LECCO – Riceviamo e pubblichiamo una lettera di Luca Rota sulla nuova “Legge sulla Montagna”, con particolare riferimento al territorio lecchese:
“Dunque, la Legge 12 settembre 2025 n.131, ‘Disposizioni per il riconoscimento e la promozione delle zone montane’, meglio conosciuta come ‘Legge sulla Montagna’, ha rielaborato la definizione di ‘comune montano’ e, in base alla riclassificandone conseguente, ha fatto diventare tale Lecco mentre ne ha esclusi alcuni che prima lo erano, ad esempio Vercurago, Valgreghentino, Calolziocorte, Ello, Monte Marenzo.
La rielaborazione contemplata dalla Legge definisce ‘montano’ un comune che ha il 25% di superficie sopra i 600 metri e il 30% di superficie con almeno un 20% di pendenza, oppure un’altimetria media superiore ai 500 metri, oppure un’altimetria media più bassa ma il territorio interamente circondato da Comuni che rispettano uno dei primi due criteri.
Già molto è lo scompiglio che questi nuovi criteri stanno generando nelle aree interne italiane, soprattutto lungo l’Appennino, ma non mancano proteste pure nei territori alpini. Anche sulle montagne lecchesi la riclassificazione genera effetti rilevanti, ad esempio sull’assetto delle Comunità Montane locali; di contro l’ingresso di Lecco tra i comuni montani, di gran lunga il più importante e di maggior peso politico del territorio, genererà certamente nuovi equilibri nei rapporti di forza sussistenti nelle terre alte lecchesi.
Se da un punto di vista oggettivo si poteva riconoscere la necessità di una ridefinizione dei comuni montani italiani, finalizzata a escludere quelli che di montano avevano ben poco ma beneficiavano comunque delle stesse agevolazioni, appare tuttavia discutibile che la riclassificazione sia stata fondata esclusivamente su criteri altimetrici e geomorfologici, senza tenere conto dei fattori storici, socioeconomici e culturali.
Molti territori, infatti, presentano una dimensione ‘montana’ sostanziale pur non raggiungendo le soglie altimetriche previste, ed è proprio su questa discrepanza che si basano numerose proteste dei comuni declassificati. L’inclusione di tali fattori, immateriali ma indubbiamente peculiari per i territori interessati, in un’Italia che, non a caso, viene spesso definita ‘il paese dei mille campanili’, dove ogni comune rappresenta frequentemente un’entità a sé, avrebbe certamente reso il processo di ridefinizione più lungo e complesso, ma avrebbe probabilmente garantito una maggiore equità complessiva, senza compromettere equilibri e dinamiche locali ormai storicizzate.
A ragione qualcuno esulta per il fatto che la ‘nuova’ Lecco montana avrà accesso a numerosi benefici, agevolazioni e finanziamenti; in verità la dotazione della Legge n.131 è parecchio esigua, 200milioni di euro all’anno per il triennio 2025-2027 da distribuire su tutto il territorio nazionale: fanno 10 milioni all’anno per regione e dunque, per quanto riguarda la Lombardia, circa 20mila euro per ciascun comune montano, non certo una somma che consenta grandi iniziative.
Se lo Stato centrale riconoscesse l’attenzione e la considerazione che i territori montani italiani meriterebbero, poste le tante criticità che li caratterizzano e al netto di classificazioni amministrative più o meno eque, le somme in gioco sarebbero dovute essere ben più alte. Che non lo siano dice molto al riguardo, e la cronicità di molti dei problemi della montagna italiana dice il resto.
In ogni caso, per quanto riguarda il territorio lecchese, la nuova configurazione della realtà montana comporta l’emergere di ulteriori rischi. Un primo rischio, già accennato, è che il ‘peso politico’ di Lecco finisca per sottrarre spazio, capacità rappresentativa e risorse agli altri comuni montani.
Un secondo riguarda il possibile indebolimento della Comunità Montana Lario Orientale–Val San Martino, una delle due presenti nel territorio provinciale lecchese e peraltro già segnata da numerose fragilità: l’ipotesi di un suo accorpamento con la Comunità Montana Valsassina potrebbe dar luogo a un’entità eccessivamente eterogenea e strutturalmente informe, alla luce della marcata diversità dei territori su cui sarebbe chiamata a operare.
Un ulteriore rischio, infine, in parte già insito nella stessa Legge sulla Montagna, così come in molti altri provvedimenti istituzionali rivolti alle aree montane, è che l’assenza di una visione strategica, organica e complessiva delle politiche da attuare, distinguendo in modo non coordinato tra comuni montani, non montani o recentemente declassificati, produca nuovi squilibri di varia e perniciosa natura, alimentando una discutibile realtà ‘a più velocità’ all’interno della provincia lecchese.
Per questi motivi risulta importante e necessario, data l’attuale impossibilità di elaborare quella visione strategica cui si è accennato, che tutti i soggetti amministrativi della provincia lecchese facciano rete. Una provincia che, a ben vedere, è nel suo insieme montana o pedemontana e che nel tempo si è strutturata come realtà di impronta rurale-montana, non certo planiziale o padana.
Tale collaborazione dovrebbe quantomeno mirare alla gestione condivisa dei rischi derivanti dal nuovo assetto territoriale e a una cooperazione ben più attiva di quella attuale nell’elaborazione di un percorso amministrativo e politico comune, dotato di uno sguardo per così dire glocale, innanzitutto su scala provinciale, inclusivo e al tempo stesso attento alle specificità di ciascun comune e alle relative interazioni possibili.
In un territorio come quello lecchese, infatti, quando la montagna nel suo complesso gode di una condizione equilibrata e di uno sviluppo armonico, i benefici che ne derivano si estendono naturalmente anche ai comuni che non sono formalmente montani, ma che delle montagne condividono prossimità, relazioni e destino”.
Luca Rota – autore

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