Oltre duemila partecipanti in tre giorni: grande soddisfazione per gli organizzatori
Il Festival Treccani ha esplorato le molte sfumature della responsabilità
LECCO – Si è conclusa a Lecco la terza e ultima giornata dell’ottava edizione del Festival Treccani della Lingua Italiana #leparolevalgono. Un’edizione che ha messo al centro la parola “responsabilità”, esplorata nelle sue molteplici sfumature e capace di suscitare grande interesse in un pubblico variegato, attento e partecipe ai numerosi appuntamenti in programma.
La giornata si è aperta con uno sguardo all’attualità internazionale, grazie all’incontro “Il peso del potere. Gli USA di fronte al terzo millennio”.
“Dalla fine della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti si sono presentati come modello di democrazia per gli altri Paesi e hanno guidato l’architettura dell’ordine liberale mondiale, assumendo anche un ruolo di leadership culturale e generando un immaginario capace di plasmare menti e cuori. Oggi non è più così” ha affermato Raffaella Baritono, professoressa di Storia e Politica degli Stati Uniti d’America all’Università di Bologna e membro fondatore del Centro Interuniversitario di Storia e Politica Euro-Americana (Cispe). La studiosa ha quindi ricostruito, da storica, le origini di questo profondo cambiamento, di cui l’amministrazione Trump si è fatta interprete.
“Negli Stati Uniti i concetti di responsabilità e libertà sono sempre stati ambivalenti, evocati da schieramenti opposti: dagli abolizionisti e dagli schiavisti, dai maccartisti e dai loro oppositori. Nella cultura americana un individuo libero è colui che sa autogovernarsi, perché considerato un agente morale. Tuttavia, in determinate circostanze l’individuo non può bastare a se stesso: in quei casi è lo Stato a dover intervenire con una funzione riequilibrante” ha sottolineato Baritono.
“Da qui nasce un patto sociale tra cittadini, governo federale e presidente. Questo patto entra in crisi negli anni Ottanta con la presidenza Reagan, che affermava: ‘Lo Stato non è la soluzione, è il problema’, e ancor più oggi con il movimento MAGA e Donald Trump, attraverso la delegittimazione delle regole e l’attacco al cosiddetto deep state – ha aggiunto Baritono – Il crollo di questo modello, che legava l’ordine internazionale alla sicurezza interna, mette ora in discussione anche la politica estera, senza che emerga un’alternativa credibile”.
Mattia Diletti, sociologo ed esperto del sistema politico americano e del rapporto tra intellettuali, esperti e politica, ha poi concentrato l’attenzione sull’attuale presidente Trump: “Siamo in un passaggio di fase. Trump ha abbandonato la missione universale che gli Stati Uniti si erano attribuiti nei confronti del mondo occidentale: una responsabilità che coincideva con l’obiettivo di costruire un nuovo ordine globale liberale, fondato su democrazia e pace. Venuta meno questa retorica, restano solo la forza bruta e la rottura con obblighi e alleanze. Le istituzioni americane si fondano sulla separazione dei poteri, ma con Trump assistiamo a un deliberato tentativo di mettere in crisi la democrazia liberale”.
“E il futuro? Per entrambi gli studiosi sarà decisivo il ruolo del vicepresidente Vance nel determinare se ‘il trumpismo è destinato a restare’, così come la capacità dei democratici di rilanciarsi. Un primo banco di prova saranno le prossime elezioni di midterm” ha aggiunto Diletti.
Il festival si è poi spostato al Nuovo Cinema Aquilone con lo spettacolo teatrale-filosofico “C’era scritto sul cartello: i genitori sono responsabili per i propri figli” di Francesca Rigotti e Carla De Chiara.
L’evento ha guidato il pubblico in una nuova riflessione sul concetto di responsabilità, intesa non solo come principio che dà avvio a qualcosa, ma come presenza permanente. In un interessante parallelismo, il termine è stato esplorato sia in ambito genitoriale sia in quello politico: “Una responsabilità che ha una struttura gerarchica – ha sottolineato Francesca Rigotti – e che individua come riferimento i figli da un lato, i molti dall’altro, con l’obiettivo di garantire che le persone di cui genitori e politici si fanno carico stiano meglio”.
Intenso anche il contributo di Carla De Chiara, che ha proposto al pubblico la lettura di un brano dall’Antigone, della vicenda della Monaca di Monza tratta dai Promessi sposi e di un monologo di Stefano Massini.
“Africa, lingua e letteratura” è stato il tema centrale dell’ultimo incontro, che ha visto protagonisti lo scrittore naturalizzato italiano Kossi Komla-Ebri e Chiara Piaggio, filosofa e antropologa esperta di cultura e letteratura africana.
