Rebecca e la sua lotta alla neurofibromatosi: “La nostra storia può aiutare tante persone”

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Rebecca Albarani e sua figlia Elisa

Mamma di Elisa, bimba con una malattia genetica rara, ha deciso di raccontarsi per sensibilizzare le persone

“Il mio sguardo è positivo: anche nelle difficoltà non siamo soli, abbiamo dei punti di riferimento, ci sono delle possibilità…”

INTROBIO – “Quando entri all’ospedale non sai mai con quali notizie tornerai a casa. Convivere con una malattia genetica rara significa entrare più volte all’anno in ospedale con una diagnosi e uscirne con un’altra che certifica come avanza la malattia”.

Attorno al collo ha due collanine con i nomi dei suoi figli, Elisa di 6 anni e mezzo e Daniele di 4 e mezzo, nei suoi occhi leggi una forza incredibile, sul volto un sorriso sincero. Rebecca Albarani è una mamma single, originaria di Milano, che da qualche tempo si è trasferita in Valsassina, il luogo delle vacanze della sua infanzia. Si è trovata a fare i conti con la vita quando ad Elisa hanno diagnosticato la neurofibromatosi, una malattia genetica rara (colpisce un bambino su 2.500) che, tra le molteplici conseguenze, può provocare anche tumori al sistema nervoso, sia cranici che periferici, disturbi cardiovascolari e deficit cognitivi.

Quelle macchioline sparse sul corpo di sua figlia quando aveva solo poche settimane, purtroppo, sarebbero stati i segni di una sentenza senza appello. La pediatra, che “casualmente” faceva anche parte di un’equipe di malattie rare, quei sintomi li conosceva bene. Le parole le rimbombano ancora nella testa, suoni vuoti, senza un significato preciso che hanno ancora il sapore di un pugno improvviso in pieno volto. Rebecca si ritrova al tappeto senza nemmeno capire come. Però, appena riapre gli occhi, sa che l’unica possibilità per rialzarsi è combattere, prima per sua figlia e poi per tutti coloro che hanno la stessa malattia.

La dolcissima Elisa
La dolcissima Elisa

“A me piace sempre parlare del positivo e di quello che si può fare – racconta -. Sono stata seguita da una struttura che aveva scambiato delle lesioni tipiche della NF1 (neurofibromatosi di tipo 1) chiamate UBOs (Unidentified Bright Objects) e che sono prive di significato per tumori, così ho passato un anno e mezzo pensando di dover operare alla testa mia figlia. Questo mi ha fatto capire quanto sia importante farmi sentire, non tanto per far conoscere la mia storia, ma perché la mia storia può essere d’aiuto a tante famiglie che stanno vivendo la mia stessa situazione. Persone che si ritrovano con una diagnosi di NF1, scelgono il centro più vicino che magari non ha esperienza e, purtroppo, trattandosi di una malattia rara questo è facile che accada”.

Una situazione complicata: la vita è dettata da un futuro incerto, un’attesa perenne nella speranza che non si manifestino nuovi tumori e che quelli che già ci sono se ne stiano lì buoni: “I ricercatori ci stanno lavorando, ma non si riesce ancora a capire in tempo, in base all’analisi del DNA, il livello di gravità della malattia. Questo sarebbe un passo importante perché si potrebbe sapere in anticipo l’evoluzione e, nel bene o nel male, per noi sarebbe un sollievo. E’ una questione delicata da spiegare ma anche sapere di essere davanti a una forma grave potrebbe essere importante per riuscire a strutturare al meglio la vita, invece oggi si affronta tutto nell’incertezza del futuro. Io la vivo bene, ma vi posso assicurare che ci sono genitori disperati: convivere con questa malattia è logorante, ti viene naturale controllare il bambino tutti i giorni anche se basterebbe farlo una volta al mese”.

Rebecca è un fiume in piena, nemmeno il fatto di essere una mamma single da quando Elisa aveva poco più di un anno ed era incinta di Daniele è riuscita ad abbatterla: “Non voglio star qui a girarmi i pollici in attesa delle diagnosi: oltre a seguire mia figlia, voglio far conoscere la malattia per sensibilizzare sempre più persone che, attraverso la nostra storia, incontrano una realtà che nemmeno si immaginano. C’è una ricerca attiva in tutto il mondo e in Italia ci sono tre associazioni, tutte validissime, che possono sostenere i pazienti e le famiglie”.

Rebecca Albarani e Elisa

Per Rebecca una svolta arriva quando entra in contatto con l’Associazione Linfa di Padova: “Volevo fare di più e allora ho cercato di capire come funzionassero queste associazioni così ne ho scelta una, quella in linea d’aria a me più vicina. Piano piano ho cominciato a capire il lavoro che c’è dietro a queste associazioni e che non si limita a un supporto alla ricerca scientifica. Sostengono le famiglie sotto tutti gli aspetti sia a livello morale che economico. Allora ho cercato di utilizzare i miei canali social (principalmente Instagram) e la mia storia per appoggiare l’associazione e insieme cercare di raggiungere più gente possibile”.

Oggi Rebecca si considera fortunata perché, dopo un anno e mezzo senza aver avuto la possibilità di ricoverare Elisa, da dicembre ha potuto affidare la figlia alle cure dell’Istituto Besta di Milano: “Se sono arrivata lì è solo grazie all’Associazione Linfa che collabora con i centri specializzati in neurofibromatosi. Io, come tantissime altre persone che chiedono aiuto, ho potuto contare su una vera e propria rete capace di indirizzare in tempi rapidi i pazienti nei centri specializzati. L’associazione monitora passo passo tutte le fasi, fornisce ogni tipo di aiuto, anche a livello burocratico, oltre a effettuare un lavoro di sensibilizzazione”.

Da un po’ di tempo Rebecca si è trasferita a Introbio dove può contare sull’aiuto di sua madre: “Passare da una grande città a un paesino non è facile, ma sono una persona che si adatta in qualsiasi situazioni. Ho tanti difetti, ma una delle mie qualità è di non guardare ciò che mi manca ma quello che ho… Vado avanti col paraocchi, guardare ciò che non si ha è una perdita di tempo specialmente nella mia vita che è strutturata attorno ai miei due figli. Oltre ad Elisa che ha bisogno di cure, devo pensare anche a Daniele. Non nascondo che sia faticoso, ma sono una donna energica… ce la posso fare”.

Rebecca Albarani

Conoscere a fondo gli aspetti della malattia può migliorare le condizioni (anche a livello sociale) dei pazienti e delle loro famiglie: “Io sono ‘fortunata’ perché a mia figlia la malattia è stata diagnosticata subito, ma ci sono persone che manifestano la malattia in età adulta con conseguenze irreparabili. E’ per questo che credo moltissimo nell’importanza di portare alla luce la mia storia: le persone non sono sole, ci sono dei punti di riferimento, ci sono delle possibilità. Due anni fa ho deciso di raccontarmi sui social senza filtri, parlando anche di come ho superato le situazioni più difficili perché può essere spunto per altri che vivono i miei stessi problemi. Elisa è una bimba meravigliosa, consapevole di tutto, della sua malattia e di quello che sto facendo. All’inizio avevo un po’ di paura, ma nel mio piccolo sono riuscita ad aiutare tante persone, mi hanno contattata anche dall’estero. Questo basta, mi fa capire che ne vale la pena. E’ una cosa bella e sta funzionando”.