L’arbitro fischia la fine. Italia Spagna 0-4. Ma stranamente sembra tutto ok, anzi c’è persino quella sorta di pienezza mista a malinconia per qualcosa che è appena terminato, qualcosa che ha lasciato un segno, qualcosa che, se non fosse per il risultato, si potrebbe persino definire “bello”. E forse, indipendentemente da tutto, questi Europei sono l’esempio di come lo sport possa appartenere ad un livello superiore ed essere l’emblema di un modo di vivere, di come spesso, se non ci si perde in inutili sofismi, tornare ad un principio del “vi dico le cose come stanno” renda tutto più facile. Alla guida avevamo un Prandelli formato “Totale”: un uomo per tutto, nel vero senso della parola, in grado di rispondere a qualsiasi domanda, ma con l’abissale differenza rispetto ad altri, di darti la risposta più logica, sensata, naturale, cortese, talmente cristallina da farti capire come spesso le domande stesse siano davvero fuori luogo. Prandelli è l’emblema dello Sport vissuto in quanto tale: sa bene che al di là della sfera rotonda c’è il vero mondo “reale” e questo principio lo porta con sè in ogni gesto e parola. Non è qualcosa che si impara in 5 minuti, è una qualità che 1) o ci nasci 2) o la puoi apprendere con gli anni, ma che di certo non puoi improvvisare.
E così tutto scivola: dove altri si sarebbero incagliati, lui soprassiede, va avanti. Non possiamo leggere la sua mente ma credo che a grandi linee, per tutto l’Europeo si sarà concentrato su pensieri del tipo: “devo far giocare bene i ragazzi, dobbiamo tenere il pallino del gioco, essere in campo coprendo gli spazi e ripartendo, non pensare ad altro se non a quello”. Fin qui niente di nuovo, tanti allenatori lo fanno, ma lui sa trasmetterlo.
Il mondo intorno cercava di entrare con tutte le sue sfumature (calcioscommesse, dichiarazioni infelici, crisi economiche vs calcio, presunte liti, etc.) e lui, molto cortesemente, faceva capire che queste cose potranno certamente essere importanti “di là”, ma che di certo, come allenatore della Nazionale agli Europei, era forse meglio che si proiettasse sul suo compito. Non c’era nè polemica nè altro, era un dato di fatto.
Nei termini della Psicologia dello Sport si può dire che il Mister abbia lavorato molto su elementi quali il dialogo interiore e la gestione dell’attenzione.
Quando alla guida della nave ti ritrovi una persona con questo approccio, un esempio così buono ogni giorno, è facile che poi tutto il resto della ciurma si… adegui :-).
Abbiamo assistito a situazioni davvero “educative” in questi Europei: in molti hanno citato Bonucci mentre tappa la bocca a Balotelli dopo il gol, ma credo che sia molto più significativo un altro episodio, sempre con il nostro bomber: la sostituzione nel match con la Germania dove Mario non la prende bene, e subito un gruppo di 4-5 azzuri in panchina gli si parano attorno come un muro, dando l’impressione di proteggerlo più dagli occhi indiscreti delle telecamere, piuttosto che dalle sue manifestazioni. E’ stato bello vedere una squadra all’unisono aiutare un campione a… esserlo.
Oppure vedere i senior come Buffon saper trovare le parole giuste per parlare ai ragazzi nei momenti chiave, De Rossi stringere i denti e correre per 3, Pirlo non sbagliare il lancio sul pallone ricevuto proprio dal centrocampista della Roma. Cassano fare il Cassano, qualità e coraggio, accettare l’errore, il fatto di avere 60 minuti nelle gambe e riprovarci. Diamanti che entra e non si spaventa. Di fantasmi se ne sono visti pochi.
Tutti stavano al loro posto, ognuno faceva la sua parte, il gruppo era coeso e guidato da un principio: siamo all’Europeo, giochiamo al pallone. Esseri uniti non vuol dire andare d’amore e d’accordo, vuol dire esserci per il compagno quando serve, capire quando lui ha bisogno e viceversa. Ben vengano i presunti “vaffa” in spogliatoio se ciò aiuterà a capirci meglio in campo. Chi si stupisce di questi episodi lo fa solo per generare a sua volta stupore per terze ragioni, ma chi conosce lo sport non si sofferma realmente su queste vicende.
Il cammino intrapreso dagli Azzurri è quanto di più saggio e logico si possa fare, un principio da applicare in tutti gli sport di squadra: noi facciamo sport, stop. Abbiamo perso la finale, è vero, ma emblematiche sono state le parole di Prandelli: “Dovevo cambiare formazione ma avrei mancato di rispetto a chi mi aveva portato fin lì”. Da questo si capisce un ulteriore elemento di fondo: fiducia e riconoscenza. Costruire le capacità di vincere grazie alle persone che hanno vissuto il percorso e non il classico “vincere e basta”. Stavolta è andata male, ma eravamo lì in fin dei conti.
Non so se la cultura sportiva da sola possa portare alle vittorie, ma so che senza di essa in finale non ci si arriva di certo.
Dott. Mauro Lucchetta – Psicologo dello Sport
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