LECCO – “Prevenire è meglio che curare” anche quando si parla di disagio psichico, ne sono convinti gli operatori sanitari che questa mattina, nell’aula magna dell’ospedale Manzoni, hanno partecipato al convegno “Quale prevenzione in salute mentale?” per presentare alcuni progetti già in corso (che mirano all’individuazione dei soggetti a rischio tra bambini, adolescenti e adulti sui quali poter intervenire precocemente al fine di evitare o contenere la manifestazione di patologie psichiche gravi) e per individuare altri possibili fronti di intervento che potrebbero in futuro essere affrontati in modo più approfondito.
I progetti illustrati durante la conferenza riguardano in particolar modo i bambini figli di pazienti psichiatrici, gli adolescenti appartenenti a categorie a rischio e le puerpere che corrono il pericolo di cadere nella depressione post partum ; comune a tutti i programmi d’intervento presentati è la necessità di far lavorare in sinergia sia i diversi dipartimenti di salute mentale che le varie realtà associative che operano sul territorio., come spiega Ottaviano Martinelli, direttore della Neuropsichiatria infantile dell’ospedale di Lecco:
“Questo convegno riguarda la prevenzione nell’area della salute mentale e rappresenta anche l’integrazione presente nel nostro dipartimento tra l’area della psichiatria e quella della neuropsichiatria infantile, vi sono quindi interventi che riguardano sia la fascia adulta che quella dei minori con importanti punti di connessione. Per quanto riguarda l’area minorile nel senso stretto, poi, trattiamo i casi di maltrattamento e abuso e l’attività di prevenzione in questo campo in cui la provincia di Lecco è all’avanguardia grazie a uno specifico protocollo a cui partecipano diverse istituzioni e, infine, parliamo del dramma dei suicidi in età adolescenziale, purtroppo ricorrenti anche a Lecco dove da inizio anno si sono tolti la vita tre giovani”.
Il primo programma di prevenzione preso in considerazione durante la conferenza riguarda un progetto ministeriale rivolto ai giovani migranti di prima o seconda generazione con un’età compresa tra i 15 e i 24 anni, ad occuparsene è il dipartimento di salute mentale dell’ospedale di Lecco in collaborazione con l’associazione “Ale G. Onlus” che si occupa di giovani immigrati di prima e seconda generazione. “Per questo progetto è stata scelta la popolazione migrante – racconta la psicologa Elisa Stucchi – perché secondo alcuni studi scientifici gli immigrati sono da due a quattro volte più a rischio per schizofrenia e disturbi psicotici gravi rispetto alla popolazione autoctona. Il lavoro è iniziato nell’ottobre del 2014 con una mappatura del territorio e la creazione del board, un gruppo comprensivo delle associazioni del territorio nato per intercettare gli individui a rischio e lavorare in maniera culturalmente sensibile per trattare i sintomi o poter inviare i soggetti ad altri operatori specializzati”.
Un altro gruppo preso in considerazione per l’attività della prevenzione sono le puerpere a rischio depressione post parto, come spiega lo psicologo Vittorio Rigamonti: “Il dato su Lecco riguardante le donne affette da depressione post parto è perfettamente in linea a quello regionale o nazionale, ovvero il 10% delle donne che partoriscono, questo significa che su 1700 nascite all’ospedale Manzoni, 170 mamme sono potenzialmente trattabili. L’obiettivo del progetto di prevenzione è quello di far interagire il dipartimento di salute mentale con il dipartimento materno infantile per individuare i soggetti a rischio, per passare dalla diagnosi al trattamento con il fine della remissione dei sintomi”.
“Nel settembre del 2014 – aggiunge la psicologa Cinzia Galletti – abbiamo fatto partire un progetto pilota somministrando 80 questionari di screening alle partorienti e il 13% è risultato positivo ai sintomi. Da maggio a settembre 2015, invece, con il programma vero e proprio sono stati somministrati 850 questionari: il 9% è risultato positivo, il 43% ha manifestato richiesta di attenzione, di cui un 21% borderline. Delle 75 neomamme contattate, ai nostri colloqui se ne sono presentate 68, 30 sono state prese in carico, 30 hanno seguito solo il primo colloqui, mentre 8 hanno dovuto successivamente interrompere per problemi di natura pratica”.
Il terzo gruppo di soggetti a rischio trattato con un programma di prevenzione sono i bambini figli di pazienti psichiatrici in cura ai centri psicosociali, come illustra lo psichiatra Edoardo Re, responsabile scientifico dell’associazione Contatto: “Non vogliamo categorizzare i figli di malati psichiatrici come fosse una stigmatizzazione, un genitore malato adeguatamente seguito può essere un ottimo genitore, ma questi bambini insieme ai bisogni comuni a tutti i coetanei presentano alcuni bisogni particolari che è utile individuare e soddisfare per ridurre il significativo rischio di presentare malattie psichiche in età adulta”.
“La geometria dei servizi mentali deve cambiare – conclude Antonio Lora, direttore del dipartimento di salute mentale del Manzoni – e per cambiare deve imparare ad essere più vicina alla popolazione, per questo è importante che i diversi dipartimenti facciano squadra nel proporre le attività di prevenzione, contando anche su tutte quelle associazioni, sportive o di volontariato, che operano sul territorio a contatto con le persone”.