Vu’ cumprà: sogni infranti e l’ “illegale” lotta per sopravvivere

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LECCO – E’ un sorriso che nasconde storie di sofferenze e delusioni, di fatiche e amarezze, quello che li accompagna verso un possibile acquirente, ovvero il “malcapitato” automobilista, reduce dall’aver appena parcheggiato il proprio mezzo in una delle aree di sosta cittadine. Un sorriso che sembra alludere alla serenità di chi è in pace con il mondo e che a volte, invece, copre i dolori di una giornata di frustrazioni, restando l’unica arma a disposizione per sopravvivere.

Una vita dura quella degli ambulanti abusivi, meglio conosciuti come “vu’ cumprà”, per i quali essere l’ultima ruota del commercio abusivo è spesso la sola scelta lavorativa possibile. La loro è un’attività illecita e per questo giustamente perseguita dalle forze dell’ordine, ma la situazione a Lecco sembra aver raggiunto livelli di tensione altissimi tra vigili e venditori: un nervosismo che sarebbe sfociato in aggressione, lo scorso venerdì , con alcuni agenti di Polizia Locale finiti al Pronto soccorso a causa delle ferite arrecate loro da un gruppo di ambulanti (VEDI ARTICOLO).

Il grave episodio, sul quale sono presumibilmente in corso le indagini degli inquirenti, pare aver in qualche modo “risolto” il problema dell’abusivismo nel capoluogo, visto che da giorni i vu cumprà sembrano essere spartiti dai parcheggi che abitualmente affollavano.
Per questo non è stato così facile incontrare e conoscere Sami, 34enne senegalese, da circa due anni ambulante abusivo in città.

Sami ha raggiunto il nostro Paese nel 2008, dopo aver risparmiato soldi per un biglietto aereo che lo ha portato verso un viaggio carico di speranze : “L’Italia sembrava l’America, almeno è questo che ci raccontava la televisione”; ma i sogni si sono velocemente infranti in una vana ricerca di un lavoro e nell’attuale “occupazione” nelle strade di Lecco. Un impiego illegale che frutta a Sami tra i 10 e i 15 euro al giorno; troppo poco per potersi permettere un’esistenza degna, e abbastanza da costringerlo a dividere una casa con numerosi altri colleghi e ad appoggiarsi ad enti come la Caritas per riservarsi il pasto quotidiano.

Da quattro anni Sami non vede l’amata famiglia, salutata alla sua partenza dal Senegal: “Difficilmente riesco ad inviare loro dei soldi e non ne ho abbastanza per tornare ad abbracciarli”, ci spiega; continua così la sua permanenza forzata per le vie del centro manzoniano, quando invece, nella sua terra, la professione di cuoco gli concedeva una vita senza dubbio più appagante.

Troppi i desideri e le attese infrante, per questo Sami fa capire di non credere nell’ aiuto delle istituzioni italiane; una rassegnazione che lo accumuna a molti suoi colleghi, mentre gli sguardi sfuggenti della gente continuano ad ignorare quanto celato dai suoi sorrisi.