LECCO – Riprende su Lecconotizie la Rubrica “Lecchesi nel mondo” dedicata ai racconti dei lecchesi che per vari motivi hanno deciso di fare un’esperienza (temporanea o definitiva) all’estero. Col racconto di Camilla (nella foto sotto a sinistra) facciamo tappa in Finlandia. Il nome stesso per tanti di noi rimanda per lo più a paesaggi innevati, laghi ghiacciati, cani da slitta, renne: insomma un posto selvaggio e affascinante, da visitare per un paio di settimane, forse un mese per gli amanti delle spedizioni sotto zero. Di certo non un posto dove trasferirsi per studiare, vivere, o lavorare. La storia di Camilla, meratese da due anni e mezzo studentessa a Turku, sfata il mito di una Finlandia inospitale, offrendoci uno scorcio di vita in un Paese che offre davvero numerose risorse ai giovani stranieri, a partire dalla rinomata cultura universitaria. Senza dimenticare i “lati negativi”: un clima estremo e la diffusa piaga dell’alcoolismo.
“Mi chiamo Camilla, ho 26 anni e da due anni e mezzo vivo a Turku, nella Finlandia sudoccidentale. Mi sono trasferita qui nel 2011 per seguire un Master di due anni (corrispondente a una nostra laurea specialistica) in Studi della Regione Baltica. “Che roba è?”, direte voi. Il mio interesse per quest’area – che si estende dalla Danimarca alla Russia e dalla Svezia alla Germania – è nato durante un Erasmus in Lituania, che mi ha aperto gli occhi sulla diversità e molteplicità di prospettive possibili in Europa, negli studi, nella vita.
Il Baltico–una regione della quale da noi si sa così poco–è semplicemente un’altra Europa. Immaginate di riflettere la mappa del Mediterraneo in uno specchio: ecco, vedrete che anche a Nord c’è un mare, completamente diverso dal primo, ma comunque circondato da Paesi con lingue, culture e identità che presentano tratti comuni. Considerandomi non solo italiana, ma anche europea, ho trovato il mio posto anche in questa parte del nostro bel continente. Turku è diventata la mia casa: qui abito, studio, coltivo ottimi rapporti accademici, frequento un corso di danza classica (la mia passione da 18 anni) e ho stretto tante amicizie vere.
Per organizzarsi a studiare in Finlandia, la prima cosa da fare – non solo all’estero, ma anche in Italia – è accertarsi che gli studi universitari siano la chiave per realizzare i propri progetti. Lungi dall’essere il prosieguo delle scuole superiori, l’università deve offrire prospettive di specializzazione e formazione avanzate e (nel caso del Master) personalizzate. L’università finlandese gode di ottima reputazione, soprattutto nel campo elettronico e scientifico. Data la qualità dell’insegnamento e l’impegno richiesto, serietà e determinazione sono prerequisiti indispensabili. Questo perché gli studenti sono considerati una risorsa il cui successo può contribuire ad accrescere sensibilmente il prestigio dell’università.
Fatte queste considerazioni, si procede all’individuazione del corso di laurea desiderato e alla compilazione della domanda. Qui le applications (candidature) per i corsi sono gestite da un unico portale per tutte le università chiamato University Admissions Finland (UAF, universityadmissions.fi). Il sito, ovviamente in inglese per gli studenti stranieri, contiene indicazioni dettagliate sul processo di ammissione e i link ai siti di tutte le università del Paese. In altre parole, se si fa domanda per più programmi in università diverse, è possibile controllare lo stato delle proprie applications sul sito UAF. L’alloggio è invece gestito da un ente legato alla singola università. I quartieri universitari sono tantissimi, sparsi in tutta Turku e nella sua periferia (raggiungibile in bus in 20-30 min).
Se selezionati, si entra in un mondo universitario molto diverso da quello italiano – almeno per un’ex studentessa di Scienze Internazionali in Statale. Ogni anno viene selezionato un numero molto limitato di studenti, il che spinge i candidati a dare il massimo già nel processo di application. Per l’a.a. 2011/2012, in corso con me c’erano altri 6 studenti. Il nostro potrebbe essere un caso particolare, ma non credo gli altri programmi si discostino molto in fatto di numeri. Ne conseguono un’ottima qualità dell’insegnamento e del rapporto docente-studente (e tra studenti), ampi spazi per il dibattito e l’iniziativa personale (parte integrante della valutazione) e una sana competizione tra colleghi.
Certi professori saranno più accessibili di altri, ma il principio è che se tu, studente, hai un dubbio, un commento, un progetto, un sogno–coordinatori e docenti ti prenderanno seriamente in considerazione e, se possibile, ti verranno incontro. Questa almeno è la mia esperienza personale. In questi due anni sono entrata in contatto con accademici e professionisti di alto livello in Finlandia, Danimarca, Lituania, Germania, Svezia. Per chi si costruisce una buona reputazione come studente, le porte qui sono tutte aperte: non esistono personalità irraggiungibili, non c’è un ricercatore o professore che non risponderà alle tue mail – salvo che questi sia particolarmente maleducato, come mi ha detto una volta un amico.
