Lettera. “I morti vanno ricordati tutti. Ma proprio tutti”

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Riceviamo e pubblichiamo

“Sono uno di quelli che ieri non ha ricordato. Sono uno di quelli che il giorno del ricordo non lo celebra. Non perché non ritenga importante la memoria storica, specie la memoria delle pagine di storia più ignobili, che ci offra la possibilità di una catarsi sociale, l’impegno a non ripeterle.
Non ho ricordato perché non mi sono voluto rendere complice di una memoria falsata. Esistono studi storiografici acclarati, come quelli di Claudia Cernigoi, di Jože Pirjevec, di Alessandra Kersevan che dimostrano come i corpi ritrovati negli anfratti carsici non siano più di cinquecento, mentre la storiografia ufficiale si affanna a rimpolpare l’elenco degli infoibati per renderlo di migliaia, includendo anche i corpi trovati in fosse comuni o addirittura coi nomi di esuli ancora vivi dopo il 43-45.
Testimonianze degli ufficiali di polizia che, nel dopoguerra, furono incaricati di indagare sui recuperi dalle foibe, affermano che furono proprio uomini dell’Ispettorato Speciale di Polizia per la Venezia Giulia, organismo di occupazione fascista per la repressione della resistenza partigiana, a gettare negli “anfratti del Carso” degli arrestati che morivano sotto tortura.
Molti degli infoibati dopo la fuga dei fascisti nel ‘43 o dei Nazisti nel ’45 erano personaggi legati all’occupazione fascista o nazista.
Certo, anche ammettendo la validità di quanto ho detto finora, resta il fatto che se anche un solo innocente fosse finito in quei pozzi naturali, e sicuramente ce ne sarà anche più di uno perché le guerre e le occupazioni militari sono orribili faccende, meriterebbe di essere ricordato con rispetto. Di fronte a questa giusta osservazione mi sento di rispondere che allora sono disposto a levarmi il cappello il prossimo 10 febbraio, magari anche a scendere in piazza, a patto però che accanto al giorno del ricordo si istituisca anche il Giorno della Vergogna. In cui gli italiani possano vergognarsi dei 250 mila morti slavi lasciati nei Balcani dopo 20 anni di dominio italiano: massacrati, fatti morire di fame nei 31 lager istituiti dagli italiani a Kraljevica, Lopud, Kupari, Korica, Brac, Hvar. In cui ci si ricordi delle centinaia di migliaia di morti lasciati in Libia e nel corno d’Africa dove abbiamo insegnato al mondo come si usano le armi chimiche e come si fa “pulizia etnica”.
Perché è vero: i morti vanno ricordati tutti. Ma proprio tutti”.

Mauro Bellavita