L’ospedale lecchese ha introdotto tecniche mini-invasive nel trattamento delle patologie valvolari cardiache
“Si tratta di interventi che richiedono un approccio multidisciplinare al paziente, che dovrà essere affiancato da una squadra formata da diversi specialisti”
LECCO – Un passo in avanti per la sanità lecchese quello compiuto da ASST di Lecco in ambito cardiologico e cardiochirurgico, a dimostrazione che il Dipartimento Cardiovascolare dell’ASST di Lecco sia, come dichiarato da Paolo Favini, Direttore Generale dell’ASST di Lecco, “formato da un gruppo dinamico di professionisti e capace di confermarsi come punto di riferimento delle patologie valvolari cardiache”.
Le novità introdotte non possono definirsi innovative in senso assoluto, ma lo sono per l’ospedale lecchese: “In pazienti selezionati la valvola viene riparata, evitando l’apertura dello sterno, con tecnica mini-invasiva, attraverso una incisione toracica di pochi centimetri. In questo modo la sanità lecchese amplia la sua offerta terapeutica, posizionandosi al livello dei migliori centri di Cardiochirurgia lombardi“, afferma Michele Triggiani, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Cardiochirurgia.
Insieme alla plastica mitralica in minitoracotomia, dell’esteso programma per il trattamento mini-invasivo della patologia valvolare mitralica fanno parte anche le tecniche transcatetere, come la “Mitraclip”, e l’impianto di vere e proprie protesi artificiali per via toracica a cuore battente che, come spiega Giovanni Rossi, Direttore Cardiovascolare ASST Lecco, “richiedono un approccio multidisciplinare al paziente mediante un Mitral Team, ovvero una squadra che comprende cardiochirurghi, cardiologi emodinamisti, ecocardiografisti e intensivisti”.
Sulla linea della ricerca di procedure sempre meno invasive, al Manzoni di Lecco è stato effettuato per la prima volta l’impianto per via trans-catetere di una nuova bioprotesi all’interno di una valvola mitralica precedentemente impiantata per via chirurgica e ormai degenerata. Questo intervento, svolto in Emodinamica sotto controllo radiologico e con monitoraggio eco-trans-esofageo, è denominato “valve in valve” ed evita un intervento a cielo aperto, molto più invasivo per il paziente.
“Il trattamento “valve in valve” è già impiegato da tempo per la disfunzione delle bioprotesi aortiche. Questo caso ha aperto la via al trattamento anche per la disfunzione delle bioprototesi mitraliche”, puntualizza Luigi Piatti, responsabile dell’Unità Operativa Semplice Dipartimentale di Emodinamica dell’ASST di Lecco.