CALOLZIO – Riceviamo e pubblichiamo:
Dunque a Calolzio ha aperto un nuovo supermercato e a breve aprirà un fast food, attività che si aggiungono alle numerose altre già presenti variamente legate a grandi catene commerciali.
Tutto legittimo, certo. Ma che gran tristezza vedere, arrivando da Cisano sulla Lecco-Bergamo, questa infilata continua di capannoni con le loro accattivanti mega-insegne inframezzati da edifici residenziali che sembrano ormai pesci fuor d’acqua, vittime loro malgrado della palesemente scarsa cura di lungo periodo subita dal comune nella gestione urbanistica del suo territorio. Un territorio, quello calolziese, che al piano è stato ormai quasi del tutto consumato e cementificato, salvo rari brandelli di verde che chissà quanto ancora resisteranno a nuove future concessioni edilizie. Le belle montagne dell’alta Val San Martino e del lecchese, una volta meraviglioso biglietto da visita per chi giungeva da Bergamo con i loro profili decisi e referenziali, ora si possono soltanto intravedere tra gli angoli dei grandi edifici – sempre che qualcuno riesca ancora a fare caso alla loro bellezza e non venga distratto dalle insegne colorate dei punti vendita e dalle loro lusinghe consumistiche.
E come dietro o sotto il cemento scompare il paesaggio naturale, inevitabilmente svanisce sempre più anche quello antropico (i negozi di quartiere chiudono, mancano i centri di aggregazione sociale, le zone ancora pregiate non vengono adeguatamente valorizzate, eccetera) con il luogo sempre meno capace di manifestare una propria identità peculiare e per ciò sempre più assimilabile a un “non luogo” per chi non ne conosca qualcosa, e con i suoi abitanti che di conseguenza faticano e faticheranno in maniera crescente a potercisi relazionare culturalmente.
Tutto legittimo, ribadisco: i tempi cambiano e parimenti i luoghi, gli abitanti, i costumi, i paesaggi – e poi tutta questa grande scelta commerciale fa comodo, no? Già.
È un processo inevitabile? Forse sì, tuttavia mi viene da pensare che si potrebbe governare e rendere più equilibrato se si mantenesse maggiormente viva la sensibilità e si salvaguardasse il valore dell’identità culturale del luogo, che si manifesta non tanto e non solo nei simboli e nelle tradizioni ma innanzi tutto nel legame tra il luogo e i suoi abitanti nonché nella consapevolezza che questi esprimono e alimentano nei riguardi del luogo in cui vivono: «abitare» nella sostanza significa proprio questo, non è solo risiedere in una casa e comprare cose nei negozi locali. Consapevolezza che poi diviene attenzione, cura per il luogo, motivo di socialità, partecipazione, senso civico. Tutte doti che solitamente risultano poco presenti quando non assenti nei paesaggi urbanizzati troppo mercificati – nelle varie accezioni che possiede il termine.
Ovviamente, l’augurio è che questa circostanza infausta a Calolzio non si possa compiere, almeno non definitivamente.
Luca Rota