RUBRICA – Cari amici , dopo un paio di argomenti “estivi” di carattere generale, è mia intenzione ricominciare a trattare argomenti specifici prendendo spunto dalle mie frequenti degustazioni.
Un vino che recentemente mi ha favorevolmente sorpreso è stato un eccellente Alto Adige Lagrein riserva del 2007, quindi ho voluto assaggiarne altri per verificare se questo vitigno, che in passato non m’ha mai fatto impazzire, attualmente viene ben interpretato e valorizzato.
Il Lagrein è un vitigno a bacca rossa il cui nome sembra legato alla Val Lagarina, in Trentino, anche se recenti ricerche addirittura ricondurrebbero ad un antico vitigno coltivato in una colonia della Magna Grecia chiamata Lagara, ora Basilicata.
Sta di fatto che questo vitigno, che ha buona vigorìa e assicura il più delle volte una produzione abbondante, viene coltivato quasi esclusivamente in Trentino ed Alto Adige (380 ha) e trova il suo habitat ideale soprattutto nell’ampia conca di Bolzano in una località chiamata Gries.
Col Lagrein si ottengono vini a monovitigno nelle versioni rosè denominato “Kretzer” e rosso denominato “Dunkel”; quest’ultimo, dopo un affinamento obbligatorio di almeno 2 anni in botti di varia capienza può ottenere la qualifica di “riserva”.
Inoltre, assemblato con altre uve coltivate in loco come la Schiava e il Merlot, contribuisce all’ottenimento di diversi vini come ad esempio il Casteller o il Sorni in Trentino.
Per ciò che concerne la versione “kretzer”, anche per la diffidenza di noi italiani per i rosati, lo si può definire semidimenticato al fuori dalla zona di produzione e anche le aziende ne producono lo stretto necessario per il fabbisogno locale o poco più. Il vino è comunque gradevole, fresco d’acidità, fruttato ma non stucchevole e si abbina a primi piatti, pesce di lago , salumi delicati e carni bianche.
Gli ultimi assaggi positivi, comunque non recentissimi, sono stati l’ottimo rosato della Cantina Convento Muri-Gries e quello di Alois Lageder.
La versione “Dunkel” è invece una costante di tutte le cantine del territorio: solitamente ce n’è una versione giovane e vinoso, colore intenso con sfumature porpuree, sentori speziati e di piccoli frutti rossi, al palato è avvolgente nella densità ma scalpitante nella freschezza ed astringenza. Vino che trovo intrigante con i piatti della tradizione serviti con la polenta, zampone o “vaniglia” col purè o anche formaggi saporiti a pasta morbida come la robiola
della Valsassina o la Toma Piemontese affinata nella paglia.
In una fascia di prezzo abbordabile recentemente mi son piaciuti i Lagrein di Cantina Cortaccia, Produttori Colterenzio e Cantina di Bolzano.
Infine le “riserve”, che son quelle più sorprendenti e dove le differenze non sono solo piccole sfumature. Molto importanti sono l’annata, il territorio, i metodi di vinificazione ed affinamento ed anche l’evoluzione del vino in bottiglia. Vino generalmente corposo, speziato e complesso dove si alternano il frutto e le note conferite dalla botte (o barrique), meno rustico che in gioventù e più vellutato ma sempre “nervosetto”.
Si sale anche con la complessità dei cibi da abbinare ed ho un ottimo ricordo di una riserva “Porphir” della Cantina di Terlano 2007 abbinato ad un filetto capriolo con annessa salsina di ribes: una meraviglia.
Le buone riserve dell’Alto Adige sono abbastanza costose ma per vini come l’ “Abtei” Muri-Gries, il “Taber” Cantina Bolzano, il “Carano” Baron di Pauli il sopracitato “Porphir” o quello di Josefus Mayr, vale la pena spendere qualche soldino in più.
A proposito di Josefus Mayr, produce il Lagrein più estremo in assoluto e si chiama “Lamarein”. Una sorta di Amarone fatto col Lagrein dopo un lungo periodo di appassimento delle uve. Il vino è molto costoso ed è quasi introvabile, pensate che un’amico che questa primavera è andato in catina ad acquistarlo s’è sentito dar appuntamento nel 2018 per averne 6 bottiglie.
Una l’ho prenotata anch’io, giusto per essere coerente col mio… assaggiare per credere!
Roberto Beccaria
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