Ricordato a Lecco Giovanni Falcone

Tempo di lettura: 4 minuti

All’auditorium della Camera di Commercio di Lecco la commemorazione della strage di Capaci, nella quale 19 anni fa persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta. La serata organizzata da Appello per Lecco ha visto la sala dell’auditorium piena, con anche molta gente in piedi.
L’intervento in apertura è spettato ad Armando Spataro, collega di Falcone, che ne ha ricordato anche l’aspetto di  un uomo anche deluso, tra le varie cose anche per non essere riuscito a entrare nel Consiglio Superiore della Magistratura, interpretando in ciò una presa di distanza dello Stato anche dal progetto della creazione di  un procuratore generale dell’antimafia nella cui genesi Falcone era impegnato, ma che non ebbe la soddisfazione di vedere realizzato perché assasinato prima.

In sala lo ascoltavano Virginio Brivio, sindaco di Lecco, Vico Valassi, presidente della Camera di Commercio che ospitava in casa l’incontro, e numerosi consiglieri comunali e membri della giunta Brivio.

Il pizzo più esoso delle tasse
Interessante, perché inusuale, la sottolineatura di Giorgio Ambrogioni, presidente nazionale di Federmanager, quando nel suo intervento ha fornito un po’ di cifre: “La Finanziaria chiede agli imprenditori 20 miliardi di euro, essi si lamentano, ma in compenso ne danno 60 a mafia e criminalità e 120 l’insabbiano nell’evasione fiscale”.

La serata è stata intensa, sul palco dei relatori c’erano anche il giornalista e scrittore Claudio Fava e Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, si è così potuto vedere concentrato il fenomeno dell’organizzazione mafiosa e guardato in vari aspetti.

 


Di Falcone, Spataro ha parlato come di un modello da seguire e da non strumentalizzare a fini politici e l’accento è caduto sulla divisione delle carriere dei magistrati. Poi il procuratore aggiunto ha lanciato un monito, ricordando che:  “La lotta alla mafia riguarda tutti, non esiste che qualcuno la usi e la strumentalizzi”.

Quando la memoria è vuota e di maniera
Quasi un excursus storico quello di Claudio Fava che è partito dalle origini della mafia e -arrivando ai giorni nostri – ha raccontato come la memoria a volte si confonda con liturgie vuote. Ne sono esempio due fatti:  il primo è emerso qui in Lombardia dalle indagini sulla presenza della ‘ndrangheta, quando si è scoperto che i vertici di una ‘ndrina si riunivano all’interno di una cooperativa intitolata proprio ai due giudici martiri Falcone e Borsellino. Il secondo è costituito da una lettera, pubblicata dal giornale di Sicilia e acquisita dalla procura di Palermo, in cui i condomini di Falcone gli chiedevano di andarsene per paura di un attentato che potesse arrecare danno al palazzo in cui vivevano. Un pensiero e un sentire – ha detto Fava – purtroppo allora diffusi in tutta la borghesia siciliana e riassumibili così: “Bello avere gente come Falcone, ma senza di loro ci sarebbero più agevolazioni”.

La mafia al posto dello Stato
Perché la mafia sostanzialmente è questo al sud, arriva dove lo Stato non riesce: velocizza le gare di appalto, in cambio di assenza di rapine e maltrattamenti chiede il pizzo, un modo questo ritenuto e percepito dalla popolazione come una sorta di protezione. Infine Fava ha concluso parlando di un Falcone sorridente, dicendo: “Di lui, come di tanti altri, ricordo il sorriso pulito senza rabbia, senza odii e senza furore” e ha concluso citando la cooperativa Placido Rizzotto e la distribuzione dei volantini a Palermo contro il pizzo.

Nord difeso dalla sua cultura sociale
Giuseppe Roma
ha dedicato il suo intervento al vero problema della mafia ovvero il controllo del territorio, non solo militare e diretto, ma presente nelle persone: al sud la resistenza è troppo debole, mentre al nord si ha un forte attaccamento alla società civile e quindi la mafia non riesce ad inserirsi in punti di produzione di base il cui malfunzinamento potrebbe causare blocchi economici. In questo riconoscendo come “La collettività abbia un ruolo fondamentale per dare una risposta alla paura”.
Di contro ha affermato Spataro nella classe dirigente politica c’è un deficit che non è solo di capacità ma anche di moralità, lanciando forti critiche alle campagne elettorali di centro-destra a Napoli e Milano, oltre che al governo.
Sulla questione morale Fava si è detto convinto dell’inutilità della neutralità di animo e di mente: “E’ il bisogno di un paese di ritrovare se stessi a chiederlo”.

E i manager nelle aziende che a volte si trovano in prima fila al pari della magistratura e delle forze dell’ordine nella lotta contro le organizzazioni di tipo mafioso?  Giorgio Ambrogioni, presidente di Federmanager, tra autocritica e descrizione della realtà ha descritto una classe dirigente e imprenditoriale (“La gente pensa che siano egoisti”) che sta iniziando a lavorare sull’etica, sulla morale e sulla responsabilità.

La conferenza si è conclusa con il messaggio di speranza di Armando Spataro: “Nei tempi in cui viviamo il silenzio è una viltà, parlare è un dovere”.