GALBIATE – Gesti, materiali e storie di alpinisti lecchesi racchiusi in una mostra allestita fino al prossimo 23 novembre presso il Museo etnografico dell’Alta Brianza a Galbiate.
In prima fila nell’organizzazione della rassegna espositiva vi sono l’Associazione culturale alpinistica lecchese (Acal) e il Parco Monte Barro, oltre allo stesso Museo etnografico. L’evento è poi proposto in collaborazione con la Comunità montana del Lario orientale – Valle San Martino, il Cai Lecco e la “Fondazione Riccardo Cassin”.
“Arrampicare ieri e oggi” è il titolo della mostra (a curarla sono Alberto Benini, Pietro Corti e Ruggero Meles, che da anni masticano pane e montagna) e la denominazione, da sola, dice molto, se non tutto, dell’evento e del suo significato.
Una mostra da vedere, va detto subito, dedicata a Giovanni Ratti, “ragno” della Grignetta della prima ora, festeggiato il giorno dell’inaugurazione per il traguardo dei 90 anni. Compagno del conte Aldo Bonacossa in svariate ascensioni, Ratti è la memoria storica dell’alpinismo, non soltanto lecchese.
E parlando di alpinismo lecchese va detto che alla cerimonia inaugurale erano molti i volti noti, a partire dai “maglioni rossi” Giuseppe Spreafico, il “Pepetto”, una colonna dell’alpinismo giovanile, e Gianfranco Anghileri, 90 anni tra pochi mesi, guida e istruttore nazionale di alpinismo.
C’era poi Davide “Cito” Pennati, un tipo di poche parole com’è in generale la gente di montagna e tuttavia prezioso, per non dire fondamentale, nel tenere assieme il gruppo in occasione di svariate traversie. E c’era Agostino Castagna, fratello di Luigi, la cui sagoma è riprodotta sulla locandina della mostra.
Impossibile poi dimenticare Romano Perego (accademico e membro del Groupe de Haute Montagne, primo alpinista – dopo Gaston Rébuffat – ad aver salito le cinque grandi pareti nord delle Alpi) e Giuseppe Alippi, il mitico “Det” di Abbadia Lariana (abita in frazione Crebbio), in assoluto uno tra i più grandi rocciatori della generazione “anni Trenta”.
“Io il Det l’ho conosciuto sul Lhotse – ha scritto di lui Reinhold Messner – nella spedizione di Cassin del 1975. Era magro, aveva la pelle delle mani rugosa come la corteccia di un larice e camminava agile e velocemente come un camoscio. Con Mario Curnis era il più forte della spedizione, non si lamentava mai…”.
E a Galbiate c’erano anche Mario Burini, accademico del Cai, e Andrea Cattaneo, legati entrambi all’ambiente alpinistico calolziese, a loro volta di poche parole ma di grandi fatti.
Insomma l’occasione è stata ghiotta, anzi ghiottissima, per riunire uomini che rappresentano la memoria del nostro alpinismo e di fatto per tenere a battesimo quello che è a tutti gli effetti un vero e proprio Museo dell’arrampicata, struttura di cui nel Lecchese si parla fin dagli anni dell’indimenticato Pino Comi.
Ora quella mostra – scaturita anche dal lavoro prezioso di Giuliano Maresi, già presidente dei Ragni, e di Beppe Ferrario, che hanno raccolto i materiali esposti e messo assieme i loro studi, le loro riflessioni e le loro interviste – è lì da vedere. E da visitare, tra pannelli storici, immagini in grande formato e filmati con interviste, oltre a una serie di vetrine e a una pedana ricche di oggetti storici, contestualizzati con opportune didascalie.
Il tutto all’interno del Meab, il museo che raccoglie gli usi e i costumi del territorio e che ha avuto il grande merito di credere nell’idea di Benini, Corti e Meles.
La mostra allestita a Galbiate può essere visitata nei giorni di martedì, mercoledì e venerdì dalle 9 alle 12.30, il sabato e la domenica nella stessa fascia oraria per quanto riguarda il mattino e al pomeriggio dalle 14 alle 18.
Decisamente simbolico il prezzo del biglietto d’ingresso: 2 euro gli adulti (un euro oltre le dieci persone), gratuito fino a 6 anni e oltre i 65 anni.