LECCO – Riceviamo e pubblichiamo:
“Da una attenta lettura della versione sintetica ufficiale ( con qualche approfondimento in quella integrale) mi è balzata subito all’occhio una discrepanza : il parallelismo con Di Vittorio, nella parte iniziale dello scritto, non regge.
Cito letteralmente il passaggio : “ Ci sono infatti analogie nelle condizioni di partenza : l’Italia usciva dalla devastante guerra; oggi, dopo un altrettanto devastante crisi economica, c’è ancora bisogno di “ricostruzione” e innovazione”.
Dopo ? ma se la crisi è ancora pienamente in atto, anzi sembra volersi ancor più dispiegare nel corso del 2013, come si può dire dopo ?
Non è, come potrebbe a prima vista sembrare, una differenza da poco se dettata da una non percezione chiara di un dato peculiare che caratterizza questa crisi che è, oltre alla sua ben individuata straordinarietà, una crisi strutturale di “sistema”, come perlomeno in molti la definiscono.
E’ importante questo “particolare” perché, il percepirlo nitidamente, permette di porsi in un atteggiamento diverso riguardo alle ipotesi di soluzione.
Così si rischia (col dopo) di sposare la tesi che l’”aver domato” lo spread, o simili amenità, ci ha fatto superare il punto più critico del famigerato “baratro”, peraltro enfaticamente usato ad arte per fare digerire “ricette” inique e monodirezionali. Ma soprattutto può far pensare che quanto è successo ( e sta ancora succedendo…) è stato solo un “incidente di percorso” e che il “sistema” si può auto emendare.
Ed invece tutto questo può e deve essere letto con la consapevolezza di chi sostiene che il cosiddetto modello liberista, con le sue nefaste ricette, ha fallito il suo presunto compito di creare le condizioni per un mondo migliore, anzi lo sta decisamente affossando.
Senza questa consapevolezza si rischia di ritoccare continuamente i vari elementi all’interno del quadro che altri ci fanno apparire come l’unico possibile, mentre occorre pensare ad un quadro nuovo : ad un modello di sviluppo nuovo. E vari economisti, ma non solo, non allineati al cosiddetto “pensiero unico liberista” ci stanno seriamente provando, anche applicando modelli economici e sociali alternativi.
E’ vero, lo so … bisogna fare i conti con la realtà ma solo se sappiamo leggere il passato e soprattutto il presente, rendendolo comprensibile a tutti, possiamo sperare, agendo subito sull’oggi, di rendere possibile un cambiamento realmente “umanizzante”.
Cosa c’entra tutto questo con la grande “questione del Lavoro”, mi direte : c’entra eccome, perché rimettendo al centro l’Uomo e non il Mercato ne deriva necessariamente un generale riposizionamento non solo di valori ma, a cascata, di orientamenti, scelte, politiche concrete sui vari aspetti della convivenza sociale e civile a partire da quelle per il Lavoro, elemento base per dare dignità ad ogni Persona.
E soprattutto occorre accelerare verso metodi realmente partecipativi nella creazione del consenso, con lotte reali e non solo a base di qualche “ figurativa ed autoconsolatoria schermaglia” : occorre “picchiare duro su 2 / 3 obbiettivi prioritari” supportandoli con “campagne” che non ci vedano solo in atteggiamenti difensivi ma decisamente attivi, in qualche modo dettando noi l’agenda delle priorità. Noi, che siamo orgogliosi di essere iscritti alla CGIL, non possiamo mai dimenticare che la nostra organizzazione è composta da quasi 6 milioni di tesserati. Qual è quell’organismo sociale che può mettere in campo una tale forza d’urto e, se ben orientata, di cambiamento ?
Dobbiamo risvegliarci dal torpore in cui ci hanno accucciati nel nome delle cosiddette compatibilità, della competitività a senso unico (quella al ribasso di civiltà, che fa strage dei diritti di base e mette contro le une alle altre intere popolazioni sempre più vessate dal primato del Mercato e delle sue attuali regole ), della Crescita Illimitata, vero innaturale feticcio e della “libera circolazione delle merci”, ma “stranamente” non degli uomini … Quello che doveva essere un modello ( la cosiddetta globalizzazione ) per diffondere più benessere e giustizia sociale si è rivelato l’esatto contrario : fonte di “arretramento economico e sociale” di alcuni, a vantaggio di altri in un meccanismo infernale che fa perdere di vista i veri “speculatori sociali”, dietro il velo di nazionalismi e di strumentali conflitti d’interesse, costruiti ad arte tra giovani ed adulti, occupati e disoccupati e quant’altri presunti “interessi confliggenti” veicolati mediaticamente a piene mani. Quegli “speculatori sociali” ( ognuno li chiami come li vuole ) che, facendo profitti su tutto questo, ridono a crepapelle nell’essere riusciti a mettere contro tra di loro le varie vittime del “sistema”.
Ecco perché ad esempio ci propinano continuamente il mito della Crescita come paradigma base su cui impostare tutte le scelte economiche. Ma in un mondo necessariamente “limitato” ha senso perseguire una Crescita Illimitata, subordinata peraltro ad un indicatore solo quantitativo e contraddittorio della ricchezza qual è il famigerato PIL ? Ma di cosa ci stanno convincendo questi soloni del “pensiero unico” ? Ci hanno “piallato” il cervello ?
Perché invece non si può perseguire una crescita contenuta e soprattutto qualificata, compatibile socialmente ed ambientalmente, con magari elementi di “decrescita intelligente”, nel senso del non spreco di risorse e di modelli più sobri di consumo ? In molti peraltro stanno dimostrando che tutto questo sarebbe perfettamente compatibile con una buona e crescente occupazione.
