In tanti per l’addio all’alpinista Dino Piazza: “Pilastro del passato e pilastro del presente”

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L’abbraccio del mondo della montagna ai famigliari per ricordare un uomo che ha lasciato un segno profondo

“Ricordo ancora la storia di quando si è sotto una strapiombo e l’unica cosa che puoi fare è piantare un chiodo e andare avanti”

LECCO – C’erano almeno tre generazioni di alpinisti stamattina, nella chiesa parrocchiale del rione di Castello, per dire addio al Ragno della Grignetta Dino Piazza, scomparso sabato scorso all’età di 91 anni. Dai più vecchi fino ai più giovani, Dino Piazza è sempre stato (e lo era tuttora) un punto di riferimento per tutti. Dietro a quella scorza a tratti dura, il Dino è sempre stato un uomo generoso, pronto ad aiutare gli altri oltre che una persona di compagnia.

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A testimoniare il grande affetto che il mondo dell’alpinismo e la città nutrivano per lui c’erano tanti Maglioni Rossi del Gruppo Ragni, a partire dal presidente Luca Schiera, ma anche rappresentati del Gruppo Gamma, del Cai (presente il presidente regionale Emilio Aldeghi) e dei Gruppi Alpini della città, in particolare del Gruppo Monte Medale, a cui era molto legato perché, date le sue origini di Rancio, sotto quella parete era nato e cresciuto e, proprio su quelle strade in salita, era nato il suo amore per la montagna.

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Presente anche una delegazione del Soccorso Alpino con il delegato della XIX Lariana Marco Anemoli e il capostazione di Lecco Massimo Mazzoleni, perché Dino Piazza ha fatto parte di quella generazione di alpinisti che ha contribuito alla nascita del soccorso in montagna. Quando c’era un’emergenza, di giorno o di notte, col bello o col brutto, si partiva e si andava dove c’era bisogno, nacque proprio così quello che sarebbe diventato il Soccorso Alpino per come lo conosciamo oggi.

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A celebrare il funerale don Mario Proserpio che ha ricordato come Dio è sceso sulla terra per condurci nella vera vita, esattamente come Dino Piazza è stato capace di accompagnare durante la sua vita tante persone sui sentieri delle montagne: “Abbiate fiducia in Dio, perché noi siamo abbracciati a Dio”.

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Carlo Aldè

Il Dino alpinista, Ragno della Grignetta, Alpino e imprenditore… è stato un uomo che fino alla fine ha dato tanto a tutti. Particolarmente bello il ricordo personale dell’alpinista lecchese e Ragno Carlo Aldè: “La prima volta che ho conosciuto Dino era il 1976. Era il mese di agosto e mi trovavo con mio padre al Prato di Predarossa. A un certo punto è arrivata una macchina da cui erano scese delle parsone tra cui c’erano Dino, suo figlio Nando e Riccardo Cassin. L’idea era di andare a fare la normale al Disgrazia, salendo al rifugio abbiamo preso un temporale fortissimo e ricordo che ero spaventato perché non avevo mai vissuto una situazione del genere. Ricordo che Dino mi aveva detto che la sua generazione si era formata perché anche d’inverno andavano a lavarsi al lago. Lì per lì mi sembrò una cosa buffa, ma col tempo ho capito quello che voleva dire e quell’episodio mi è rimasto come insegnamento che mi sovviene ancora oggi”.

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“Quella sera nel rifugio – ha continuato Aldè nel suo ricordo – Dino aveva tenuto banco, come era solito fare, e aveva raccontato la storia di quando si è sotto una strapiombo e l’unica cosa che puoi fare è piantare un chiodo e andare avanti: anche questo è stato un prezioso insegnamento che mi porto ancora dietro. Quella sera credo di essergli entrato in simpatia perché qualche giorno dopo mi ha chiamato in ditta e mi ha regalato un paio di ramponi, quelli arancioni che aveva studiato lui. Un regalo di cui vado orgoglioso e che conservo ancora. L’altro giorno pubblicando un ricordo di Dino sui social ho scritto ‘pilastro del passato e pilastro del presente’: io lo vedevo esattamente così e, per ricordarlo, la prossima volta che andrò in Grigna userò quei ramponi arancioni”.

Dino Piazza
Il Ragno Dino Piazza

Un applauso semplice ma carico di significato ha accompagnato il feretro di Dino Piazza all’uscita dalla chiesa. Sulla bara il suo inseparabile maglione rosso, che oggi più che mai rappresenta molto più di un semplice simbolo, ma è la testimonianza di una persona che, con impegno e altruismo, è stato capace di scrivere un pezzo di storia dell’alpinismo e un pezzo di storia della nostra città.

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