Pagnona. Vite da eremita: la storia di Don Raffaele Busnelli

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L'Alpe Gallino sopra Pagnona

Intervista al sacerdote che da 11 anni vive all’Alpe Gallino sopra Pagnona dove ha costruito il suo Eremo

PAGNONA – “Se mi sento mai solo o mi manca la vita prima di diventare eremita? No, il percorso di accompagnamento alle persone non è cambiato e anzi, è senza barriere”. Don Raffaele Busnelli, 51 anni, sacerdote della Diocesi di Milano, da 11 anni vive da eremita in Val Varrone. Siamo all’Alpe Gallino, poco sopra l’abitato di Pagnona, dove il Don ha costruito il suo eremo. Busso alla porta e il sacerdote mi accoglie con un sorriso sereno: “Da dove arriva? Prego, si accomodi” mi dice, facendomi entrare. La stufa è accesa, un gatto bianco e nero scende le scale. Quando confido a Don Raffaele il motivo della mia visita sorride. Non è certo una novità, in molti hanno voluto raccontare la sua storia, ma con gentilezza mi fa sedere al tavolo e si accinge a ripercorrere il suo percorso spirituale che lo ha portato a scegliere di vivere da eremita. “L’unica cosa che le chiedo è di non farmi foto” dice. ‘In redazione avranno da dire’ penso tra me, ma non importa. E cominciamo la nostra chiacchierata.

alpe gallino pagnonaQual è la sua storia?

Sono nato a Mariano Comense, dopo essere stato ordinato prete ho lavorato in parrocchia per 13 anni, prima a Cologno Monzese e poi a Treviso. Verso l’ottavo anno del mio percorso è iniziata a maturare in me un’esigenza di silenzio e preghiera, ne ho parlato con un altro sacerdote perché temevo che questo mio desiderio venisse interpretato come una fuga dalla realtà sociale e pastorale. Ho deciso intanto di continuare a fare quello che stavo facendo, rimandando la questione, ma il richiamo al silenzio e alla preghiera era persistente. Trovavo il tempo di assecondare la mia ‘vocazione nella vocazione’ alzandomi presto la mattina o ritagliandomi il tempo in tarda serata, ma poi arrivò l’esigenza della solitudine e ciò evidentemente si scontrava con la mia attività pastorale. Su consiglio di un altro prete che nel 1984 aveva iniziato con le oasi monastiche decisi di parlarne con il Cardinal Martini che mi aveva ordinato. Lui mi tranquillizzò, spingendomi ad approfondire questa mia vocazione, così ho iniziato questo percorso di formazione durato quasi 5 anni. Ho cambiato la parrocchia, sono andato a Treviglio, e dopo tre anni ho lasciato, sostenendo il mio primo anno di prova eremitico. Era il 2012. L’importante, quando si prende una scelta simile, è essere guidati, non inventare il percorso”.

Come è arrivato in Val Varrone?

Conoscevo già questo luogo, venivamo con i ragazzi dell’oratorio per l’estate. L’alpeggio era abbandonato, quando ho intrapreso la vita da eremita ho trascorso un anno e mezzo in una vecchia casa parrocchiale poi sono arrivato qui, ho sistemato alcune baite e stalle e ho ricavato la realtà dell’eremo: la mia dimora e la chiesina dedicata a Mosè dove ogni domenica alle 8 dico Messa”.

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La piccola chiesa dell’Eremo della Breccia

Com’è la vita da eremita?

E’ una vita molto semplice, i pilastri su cui si basa sono la preghiera, il silenzio, la solitudine, il lavoro e l’accoglienza. Mi alzo la mattina presto e prima di dire messa prego. Di giorno sbrigo alcuni lavori di falegnameria, ora che siamo sotto Natale realizzo anche delle candele. Dalle 17 alle 7 vige silenzio assoluto e se ho ospiti chiedo anche a loro di rispettarlo. In tanti vengono a trovarmi, l’eremo non ha attività pastorali dedicate, qui arriva un po’ di tutto ed è questa la realtà nuova che ho scoperto e che apprezzo rispetto al lavoro in parrocchia dove invece i cammini sono impostati. Qui c’è di tutto: ho ospitato un rifugiato politico iraniano, ora ha trovato lavoro ma quando è libero viene sempre a trovarmi. Sono passate persone da oltre 30 paesi nel mondo, di diverse fedi e spiritualità. E’ un’accoglienza inclusiva”.

Le manca la vita di prima?

No, anche perché l’accompagnamento delle persone non è cambiato. Aiuto la gente a fare discernimento, da me vengono anche tanti fidanzati che, ad esempio, chiedono di approfondire il percorso di fede prima delle nozze. Il vero vantaggio di questa situazione è l’assenza di barriere, vedo a parlo con una varietà di persone che in parrocchia non ho mai avuto. Ed è bello: l’ambito della spiritualità non ha confini e non deve averne”.

alpe gallino pagnonaPerché l’Eremo della Breccia?

Mi sono ispirato al Salmo 105, Mosè che sale sulla breccia per fermare la collera di Dio, che intercede chiedendogli di tornare sui suoi passi, di non lasciare che l’ira prenda il sopravvento sulla misericordia, di riconoscere le fatiche del suo popolo. La ‘breccia’ insomma è un punto di incontro, per tutti.

C’è chi l’ha criticato per questa sua scelta di vita?

No, ma non è raro che qualcuno mi dica “tu che vivi in montagna, sicuramente Dio ascolta le tue preghiere perché sei più vicino a lui”. Questo non è un luogo privilegiato per rapportarsi con Dio, ci tengo a precisarlo: il rapporto con la parola di Dio può essere vissuto e condiviso da chiunque, come Dio non ascolta le preghiere di uno e non dell’altro, ma di tutti. Se fosse un Dio che privilegia non sarebbe il mio e non crederei in un Dio così. Nell’assetto clericale sembra che il prete abbia quel qualcosa in più, ma non è così, nessun uomo è privilegiato, la piramide è sempre rovesciata, la punta sotto e la base sopra, ovvero si parte singolarmente e si arriva alla condivisione”.