BRUSEGHINI/Fra ”patti” e “tavoli” si coltiva la propaganda
A proposito del vocabolario della nuova politica, ricordato nell’editoriale di Gianfranco Colombo del 20 aprile scorso, nel quale abbondano “patti” e “tavoli” e un non irrilevante contorno di commissioni e comitati tecnici, di coordinamento, di sviluppo e quant’altro sforna la prolifica fantasia di politici e amministratori, attenti più che ai problemi degli amministrati alla comunicazione e alla propaganda, vorrei soffermarmi sull’ultima trovata: gli stati generali.
Nella nostra provincia abbiamo fatto la loro conoscenza lo scorso anno, con gli “stati generali del turismo”, costati alcune centinaia di migliaia di euro ai contribuenti. Anche il neoministro delle Politiche agricole, giunto al governo incassando il compenso per il voto dato alla maggioranza che sarebbe diventata minoranza se non avesse incontrato per strada i cosiddetti “responsabili”, ha annunciato che entro sei mesi organizzerà gli stati generali dell’agricoltura italiana. L’assessore provinciale Dadati intanto si è portato avanti e a fine aprile ha organizzato quelli dell’agricoltura lecchese. Su questi dirò fra breve, dopo la seguente domanda: perché chiamare questi incontri “stati generali”? A me gli stati generali ricordano quelli francesi prerivoluzionari, formati da nobiltà, clero e terzo stato. Ciascuno “stato” disponeva di un voto e normalmente nobiltà e clero votavano insieme contro il “terzo stato”, cioè i ceti popolari. Che legame vi sia fra le odierne riunioni e quelle prerivoluzionarie per me resta un mistero. A meno di non volere pensare che chi organizza gli odierni “stati generali” abbia nascosto in mente quel modello di relazioni, naturalmente ponendosi nel ruolo della nobiltà e cercando alleanze con il novello clero. Lascio a ciascuno la libertà di attribuire i ruoli, tanto non sarà difficile individuarli fra i tanti che sembra abbiano smarrito l’abitudine all’esercizio della riflessione, della proposta, della critica e anche della rivendicazione. Vi è anche una seconda possibilità da non trascurare: lo spargimento di fumo negli occhi, che ha una sua plausibilità nella pochezza di contenuti che spesso caratterizza tali altisonanti incontri.
E veniamo agli stati generali agricoli nostrani, aperti da una pletorica passerella di amministratori e associazioni, da cui non si è ricavata alcuna analisi che costituisca il presupposto di una strategia e di proposte che le diano sostanza, e conclusi da tre incontri tematici di puro valore divulgativo. Di analisi e proposte nemmeno l’ombra, né un resoconto di stampa. Possibile che i giornali locali, che non hanno trascurato la cronaca di Arginatura, non abbiano colto l’importanza di questi stati generali e dei loro contenuti propositivi? La risposta è disarmante nella sua semplicità: non ve ne erano e sapendo che la propaganda è la cifra di questa Amministrazione provinciale, e in particolare dell’assessore Dadati, tutto ciò non mi sorprende.
Sono due anni che ne denuncio l’immobilismo in agricoltura, tranne che per l’attenzione verso la stampa, ma di risultati ancora non si è vista nemmeno l’ombra. Ricordo solo alcuni degli annunci, a cui non ha ancora seguìto un fatto concreto: fiera dell’agricoltura a Lecco in sostituzione di “Cultura che nutre” ad Osnago, distributori di latte negli edifici della Provincia, rilancio del Consorzio forestale, coinvolgimento degli agricoltori nella sistemazione dei sentieri e rilancio del turismo escursionistico, rilancio dei prodotti locali. Ad ogni annuncio una commissione o un comitato, un lancio di propaganda e via con il prossimo. Sta succedendo la stessa cosa con l’ordine del giorno da me proposto sulla filiera corta del latte, approvato all’unanimità dal Consiglio Provinciale il sette febbraio scorso. La Giunta è stata impegnata a predisporre entro sessanta giorni un programma secondo gli indirizzi dati dal Consiglio, ma a oltre cento giorni i consiglieri non hanno ancora visto traccia di questo programma. Anche in questo caso è spuntato il “Tavolo latte provinciale”, che mi spinge ad unirmi allo scetticismo dell’editorialista de “La Provincia”, ma ancora più grave è l’indifferenza nei confronti del Consiglio provinciale. Voglio ancora pensare che non sia giudicato eccessivo pretendere, da parte di chi ha propensione verso gli “stati generali”, il rispetto della volontà degli organi assembleari di indirizzo e di controllo democraticamente eletti dai cittadini. Meno stati generali e più fatti concreti, o è una richiesta esagerata.?