LECCO – “La dimensione del fenomeno dell’abuso nel lecchese e l’uso della rete come strumento di violenza” è questo il titolo dell’intervento di Marco Cadeddu, Commissario Capo della Questura di Lecco, all’interno del convegno “La violenza su donne e bambini: un’emergenza di salute pubblica” organizzato dall’Asl di Lecco che si è svolto nel corso dell’intera giornata di martedì, presso l’aula magna dell’ospedale “Manzoni” di Lecco
Marco Cadeddu, nel corso del suo intervento, ha analizzato le diverse tipologie di reato compiuti a danno dei minori all’interno della provincia di Lecco, concentrandosi soprattutto sul reato di violenza sessuale nell’ambito pedopornografico.
Nel 2014 mella provincia di Lecco, a danno dei minori, si sono registrati: 210 reati di furto, ricettazione, rapina ed estorsione, la maggior parte dei quali avvenuti tra coetanei e riconducibili a fenomeni di bullismo; 26 reati di abusi sessuali, in calo rispetto agli anni passati, che comprendono sia gli abusi veri e propri ( nel 90% dei casi avvengono nell’ambiente domestico ad opera di persone che gravitano intorno alla famiglia) che la diffusione e la produzione di materiale pedopornografico; infine 80 sono i reati contro la persona che riguardano lesioni, percosse e maltrattamenti che nella maggior parte dei casi però non hanno riguardato solo i minori, ma anche le loro madri, vittime anch’esse di compagni violenti.
“I numeri presentati però non rispecchiano completamente la realtà – spiega Cadeddu – ma sono relativi, poiché siamo consapevoli che vi sia un numero elevato di sommersi soprattutto in relazione ai reati commessi in ambito famigliare; vi è una diffusa omertà tra le vittime anche di fronte a episodi raccapriccianti di violenze e abusi. Inoltre si registra una costante crescita di situazioni, definite borderline, in cui il minore rimane vittima di difficili separazioni, diventando vera e propria merce di scambio, oppure ci sono situazioni in cui i genitori disagiati trasmettono i figli le loro difficoltà; queste circostanze, purtroppo, non possono essere conteggiate poiché non sfociano mai in veri e propri reati”.
Queste realtà sono comuni sia alla comunità straniera che a quella italiana, “anche se il rapporto con la popolazione straniera non è proprio cosi semplice – spiega Marco Cadeddu – poiché ci sono delle divergenze enormi dal punto di vista del sistema educativo, ad esempio per un papà senegalese è normale far dormire il figlio per tre giorni sul tappeto della cucina perché ha preso un brutto voto a scuola, così come è normale per una famiglia dell’est Europa legare un figlio al letto quando escono a fare la spesa perché dalle loro parti si usa così, dal punto di vista del nostro sistema legislativo questi comportamenti sono da condannare, ma è chiaro che sono comunque situazioni da discutere”.
La preoccupazione maggiore della Squadra mobile riguarda i reati di pedopornografia, “Per le ragazze di oggi – spiega Marco Cadeddu – è “normale” scambiarsi foto intime per farsi ‘accettare’ dal gruppo di amici; queste ragazze però probabilmente ignorano che queste foto possano diventare di dominio pubblico diffondendosi anche tra le persone a loro sconosciute. La nostra preoccupazione non riguarda il punto di vista investigativo, poiché tutti gli scambi avvenuti grazie alle nuove tecnologie rimangono tracciate nei sistemi operativi, bensì il punto di vista psicologico e mentale delle ragazzine”.
“Caso emblematico che le rappresenta è Anna, una giovane studentessa lecchese, che aveva autoprodotto delle immagini del suo corpo nudo e le aveva mandate al fidanzato, il ragazzo una volta conclusa la loro storia ha trasmesso le foto ai suoi amici facendole divenire così di dominio pubblico; Anna disperata per questa situazione, ha cercato più volte di togliersi la vita. Questo lato oscuro le ragazze lo scoprono quando ormai è troppo tardi e le loro foto si sono già diffuse nel mondo del web”.
La tendenza alla produzione di materiale pedopornografico si sta confermando con l’analisi di alcuni questionari che la Squadra mobile ha fatto compilare in diverse scuole lecchesi; i risultati finora emersi (sono stati analizzati circa 2100 questionari su 5000 diffusi) parlano chiaro: il 50% dei giovani condivide e diffonde con gli amici delle proprie immagini intime o afferma di conoscere ragazzi che sono soliti farlo”.
“Alla luce di tutte queste considerazioni – ha concluso Cadeddu – abbiamo capito che vi è l‘esigenza di creare una rete di supporto e protezione multidisciplinare a tutela di queste tipologie di vittime, di attuare un’attenta attività di prevenzione, investendo sulla consapevolezza delle potenziali vittime e non solo sull’aspetto repressivo. Inoltre è indispensabile anche la creazione di una legislazione apposita con specifici interventi sul piano sanzionatorio volto a renderlo più pregnante alle emergenti esigenze di tutela e una maggiore sensibilizzazione dei soggetti che a vario titolo entrano in contatto con i ragazzi in merito all’attualità e alla gravità del problema”.
Il commissario capo Cadeddu ha concluso il suo intervento invitando i professionisti presenti in sala: medici psicologi, e poliziotti ad agire il prima possibile per ridurre il numero di reati contro i minori.