“Il problema della lingua è ciò che più di ogni altra cosa ha condizionato la storia della letteratura africana e il modo in cui è stata accolta – ha esordito Chiara Piaggio – L’Africa conta circa duemila lingue, di cui il 90% minoritarie, oltre alle lingue coloniali. In quale lingua scrivere, dunque?. È la domanda che già nel 1962 si posero i grandi scrittori africani di lingua inglese, senza giungere a una risposta univoca: da un lato c’era chi sosteneva l’inglese, lingua universale capace di essere compresa ovunque; dall’altro chi riteneva lo scrivere in lingua coloniale un tradimento della cultura africana. Questa tensione ha portato a una lettura etno-sociale del vasto e fluido universo della letteratura africana, che a partire dal 2021 sta conoscendo un successo crescente, favorito anche dalla diffusione digitale. In questo scenario, il tema o l’autore hanno spesso prevalso sull’opera letteraria in sé”.

Ha intrapreso un percorso completamente diverso il medico e scrittore Kossi Komla-Ebri: “Da ragazzi a scuola ci veniva imposta la lingua francese: persino durante l’intervallo non potevamo parlare la nostra lingua locale e, se lo facevamo, venivamo puniti. Siamo stati colonizzati fino al midollo, perché la lingua ti entra nel pensiero. Quando nel 1974 arrivai a Bologna per studiare in Italia, sentii subito la necessità di imparare l’italiano per comunicare, studiare, vivere e scrivere”.
Lo scrittore Kossi Komla-Ebri ha aggiunto: “Se è vero, come diceva Heidegger, che la lingua è la dimora dell’uomo, io ho scelto di abitare la lingua di Dante, di Calvino, di De Luca, per entrare davvero in relazione con le persone che mi circondavano. Ho sposato il ‘dolce stil nero’, che è anche un modo per raccontare l’Italia da una prospettiva diversa, quella dei ‘selvaggi’ che osservano i ‘civilizzati’. Così, studiando, mi sono innamorato dell’italiano: della sua musicalità, delle sue sfumature, della ricchezza di parole che esprimono lo stesso concetto. È diventata la lingua dell’amore, con cui ho corteggiato mia moglie, e quella degli affetti, con cui ho costruito il legame con i miei figli”.
Se a lungo è mancata una narrazione culturale sull’Africa, oggi si avverte finalmente il desiderio di conoscerla e scoprirla. “Sopravvive però – ha osservato Chiara Piaggio – uno sguardo carico di stereotipi gerarchici, che continuano a collocare il continente in una condizione di inferiorità, rappresentandolo in chiave pietistica o come un perenne ‘non ancora'”.
Proprio per contrastare questa visione, Kossi Komla-Ebri ha scritto Imbarazzismi, un libro che indaga l’imbarazzo della differenza: “Le parole non sono mai neutre, né lo è il modo in cui vengono pronunciate: sono il prolungamento del nostro immaginario. Io stesso, quando indosso il camice di chirurgo, mi sento protetto. Ma nella vita quotidiana, senza questa corazza, capita spesso di essere trattato come un ‘vu cumprà'”.
“Siamo particolarmente soddisfatti di questa edizione del Festival – ha dichiarato in chiusura Mario Romano Negri, presidente della Fondazione Treccani Cultura – Ancora una volta la città di Lecco ha risposto con entusiasmo e interesse alla nostra proposta di riflessione multidisciplinare, dimostrando come il confronto sulle parole e sul loro valore sia un’esigenza condivisa da tutti, giovani e meno giovani. La partecipazione corale agli incontri, alle lectiones e ai laboratori per le scuole è stata la testimonianza più concreta di questo bisogno. Un ringraziamento speciale va a tutti coloro che hanno reso possibile l’evento, in particolare alle istituzioni e alle imprese partner. L’appuntamento è al prossimo anno”.
“È stata un’edizione da incorniciare, sia per la parola scelta come fulcro della riflessione, sia per la qualità degli ospiti che l’hanno esplorata nelle sue molteplici sfaccettature, soffermandosi in particolare sul rapporto tra responsabilità e libertà – ha dichiarato la vicesindaca e assessora alla Cultura e alla Coesione sociale, Simona Piazza – Il Festival Treccani è un’occasione straordinaria per accrescere la consapevolezza di sé e costruire una comunità coesa attorno ai valori fondanti. Il nostro ringraziamento va al presidente della Fondazione Treccani Cultura, la cui intuizione sta oggi generando nuove esperienze in tutta Italia, nate sull’esempio di quella lecchese. Il nostro impegno ora è costituire a breve un comitato permanente che possa dare continuità nel tempo a questa preziosa risorsa”.

RADIO LECCOCITTÁ CONTINENTAL



































