Molto spesso in questa sede abbiamo parlato di Psicologia dello Sport affiancata ai contesti societari, altre volte di psicologia applicata ad atleti professionisti/d’elite. E’ perciò giunto il momento di parlare della stragrande maggioranza degli atleti: quelli per cui non esistono medaglie, quelli che si alzano alle 7:00 del mattino, pronti per partire ed alle 7:10 sono già di nuovo a letto al motto di “ma chi me lo fa fare?!”, quelli che si comprano l’attrezzatura “professionale” nella catena all’ingrosso che tutti conosciamo… Insomma loro, anzi, con buone probabilità di azzeccarci, possiamo dire pure tu ed io: gli sportivi occasionali, meglio conosciuti come sportivi della domenica (o anche atleta “fai da te”).
Possiamo considerare nella categoria tutti coloro che non sono ufficialmente iscritti/tesserati in nessuna società (l’iscrizione in palestra non conta :-)), ma che di fatto praticano, a modo loro, uno sport. Non c’è da stupirsi, sono tantissimi: sia perchè oggigiorno è difficile organizzare il proprio tempo, perciò fare sport si riduce a trovare gli “spazi” per farlo, sia perchè in molti casi si tratta di sportivi di ritorno, cioè di coloro che praticavano una qualche attività sportiva presso una società e che ad un certo punto se ne sono andati per poi riprendere la stessa attività in maniera autonoma (ad esempio il calciatore che abbandona la squadra per poi ritrovarsi a giocare a calcetto ogni settimana). Quest’ultima categoria è un grosso problema delle ASD: quando un atleta lascia per poi rientrare in autonomia vuol dire che qualcosa nel rapporto atleta/società non ha funzionato. Non pensate che siano pochi: circa il 28% di chi chiude un rapporto con una struttura, torna poi a svolgere la stessa attività “a modo suo”.
In ogni caso, al di là della provenienza dell’atleta occasionale, è a mio parere utile nutrire un profondo rispetto per questa classe, soprattutto per i più organizzati e costanti poichè sono considerabili come “portatori sani di motivazione“. Applicata alla sfera quotidiana (vita, lavoro, amore, relazioni), questa filosofia di vita può dimostrarsi un’arma vincente. Provate a pensare a quel vostro amico/collega/vicino, che (non si sa bene per quale motivo), ogni giorno, verso sera quando è buio e fa freddo, va a fare il suo giro (in bici, di corsa, con i pattini, etc.): l’occhio pigro di solito li considera “fuori di testa”, ma è un problema di chi guarda, bisogna ammetterlo. Sono scelte che si capiscono vivendole in prima persona, cercando proprio di replicare quella “motivazione” che vediamo in loro facendola nostra. (De)motivazione e Pigrizia rappresentano due elementi caratterizzanti della nostra società per tutta una serie di ragioni che esulano dal lavoro di uno psicologo dello sport ma che poi, ovviamente, si trova sempre di fronte: atleti sempre stanchi nel corpo e nello spirito, che non cercano di salire di uno scalino, nemmeno quando si tratta di una scala mobile (sto esagerando, ci sono in realtà molti atleti validi, con carichi di lavoro decisamente pesanti, che lavorano sempre con il sorriso).
Il concetto però che vorrei esporre, racchiudibile in un’equazione forse un po’ semplicistica ma sincera, è questo:
motivazione nello sport = motivazione nella vita
Quando un individuo pratica uno sport, lo fa con costanza e lo fa per sè, molto spesso è motivato a cascata anche in tutto ciò che fa nella sua vita. Ciò avviene principalmente per un motivo: il saper dare importanza alle proprie azioni. Colui che capisce quanto sia importante superare degli obbiettivi autonomamente prefissati, senza che ci sia un arbitro, un giudice, un pubblico o un tabellone segnapunti ad attestarlo, è una persona che quasi certamente ha la capacità di attribuire del valore a tutto ciò che lo circonda. Questo si traduce in un senso di efficacia interiore molto forte: se nello sport le regole ci dicono se “hai vinto o perso”, nella vita di tutti i giorni queste regole… non ci sono! Oppure a volte hanno confini difficili da interpretare. Ma l’uomo ha bisogno di crearsi degli schemi per poter vivere bene: la mente riflette con i presupposti di inizio-fine. Fare un po’ di ordine, quindi, saper dare in autonomia un senso alle proprie azioni, non è altro che un tentativo di organizzare tutto ciò che ci circonda per trarne un vantaggio nella qualità della nostra vita.
Dott. Mauro Lucchetta – Psicologo dello Sport
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