monte Due Mani quando alcuni giovani hanno rischiato grosso per via del maltempo, avendo poi dimostrato di non sapere nemmeno dove stessero andando”.

Poi Spada invita a riprendere quelle buone pratiche che un po’ si sono perse: “Chiamare i rifugisti che sono delle sentinelle del territorio. Il Soccorso Alpino stesso in alcuni casi per avere info su condizioni meteo locali e situazione dei sentieri chiama i rifugisti;  controllare sempre con attenzione le previsioni meteo e non da ultimo, tornare ad abituarsi ad usare gli scarponi. Gli infortuni e quindi i soccorsi ad escursionisti che si sono fatti male alle caviglie perché indossano scarpette da trail running o simili sono moltissime”.

Tutte queste accortezze, cosa comporterebbero? Che riflessi positivi avrebbero? “Meno infortuni, significa meno soccorsi e quindi un risparmio di denaro pubblico. Consideriamo che, per essere più performanti ed evitare che le situazioni peggiori, bisogna muoversi nel modo più rapido possibile e là dove è possibile, si alza in volo l’elicottero. Questo avviene solitamente anche se una persona è illesa, perché essendo in ambiente ostile e/o impervio esiste il potenziale pericolo per il rischio evolutivo. Cosa significa: una situazione che al momento non desta preoccupazioni, può evolversi a causa di diversi fattori, diventando una situazione critica: peggiora il meteo, la persona illesa inizia ad avere problemi di salute, insomma sono diverse le motivazioni. Quindi, riuscire a ridurre il numero di interventi attraverso un’educazione alla montagna, implicherebbe un risparmio enorme di denaro e di tempo”.

Va inoltre considerato, che muovere il Soccorso Alpino, significa muovere dei volontari i quali alla chiamata di intervento mollano lavoro, impegni famigliari, eccetera, un dettaglio non da poco e che troppo spesso viene dimenticato, focalizzando l’attenzione solo ed esclusivamente sui costi, senza dimenticare il fattore rischio, altra variabile che ad ogni chiamata ogni volontario deve mettere in conto.