Domenica sera tra i clochard. Più di uno è alla ricerca di un lavoro e con dei progetti precisi in testa. Come Mosé (non citiamo il nome vero). Il suo obiettivo è diventare imprenditore, non chiede regali ma è qui per guadagnare i soldi che gli servono per gli investimenti iniziali. Dimostra più anni dei suoi 26, dice che quando incontra “un barbone” non gli dà fastidio e non capisce perché la gente li tema. Poi si ferma e mette un inciso, “Beh, anch’io sono senza tetto”. Detto proprio con lo spazio in mezzo. Questi due sinonimi ‘barbone’ e ‘senzatetto’ marcano la sottile linea invisibile che passa tra chi sulla strada c’è da tempo e a parole parla di un futuro migliore ma è ormai affondato nell’alcolismo (e difficilmente potrà cambiare) e chi invece si trova sulla strada da poco, scaraventato dalla crisi al di là della soglia della povertà, semplicemente perché prima vi era vicino.
Per questi ultimi il momento viene vissuto come una parentesi difficile oltre la quale ci sarà di nuovo una vita normale. Cercano disperatamente di mantenere la pulizia personale e anche degli spazi che occupano, benché non ci sia acqua, né denaro per lavare sé e i vestiti. Si affidano agli amici e a qualche struttura. Inventano il modo.
Mosé è uno di questi. Africano della Costa d’Avorio, il nostro ventiseienne è venuto in Europa perché desidera mettere da parte i soldi per comprare un essiccatore di caffé, dei sacchi e un camion per far rendere oltre la sussistenza i suoi otto ettari di terra.
Sei anni fa, quando approdò in Italia, trovò lavoro in una azienda metalmeccanica ora chiusa, attraverso una società di lavoro interinale. E’ stato tra i primi a trovarsi tagliato fuori, oggi si autodefinisce ancora operaio metalmeccanico.
Parla un italiano fluente senza errori, è un poeta. A volte le poesie gli escono, così, all’improvviso e lasciano di sasso. Sorride schermendosi: “Abbiamo tutti un’anima: vengono da lì”.
Ora si trova in un limbo, quello burocratico dell’attesa del rinnovo del permesso di soggiorno senza il quale non può avere nessun nuovo lavoretto, né può tentare di andare altrove a cercarne. E’ la sua àncora per restare in Europa. Alcuni amici si sono spostati in Francia e sono già occupati.
“Fin da bambino mi sono detto che avrei tentato di fare qualcosa per mettere a frutto la mia proprietà oltre ai redditi da fame che danno a noi agricoltori. Per un chilo di caffé gli intermediari ci pagano 20 centesimi”, racconta Mosé. Riuscendo a portare al porto vicino il prodotto già semilavorato, la remunerazione cresce nettamente. Mosé deve mettere da parte circa 25mila euro, per acquistare attrezzature che magari qui consideriamo vecchie ma lì andrebbero benissimo. Si è dato un tempo per riuscirci: entro dieci anni. “Sono giovanee posso farcela, dopo comunque tornerò. Intanto ho iniziato a vedere il sistema di qui”. E per mantenersi aggiornato va spesso in biblioteca, controlla la posta su internet e cerca soluzioni e possibilità.
Da una settimana cerca riparo dal freddo notturno nei container di via san Nicolò e non si arrende.
Oltre a Mosé, c’è un nuovo arrivato ai ricoveri: è un albanese. Lo incontriamo vicino a una zuppa calda portata da alcune persone nel parcheggio della casa di cura Talamoni. Ai container non si può: è vietato dare cibo e denaro agli ospiti, al massimo qualche piccolo regalo. Tra i più graditi la biancheria pulita.
Diversa è la storia di questo signore: scappato a piedi per 15 giorni dall’Albania in Grecia ha lavorato nei campi e come pastore fino a che la crisi in quel paese non gli ha suggerito di spostarsi in Italia con 500 euro pagati agli scafisti per il transito. Cerca un lavoro da pastore o nelle stalle. Ne ha gestita una da duecento bestie in Sicilia per due anni, ma la paga non bastava per mandare denaro a casa, dove una moglie, tre figli e una madre non hanno proprio nulla. “Ho sentito la famiglia ieri al telefono, non ho avuto cuore di dirle che pur essendo senza lavoro riesco a dormire al caldo e a mangiare alla Caritas, quando non salto perché sto cercando occupazione. Loro stanno peggio, proprio morendo di fame”.