Sold out ieri sera al Teatro Manzoni per l’incontro con il filosofo Umberto Galimberti
Un monologo di più di un’ora, condito da spunti e provocazioni: “Scuola e famiglia disastrate. Basta agli insegnanti di ruolo. E test di personalità per tutti gli aspiranti prof”
MERATE – Scuola e famiglie disastrate, incapaci di fornire una rotta ai giovani privati di una visione di futuro in una società, quella occidentale, in crisi da decenni. Tutto esaurito ieri sera, martedì, al Teatro Manzoni per l’incontro con il filosofo Umberto Galbimerti. Promossa dall’associazione Dietro la lavagna come apertura del ciclo di tre appuntamenti dedicati al tema “Genitorialità e inclusione”, la serata si è aperta con una breve riflessione della presidente del sodalizio Maria Rosa Panzera che, citando alcune pubblicazioni, ha parlato di giovani sempre più in crisi.
Un argomento da cui è partita, dopo i brevi saluti dell’assessore al Welfare Franca Maggioni, l’ampia disamina del professor Galimberti, 81 anni, filosofo, saggista, psicoanalista e giornalista di fama internazionale. Forte di una preparazione filosofica e psicologica robusta e a tutto tondo, il docente emerito ha evidenziato subito la fragilità delle nuove generazioni per cui il futuro non è più una promessa: “A questi giovani manca lo scopo per cui vivere e manca anche la risposta al perché manca lo scopo. Senza trascurare il fatto che i valori si svalutano e l’alcool e la droga diventano degli anestetici con cui fronteggiare l’angoscia di guardare avanti”.
Una situazione davanti alla quale scuola e famiglia non solo sembrano impotenti, ma quasi scaricare, l’una sull’altra, le responsabilità. Lanciando diverse provocazioni e suscitando più volte gli applausi del pubblico, Galimberti non ha lesinato critiche a genitori e docenti: “L’identità è un dono sociale, basato sul riconoscimento o sul disconoscimento che abbiamo dagli altri. Oggi abbiamo genitori che non parlano con i bambini, che si interessano di loro a livello fisico, ma non a livello emozionale. Chi forma l’identità dei piccoli? I cartoni animati? La baby sitter? Vedo case piene di giocattoli e questa è una pazzia perché così si uccide il desiderio, che vive di mancanza”.
Un vuoto che diventa esplosivo quando il mondo famiglia si interseca con quello della scuola. “E qui troviamo genitori che si permettono di parlare male delle insegnanti, provocando così una ferità all’affettività dei bambini che nelle maestre trovano il primo punto di riferimento al di fuori di mamma e papà”.
Una dissociazione lesiva per i più piccoli che proprio a scuola dovrebbero trovare i primi appigli per muoversi con autonomia, trovando spesso e volentieri però insegnanti sordi, impreparati ai loro bisogni, soprattutto emotivi, e bel lontani dall’idea che la scuola debba, anche dopo il ciclo primario, educare, lavorando sulle pulsioni di cui è pervaso l’uomo. “Pensiamo ai bulli, le cui “spinte” dovrebbero essere trasformate in emozioni. E invece che si fa? Li si sospende, quando invece bisognerebbe mandarli a scuola il doppio”.
“La scuola? Un disastro”
Senza troppi giri di parole, Galimberti ha definito la scuola un disastro perché pensata non per gli studenti, ma per dare un posto di lavoro ai professori, “pagati poco, è vero, ma per tutta la vita”. Inamovibili, anche se incapaci di trasmettere emozioni, chiavi di volta per accedere alla conoscenza: “La scuola è sempre più in crisi perché priva di empatia e ricca di insegnanti demotivati. Dovremmo riempire le aule di letteratura e non di computer: un’ora di informatica non può sostituire 10 minuti con un buon maestro e quelli cattivi dovrebbero essere cacciati”.
Un tema, quest’ultimo, su cui Galimberti ha insistito, sostenendo di essere favorevole all’abolizione al ruolo per gli insegnanti: “Bisognerebbe poter lasciare a casa chi non insegna bene così come fanno le scuole paritarie che, lo dico con dispiacere, stanno scalzando la scuola pubblica”. Tra gli spunti forniti, anche quello di introdurre un test sulla personalità a cui sottoporre i docenti: “Nè più né meno di un colloquio, in fondo, per capire se sono portati, se hanno mantenuto l’empatia con cui tutti nasciamo”.
Tra i suggerimenti rivolti ai prof anche quello di andare a scuola di teatro perché “la cattedra è un grande palcoscenico”. Applausi convinti dal pubblico per la richiesta di inserire nel percorso formativo dei docenti anche lo studio della psicologia dell’età evolutiva.
Galimberti ha impreziosito il suo racconto, ricco di spunti e di stimoli, anche con aneddoti personali andando con la memoria a quando insegnava negli istituti superiori. “Avevo deciso di abolire il colloquio con i genitori preferendo parlare direttamente con i ragazzi. Dopodiché fui costretto a ripristinarlo, trovandomi di fronte mamme e papà che mi chiedevano come andasse il figlio. Una domanda a cui replicavo dicendo che, dopo 17 anni di vita, avrebbero dovuto saperlo già loro… Insomma è finita che poi più nessuno veniva ai miei colloqui…”.
Correndo sempre sul filo dell’ironia, in un monologo ricco di mitragliate sferrate in più di una direzione, Galimberti ha chiuso con un monito alla società occidentale che sta sempre più trascurando i giovani, vera e inascoltata forza motrice della comunità. “E lo dico io, qui sul palco alla mia età”. Dopodiché, indossato la giacca, è sceso dal palco con il pubblico ancora seduto in sala, restando a disposizione all’ingresso, per firmare gli autografi dei suoi libri.
Nessun dibattito quindi al termine di una articolata disamina che ha fornito molti spunti di riflessione, mettendo in luce la fragilità e la complessità del sistema educativo attuale.
Prossimo appuntamento ora il 4 aprile, alle 20.45, all’auditorium comunale, con il pedagogista Daniele Novara sul tema “Terapia o educazione? L’aumento delle certificazioni diagnostiche nelle scuole”. Ingresso libero senza prenotazione.