Qui ho ricevuto fiducia, consiglio e supporto finanziario per una ricerca di tesi ambiziosa (quasi ai limiti della fattibilità!), che ora mi permette di crescere tantissimo. Insomma, c’è la possibilità di realizzare i propri progetti, se documentati a dovere e sostenuti da una valida storia accademica. Parlando sempre secondo la mia esperienza, posso dire che in Finlandia la meritocrazia è una cultura, un modo–l’unico, in realtà–di operare.
Dimenticavo: il mio corso, come tantissimi altri, è completamente in inglese (come dovrebbe essere in ogni università che aspira a inserire noi studenti nel mondo). In inglese sono anche i numerosi saggi che ci è richiesto di scrivere, le presentazioni che svolgiamo nei seminari e la tesi. Quanto al finlandese, è una lingua ricchissima, molto divertente ed estremamente complessa, lontana anni luce da tutte le altre lingue europee, eccetto l’estone. Come tutto, però, si può imparare. Dopo un anno di studio in università e tanta pratica si conquista un buon A2. Nel mio caso, l’ambiente è stato molto incoraggiante: i finlandesi sanno di essere in pochi (circa 5,5 mln) a parlare una lingua difficile, quindi, in genere, sono molto contenti e disponibili quando uno straniero mette insieme una frase di senso compiuto nella loro lingua. Quasi tutti parlano davvero un buon inglese e tantissimi hanno studiato o stanno imparando la nostra lingua! Sorprendente.
Ovviamente in Finlandia non è tutto perfetto. Anche questo Paese ha i suoi lati negativi. Ci sono, soprattutto fra gli uomini, difficoltà a socializzare; l’alcolismo è un problema serio e diffuso; per trovare lavoro serve anche fortuna, come altrove. Se volete farvi un’idea di quel che non va in Finlandia, ma con leggerezza, date un’occhiata allo spassoso blog (semiserio) depressingfinland.tumblr.com. Il mio bilancio è comunque positivo. Forse, l’aspetto migliore di questa società è l’affidabilità dei finlandesi. In tutti i contesti si percepisce un forte senso del dovere, della giustizia e della disciplina. Probabilmente, il più importante valore nazionale finlandese è sisu, un misto di forza interiore e di volontà, perseveranza e razionalità. La mia insegnante di danza me lo ha spiegato così: “È quando sai che non puoi farcela, ma provi, lotti e alla fine raggiungi il tuo (irraggiungibile) obiettivo”. È una pressione continua, che richiede tanto e dà anche di più, almeno agli studenti impegnati e, sì, fortunati come me.
Parlare dei finlandesi e di come sono non è una cosa che mi piace in quanto ho imparato a diffidare degli stereotipi: è vero, hanno un fondo di verità, ma quello che conta è il vissuto personale. Posso dire che tra i finlandesi ho trovato amici sui quali posso contare sempre. Personalmente, ammiro la loro maturità e sensibilità, la loro capacità di ascolto, il loro dare valore ai rapporti che lo meritano e il loro particolare senso dell’umorismo. Astenersi persone poco serie: per chi non apprezza queste qualità, qui sarebbe una noia mortale.
In conclusione, l’unico lato veramente negativo, per me, è il clima. Ormai sono abituata a indossare il giaccone invernale da novembre a fine marzo; al ghiaccio, alla neve; a frasi tipicamente baltiche del tipo: “Hei, è il primo marzo, è primavera!”, quando tutto intorno a te sembra un freezer–e tu ti senti un’aringa baltica surgelata. Per alcuni di noi italiani questo sarebbe già abbastanza, ma il vero problema, secondo me, è l’oscurità (6 ore di luce e sole bassissimo sull’orizzonte nel mese di dicembre), ma non disperate. Ci sono lampade, vitamine, mille rimedi per combattere la diffusa “sindrome affettiva stagionale” (S.A.D.), di cui soffrono anche i locali. L’inverno finlandese ti tempra–se sopravvivi. La sauna è un toccasana e funziona ancora meglio se seguita da un glögi caldo (la tipica bevanda natalizia a base di succo di ribes, cannella, zenzero) in compagnia dei propri semiseri amici finlandesi. E poi l’estate sul Baltico è spettacolare: sole notte e dì, caldo (ricordo settimane a 28°!), i turkuensi – me compresa – che escono dalle caverne, bagni al mare (ebbene sì). Insomma: per me ne vale tutta la pena!”.
Camilla
Turku (Finlandia)
Se sei lecchese e ti trovi all’estero per lavoro, studio, anno sabbatico, scrivi a redazione@lecconotizie.com mandaci le tue foto e raccontaci la tua storia!
<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<
@2 Lecchesi nel Mondo: Irene e il biglietto di sola andata per la Nuova Zelanda
@1 Lecchesi nel Mondo. Matteo, l’Australia e l’Eldorado che non c’è