LECCO – “Gentile Direttore,
vorrei condividere con Lei un pensiero sulla cd. “Lecco Turistica”: senza alcun amarcord dei pur bei tempi passati in quel di Palazzo Bovara… Personalmente conosco molto bene Lecco.
Ci sono nata e cresciuta e ho avuto il “lusso” di poterne studiare le origini urbanistiche. Nel giugno del 2000 fu pubblicata, in edizione Preprint Rapu (Rete Archivi Piani Urbanistici), una significativa raccolta documentale dei Piani Regolatori lecchesi: periodo 1872-2000. L’esperienza, con la Triennale di Milano e con il Dipartimento di Scienze del Territorio del Politecnico di Milano (coordinatori ed estensori del progetto), fu illuminante e gratificante per me, ai tempi Assessore con deleghe urbanistica/edilizia.
Mi insegnarono, nel senso letterale della parola, ad interpretare attraverso i documenti e le planimetrie la trasformazione di Lecco. Antiche testimonianze cartacee che esprimevano, nei loro delicati tratti colorati, un vissuto cittadino che si evolveva; e con esso anche la sua storia, la sua evoluzione sociale, tesa al progresso e al miglioramento della qualità di vita. La necessità di calarsi in un articolato contesto storico, a me sconosciuto, mi pose nella simpatica, quanto insolita, posizione di spettatore ignorante. Il percorso, insieme agli importanti docenti del Politecnico incaricati, mi aiutò a risolvere queste personali iniziali lacune di preparazione, che, diversamente, avrebbero potuto rimanere tali. Trasferire, poi, quanto imparato e fatto mio nelle allegre stanze della politica fu tutt’altra faccenda.
Ma questo è un capitolo a parte. Mi rimane l’esigenza di esternare ai quattro venti, appena ne ho la possibilità, che Lecco ha un’anima lieve e cupa al tempo stesso. La sua inimitabile striscia di terra, racchiusa tra lago e monti, vanta antichi percorsi agricoli ed approda al difficile lavoro del ferro da forgiare. Tra bottega e casa. Casa e bottega.
Gli sguardi sfuggenti di noi lecchesi, che sappiamo tutto di tutti ma incliniamo seccati il viso al pettegolezzo fine a se stesso, declinano ciò che siamo. Che vorremmo essere. Il turismo siamo noi, con la nostra storia che non può ripetersi. Neanche in chiave 2.0. Siamo noi, con i nostri vecchi dalle mani sporche e tozze, consumate e marchiate dal ferro. Con il nostro lago, che emana l’odore acre del pesce, ogni qualvolta cambia il tempo: e qui accade spesso. Con le nostre montagne che mutano colore secondo la stagione e che possono riempire di orgoglio i rullini dei fotografi. Con il nostro campanile che svetta come un faro: richiamo, non solo di fede.
Con i piccolissimi e dimenticati borghi, rimasti tali, dove appaiono finestre ingentilite da tende consunte e ricamate. Ma ancora bianchissime. Con la Grigna che si staglia nelle notti più limpide. Come un vecchio cane a guardia della sua casa.
Questo è il nostro turismo. Possiamo tenerlo un po’ meglio. Qualche aiuola in fiore, ben curata, che accarezzi il lungo lago; i sentieri montani più adeguati e qualche soldo per i rifugi che ospitano gli escursionisti; e magari più cultura in una natura così unica. Insomma un po’ di attenzione a quei luoghi che narrano storie antiche; e che sono ancora abitati da chi se le ricorda. Non necessitiamo di più.
Non possiamo, ne dobbiamo pretendere altro; anche in ragione di una crisi economica che non vede ancora la fine.
Gentile direttore, se ne avrà voglia e tempo, provi a condividere qualche pagina della storia urbanistica a cui prima accennavo. Sono certa che molte delle cose qui dette potrebbero trovare la sua approvazione. E forse, con me, potrebbe domandarsi il significato turistico della ruota alta 30 metri (di notte illuminata a led … ) che presto farà “bella” (?) mostra di se sul nostro lungo lago: quasi un adesivo da Luna Park messo al centro di un paesaggio di lago e monti in acquarello, disegnato dal nostro matitone. Grazie per la consueta cordiale attenzione”.
Antonella Faggi