‘Noi siamo natura’: l’antropologo Marco Aime a Leggermente

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Una lezione di antropologia per ‘rivedere’ il legame con la Terra (e la natura)

“La nostra società e la nostra cultura sono solo uno dei tanti modi di stare al mondo”

LECCO – L’antropologia, la genetica, ma anche la linguistica e le scienze cognitive ‘riunite’ in un’antologia che analizza il rapporto dell’uomo con ciò che non è umano. A parlarne, mercoledì sera, l’antropologo Marco Aime, ospite della 16^ edizione di Leggermente. Intervistato da Massimo Pirovano, direttore del Museo Etnografico dell’Alta Brianza, il professor Aime ha introdotto la raccolta di saggi ‘Umani e non umani. Noi siamo natura’ (Utet Libri), scritto con i contributi di Federico Faloppa, Adriano Favole, Guido Barbujani, Irene Borgna, Emanuela Borgnino, Ugo Morelli e Marco Paolini.

E’ proprio il saggio di Aime e Paolini ad aprire il libro con una riflessione sul concetto di sviluppo e sull’urgenza di regolare l’uso dei beni comuni: “Negli anni si è diffusa questa idea di sviluppo utilizzata per in maniera fasulla – ha spiegato Aime – alla base di questo concetto c’è una metafora naturalistica: il ciclo vitale, anche in natura, prevede la nascita, lo sviluppo, il decadimento e, alla fine, la morte. Quando gli economisti hanno iniziato ad usare il termine sviluppo hanno però omesso le ultime due fasi. Oggi, lo sappiamo, consumiamo più di quello che il pianeta produce: così come lo abbiamo concepito, lo sviluppo non è sostenibile, o si cambia davvero o non ce la faremo più. Siamo già tanto in ritardo, non possiamo permetterci di fare piccoli passi”.

Per Aime sono stati proprio gli occidentali a scardinare il rapporto con le risorse naturali. “Ma oggi la crisi climatica che stiamo vivendo ci mette di fronte alla nostra vulnerabilità e alla nostra dipendenza dalle altre forme di vita, imponendoci di ripensare al rapporto con ciò che chiamiamo natura”. Come analizzato nel testo, il termine natura implica proprio ‘la forza vitale che anima tutti gli esseri della Terra, umani compresi’. Allora la natura non va contrapposta all’idea di umano ma va intesa come parte di esso, ricordando che “la Terra è il nostro bene comune e prendersene cura vuol dire mettere in discussione i nostri modelli antropocentrici, per ritrovare quel tessuto di relazioni che ci lega”.

Che poi, è il compito dell’Antropologia, ha ricordato Aime: “Una scienza che ha un nome ambizioso, associato allo studio della storia dell’uomo. In realtà l’antropologia studia in che modo si costruiscono le relazioni tra gli individui, e ognuno di noi dà all’ambiente un posto diverso. Il merito dell’Antropologia è spostare il punto di vista: la nostra società e la nostra cultura sono solo uno dei tanti modi di stare al mondo e non necessariamente è quello giusto”.

Marco Aime è professore di Antropologia culturale all’Università di Genova. Ha svolto ricerche sulle Alpi italiane e in Africa occidentale. Si occupa del rapporto fra identità culturale e contemporaneità. All’attività di antropologo affianca la produzione favolistica e narrativa. Per Utet ha pubblicato Senza sponda. Perché l’Italia non è più una terra d’accoglienza (2015) e Tra i castagni dell’Appennino. Conversazioni con Francesco Guccini (2016).

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