Perché invece di perseguire una smodata crescita della “torta” non si divide meglio la torta stessa a vantaggio di chi vive di briciole e su cui invece si scaricano immancabilmente le cosiddette politiche dei sacrifici a senso unico ? Una più equa distribuzione delle risorse non può non essere l’elemento centrale anche del nostro agire sindacale, non solo enunciandolo però.
Quindi tornando al “Piano del Lavoro”, che rimane il tema attuale più rilevante, diventa irrinunciabile, non solo a parole ed ancor più in questa situazione di crisi, prelevare risorse da chi ha di più. Un principio questo che dovrebbe essere assolutamente normale in un ambito di una convivenza civile degna di tal nome. Quindi ecco uno dei capisaldi della nostra azione di spinta reale : una cospicua patrimoniale secca immediata sulle grandi ricchezze ( specialmente quelle immobiliari – e che quindi non si possono trasferire all’estero – a prescindere ovviamente dalla prima casa e da quella per i propri figli … darebbe a detta degli esperti un gettito di circa 100 miliardi) prima ancora di quella strutturata su più anni, come indicata dal documento sul “Piano del Lavoro”. E poi contemporaneamente e via di seguito lotta reale all’evasione fiscale (120), alla corruzione(60),alla mafie (300) …. Tutto questo, se si avesse la volontà politica di farlo, costituirebbe la vera colonna dorsale di una contro ricetta risanatrice al modello liberista targato BCE e soci, (quella ben delineata dalla lettera “segreta” al nostro governo precedente dell’agosto 2011) : sarebbe la Via doverosamente autonoma alla rinascita Italiana, che peraltro si potrebbe o meglio si dovrebbe saldare/ alleare con le autonome scelte degli altri Paesi quali Grecia, Portogallo, Spagna … “sotto costante schiaffo” di organismi sovranazionali tanto autoritari quanto non elettivi.
Come diventa irrinunciabile orientare il lavoro secondo direzioni qualitative condivisibili presenti nel Piano (manifatturiero innovativo, green economy, riqualificazione e messa in sicurezza del Territorio …) : solo così si potrà dare concreta e duratura risposta al problema n.1, quello occupazionale che non può prescindere dall’essere ecocompatibile.
Sempre sul Lavoro non ho visto però, con altrettanta chiarezza, nel documento un chiaro pronunciamento sull’abrogazione delle riforme Fornero ( Pensioni e mercato del Lavoro con in primo piano la questione dell’estensione degli ammortizzatori sociali – non della loro riduzione, visto il periodo – , della eliminazione della precarietà dei contratti , del ripristino pieno dell’art. 18 ecc. ecc.) su cui non si può transigere se si vuole veramente essere coerenti con le nostre precedenti dichiarazioni e soprattutto se, nei fatti, non si vuole subire la “ricetta liberista” e perseguirne una realmente equa. Altrimenti saremmo come certi soloni istituzionali che predicano coesione ma praticano disgregazione perché la vera coesione non può che basarsi sulla giustizia sociale.
Infine, ma avrei molto altro da dire, aggiungo volutamente una sottolineatura vista anche la presenza dei candidati più o meno amici ( saranno le scelte reali che faranno i rispettivi partiti di riferimento che li qualificheranno o li squalificheranno ai nostri occhi di cittadini, lavoratori ed iscritti alla CGIL) : Il nostro giudizio di merito non potrà che poggiare sul piano di coerenza e di effettiva azione che produrrete su punti qualificanti, ne cito alcuni : Introduzione Patrimoniale, abolizione riforme Fornero, difesa dei contratti nazionali senza le mine vaganti delle deroghe, no al fiscal compact, non “privatizzazione” ne “mercatizzazione” dei servizi pubblici locali primari a partire da quelli idrici, no grandi opere inutili, no vendita generalizzata dei patrimoni pubblici, niente acquisto F35 ….
Alla nostra CGIL chiedo di riflettere sul proprio ruolo di effettivo motore di cambiamento :
1) nel scegliersi i “compagni di viaggio” più coerenti rispetto alla propria “visione” ed alla sua verificata tradizione di lotta incisiva, responsabile e determinata : un patrimonio storico che non va assolutamente perso o svuotato di significato.
2) di accelerare spendendosi a fondo, a partire dalla grande questione del Lavoro, per una effettiva giustizia sociale.
3) di far seguire ai pronunciamenti formali coerenti e più incisive forme di lotta.
4) di farsi elemento di cambiamento “culturale” anche relativamente ad un nuovo modello di sviluppo.
5) di accollarsi anche un ruolo di “guida sociale” nella tempesta economica e morale che stiamo vivendo a vari livelli. Un ruolo che la CGIL ha saputo interpretare nei momenti decisivi per la convivenza civile e democratica del nostro martoriato Paese. Qui si, vedo delle affinità precise con il periodo bellico e post bellico richiamato dall’introduzione del documento/ sintesi del “Piano del Lavoro”.
In altri termini pongo a tutti questo ineludibile interrogativo :
Vogliamo, nei fatti e non solo negli intendimenti, contribuire ad attuare fino in fondo i dettami della nostra preziosissima Costituzione, nata dalla Resistenza, che recita :
“ … E’ compito della Repubblica ( ndr. quindi di tutti noi !) rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese . “
O vogliamo, nei fatti, lasciar sempre più frapporre ostacoli di ordine economico e sociale ….magari da forze economiche, sociali e politiche che predicano bene ma razzolano male ?
Lo dico provocatoriamente, ma costruttivamente : da che parte vogliamo effettivamente stare noi della CGIL ?”
Germano Bosisio