Conto alla rovescia per “Il Registro dei Peccati”, il tanto atteso ritorno di Moni Ovadia sul palcoscenico del Teatro della Società di Lecco. In programma per questa sera alle 21, lo spettacolo scritto e interpretato dal poliedrico attore si propone come un percorso all’interno della cultura ebraica khassidica. Ricercatore, cantante e interprete di musica etnica e popolare, il noto attore è da tempo impegnato nella valorizzazione di quella cultura europea che le dittature totalitarie del secolo scorso hanno cercato di cancellare: la tradizione ebraica della diaspora.
In occasione dello spettacolo di oggi abbiamo scambiato qualche parola con questo artista eclettico, nel tentativo di conoscere alcuni aspetti che caratterizzano il monologo in scena tra poche ore.
Potrebbe fornirci qualche anticipazione su “Il Registro dei Peccati”?
«Si tratta di un “viaggio” attraverso la spiritualità tipica della tradizione ebraica dell’Europa centro-orientale, una cultura che può sembrare lontana dalla nostra ma che, in realtà, ha avuto un’importanza cruciale. Sono numerose, infatti, le personalità di spicco della storia europea e non solo che si sono formate proprio nell’ambito di quella cultura. Studiosi, scienziati, letterati, artisti e musicisti, tutti parte di questo grande milieu. Da Albert Einstein a Sigmund Freud, passando per Karl Marx, Franz Kafka, Marc Chagall, Oskar Kokoschka, Joseph Roth, Robert Musil, i fratelli Marx. E si potrebbe continuare all’infinito. Lo stesso vale – prosegue – per la cultura americana se si considera che circa l’85 % dei comici statunitensi, mi viene in mente David Letterman, appartengono a questo filone».
Lo spettacolo vuole essere, quindi, un modo per conoscere più da vicino una parte della nostra cultura europea?
«Sì – risponde – e lo fa attraverso tre tappe principali: la narrazione, il canto e l’umorismo. Durante il monologo mi occuperò, infatti, di tutti questi aspetti della tradizione yiddish. Racconterò storie, leggerò, canterò con la sola voce.
Mi preme precisare, però, che il mio lavoro non è e non vuole essere un tentativo di fomentare forme di nazionalismo ebraico. A me interessa la diaspora, la dispersione per il mondo di un popolo che mantiene alcune peculiari caratteristiche».
L’ultima volta che è stato sul palco del Sociale di Lecco risale al 2000 con lo spettacolo “Yoss Rakover si rivolge a Dio”, giusto?
«Non ricordo esattamente quale sia stato l’ultimo spettacolo qui a Lecco, ma so di sicuro che sono stato più volte nel bel teatro lecchese».
Ha dei progetti per il prossimo futuro?
«Diciamo che per ora il progetto più importante è resistere. In un periodo di crisi come quello attuale il settore culturale è, purtroppo, uno dei primi a incontrare difficoltà economiche. Noi viviamo in un Paese piccolo e mediocre, che continua a riservare alla cultura un ruolo marginale ed è colpa, soprattutto, dei nostri politici. Bisognerebbe capire, invece, che la cultura dovrebbe essere uno dei primi ambiti su cui investire, capace di fare da traino a tutto il resto.
Tornando alla domanda, è chiaro come di questi tempi non si possano pianificare progetti molto ambiziosi. Per ora ho in mente uno spettacolo incentrato sulla musica: la compagnia con cui lavoro è composta da attori-musicisti e sto pensando a qualcosa con loro. Ma è tutto in fase di progettazione. Staremo a vedere».