LECCO – “Gentile Direttore,
lo scorso anno, di questi tempi, usciva la guida Lariostraordinario da me scritta, dopo quasi un anno di viaggi sull’intero Lago di Como. La guida nasceva come risposta a quella subcultura lecchese che ci imbriglia, come una ragnatela ormai da più di 50 anni e quindi, come sfida per mostrare che all’affermazione – un mantra per molti concittadini – “A Lecco non c’è niente” e al complesso di inferiorità espresso attraverso l’altra frase tipica: “E, ma Lecco non è Como”, più risposte erano non solo possibili, ma anche concretamente positive e indubbiamente incoraggianti.
Lecco, ormai lo sanno anche gli agoni, è stata una città che per anni ha basato il proprio sviluppo economico sulla produzione metallurgica del ferro. Qualcuno, con la mente e con la visione della società, è rimasto probabilmente fermo lì, mi viene da pensare. A fianco di questa cultura industriale, quella a cui corrispondeva, dopo una settimana in fabbrica – sia come operai, sia come titolari/imprenditori – la domenica in montagna, si è parallelamente sviluppato l’amore per quello che oggi si definisce outdoor – sci, passeggiate, scalate -. Un patrimonio sportivo, ma anche culturale espresso da illustri sportivi che hanno portato il nome di Lecco per tutto il mondo – Cassin, Ragni, ecc. -. Il secondo elemento che costituisce, in termini di identità turistica, un altro nostro tesoro è chiaramente il lago, decantato dal Manzoni, ma anche da altri scrittori – anche stranieri, pensa un po’ -e che ha dato frutto, sempre in termini sportivi, laureando campioni olimpionici – Antonio Rossi –, mondiali, europei, italiani, ma anche velisti che hanno contribuito a tenere alto il nome del made in Italy – oltre che della nostra città.
Certo, l’immagine del Manzoni di questi tempi, nella nostra città è un po’ ammaccata e meriterebbe, a partire da Villa Manzoni stessa, una attenzione, una passione e una dedizione di diverso tipo. Sono convinta che dare le colpe a chi ci ha preceduti sia una spiegazione, ma non possa essere considerata una giustificazione reiterabile per rimanere impaludati in un immanentismo sterile e senza futuro: bisogna andare avanti e dare delle risposte sul futuro.
Ma è proprio questo andare avanti che viene ancora oggi rallentato da un certo tipo di cultura lecchese, che potrebbe spopolare nella comunità degli Amish o dei Quaccheri, ma che nell’anno domini 2017, francamente inizia a essere risibile, se non fosse prima di tutto, irritante.
Leggere polemiche su monumenti che possono permettersi il lusso di essere restaurati grazie all’intervento dei privati, è avvilente – ricordo ai nostalgici che anche a Cuba, è stata ospitata lo scorso anno una sfilata di Chanel, considerata, peraltro storica, e la maison francese non lo ha certo fatto solo per avere visibilità. Anche Cuba ha avuto qualcosa in cambio. In fondo, il capitalismo, per quanto imperfetto, è arrivato anche lì -; i commenti o rimbrotti sulla ruota panoramica di prossima inaugurazione, paragonata senza cognizione di causa, a quella dei lunapark, che colloca, in realtà, Lecco nell’era moderna – finalmente, ma che fatica – inteso, però come modernismo, quando siamo già nel post modernismo e forse oltre – la prima ruota panoramica fu costruita a Chicago nel 1893 in occasione della Columbus Exposition – perché Lecco può essere vista dalle montagne o dal campanile – come se l’una togliesse qualcosa alle altre opportunità e non si pensa, invece, che una ruota può fare parlare della nostra città rendendola notiziabile anche fuori dal nostro cortiletto e portare i visitatori, una volta vista la città dall’alto a volerva vedere di nuovo usando altri sistemi più tradizionali e presenti tutto l’anno -, è sterile; le lettere in cui si celebra l’immanenza del passato sostenendo, di fatto, in maniera gattopardesca, che tutto debba rimanere così com’è perché in fondo basta mettere a posto le aiuole, non fanno altro che sottolineare la visione mediocre di chi avrebbe potuto fare qualcosa negli anni scorsi ma nulla ha fatto, contribuendo al decadimento di questa città.
Una mediocrità trasversale che attraversa ogni classe, ceto, categoria – anche politica e imprenditoriale che dovrebbero dare input, opportunità al territorio e alle persone che ci vivono, nonostante questa pesante e rallentante ondata reazionaria. Del resto i cambiamenti non sono mai facili -. A Lecco – a parte qualche eccezione – si pensa in piccolo ed è questo il vero problema. Ci sono, fortunatamente, imprenditori che portano il nome della città o del territorio al di fuori di questo recinto asfittico.
Ma la vera fortuna culturale di Lecco negli ultimi anni – e mi permetto di dirlo proprio perché non solo ho visitato la città ma perché ho visto anche tutto il resto del Lago a cui, volente o nolente appartiene – sta proprio nel fatto che turisti e studenti stranieri del Politecnico sono venuti in visita o a viverci – proprio per ragioni di studio -. Gli alberghi continuano a essere pochi, ma vi invito a entrare sui portali di ospitalità diffusa e cercare proprio Lecco: gli “amish” del lago rimarranno stupiti dal numero sempre più crescente delle seconde o terze case trasformate in strutture di accoglienza. Gli studenti del Politecnico, trascinando anche quelli italiani, ormai vivono a Pescarenico – andate al Parco dell’Addio Monti la domenica -, dove le attività legate alla piccola ristorazione, anche street food o da asporto, si sono moltiplicate in pochissimi anni. Gli stranieri sono quelli che nei pomeriggi torridi di luglio o agosto trovano naturale nuotare nel golfo di Lecco. Lungo l’Adda, altre famiglie di diverse etnie si ritrovano la domenica per i picnic – anche molti milanesi a dire il vero -. E l’atteggiamento irrisorio da parte di quella fetta di lecchesi che si meraviglia di tutto ciò non è più snobbistica – sinonimo di intelligenza e di visione unconventional rispetto alla massa –: è ignorante e anacronistico.
E il motivo del mio sfogo, caro Direttore, è che sono veramente stanca di sentire frasi del tipo che i giovani se ne devono andare da questa città perché non offre niente, perché non solo è una fake news – per rimanere legati all’attualità – e non una verità assoluta, visto che non è la città a non offrire nulla, ma semmai alcuni cittadini, ma perché la sua bellezza e le opportunità da novello Eldorado sono sotto gli occhi di tutti, solo che sono proprio le persone che vengono da fuori ad accorgersene e a sfruttarle – e va benissimo così, che un po’ di pepe sulla coda, non ha mai ucciso nessuno e la concorrenza è il sale del commercio, ma tu vallo a spiegare a quei commercianti che pensano che Lecco sia solo nelle due piazze principali -.
Da Lecco, per concludere, non sono i giovani che se ne dovrebbero andare, ma gli “Amish” che tentano da anni di rinchiuderla in un recinto asfissiante di immanenza improduttiva, implosiva e drammaticamente depressiva.
Viviana Musumeci