RUBRICA – Carissimi lettori di Lecconotizie e di questa modesta rubrica sui vini italici, spero proprio che gli ultimi eventi legati alla pandemia non abbiano intaccato la vostra passione per il buon vino e l’enogastronomia.
Chi vi scrive, conseguenza della normativa che vieta gli assembramenti, sta soffrendo le pene dell’inferno per non poter condividere questa grande passione con gli amici e gli “allievi” dei corsi di degustazione e non vede l’ora di ricominciare con tanto entusiasmo.
Entusiasmo che si conferma dopo l’assaggio di alcuni vini delle Marche che mi danno lo spunto per parlare di una vitivinicultura regionale che ha fatto passi da gigante. Non ho mai nascosto il mio amore per il Verdicchio, a tutti gli effetti il mio vino bianco preferito e autentico “ambasciatore” dei vini marchigiani, ma mi sto accorgendo che è proprio cresciuto tutto questo movimento enologico con la valorizzazione dei vini della tradizione e la riscoperta di diverse uve autoctone.
Ma sì dai!! Visto che siamo vicini alle festività, e si prospettano pranzi e cene in famiglia, potremmo anche approfittare dell’ottima qualità e dell’ampia gamma dei vini marchigiani per accompagnare tutte le varie portate del menù.
Cominciamo dalle bollicine che vedono protagoniste le due uve, passerina e verdicchio, che ben si prestano alla spumantizzazione. La prima viene in genere spumantizzata in autoclave con risultati per niente banali: generalmente lo spumante si presenta fine, fresco d’acidità, decisamente sapido e di facile beva, quindi ideale per l’aperitivo. Non ne ho assaggiate tantissime ma se dovessi scegliere riassaggerei volentieri il brut “Altamerea” Az. Ciù Ciù.
Col Verdicchio si può alzare decisamente l’asticella per addentrarsi nella gamma dei prodotti ottenuti col metodo classico, arrivando anche a notevoli prodotti “riserva”. Con questi prodotti di grande personalità, complessità ed equilibrio si può tranquillamente pasteggiare, specialmente con i menù a base di pesce.
Un paio di prodotti (già più volte segnalati in passato) per i quali metterei la mano sul fuoco sono la riserva “Ubaldo Rosi” di Colannara millesimo 2013 e quella di Garofoli millesimo 2016.
Passando ai vini “fermi” non si può che costatare ciò che nell’ambiente enogastronomico viene chiamata “affinità elettiva” ovvero la possibilità pressoché totale, di reciproca valorizzazione e non è facile!
Pensate solo all’enorme potenziale gastronomico marchigiano che spazia dalla cucina marinara distribuita su 200 km di costa Adriatica, alla cucina dell’entroterra collinare fino a quella di montagna al confine con Umbria, Lazio ed Abruzzo.
Con le ricette semplici e delicate abbiamo a disposizione vini piacevoli come il Bianchello del Metauro o la passerina nella versione classica.
Per i piatti più saporiti, oltre ai Verdicchi di Jesi e Matelica, mi sta veramente entusiasmando il Pecorino di Offida DOCG. Vitigno riscoperto nell’entroterra ascolano alla fine degli anni ’90 dalla famiglia Cocci-Grifoni, reimpiantato poi anche in Abruzzo con ottimi risultati. Tra questi trovo ineguagliabili per tipicità e prospettiva di evoluzione in bottiglia il “Gaia”di Le Caniette e lo storico “Colle Vecchio” di Cocci-Grifoni, due ottimi vini bianchi con gli attributi che reggerebbero dignitosamente il confronto con l’assortimento degli antipasti di salumi.
Qualora l’antipasto fosse a prevalenza pesce e verdure, Verdicchio tutta la vita!
Personalmente sono un estimatore del Classico Superiore “Podium” di Garofoli, un vero pioniere che veniva premiato tra i migliori bianchi italiani quando il Verdicchio, generalmente di qualità mediocre, lo si vendeva solo in una famosa bottiglia a forma di anfora, nei fiaschetti da litro e mezzo o anche sfuso.
Senza arrivare alle proibitive etichette di Villa Bucci o Sartarelli, dai Castelli di Jesi sono davvero un bel bere il “Bacco” di Coroncino e suo fratello maggiore “Gaiospino”.
Nella zona di Matelica il mio preferito è quello di Fattoria La Monacesca, la sua riserva “Mirum” è un vero fuoriclasse, lo posso testimoniare con certezza dopo una memorabile degustazione “verticale” di dieci annate diverse in cui non c’era un vino fuori posto (forse ero un tantino fuori posto io dopo una degustazione così impegnativa).
La carrellata dei vini rossi inizia col Lacrima di Morro d’Alba, un delizioso vino rosso da vitigno autoctono da abbinare a primi piatti saporiti e/o alle carni bianche.
In loco ho avuto il piacere di accostarlo ai “vincisgrassi“ o alle tagliatelle con tartufo bianco di Acqualagna, ma qui da noi possiamo accontentarci di crespelle di grano saraceno, ravioli ripieni al brasato, risotto con la luganega e, adesso che ci penso, non lo vedrei male neppure con la “busèca” della vigilia. Anche il Rosso Conero ed il Rosso Piceno stanno ritagliandosi sempre di più un ruolo da protagonista non solo a livello regionale .
Il Rosso Conero, nonostante sia prodotto più a settentrione, valorizza maggiormente il vitigno montepulciano e quasi tutte le riserve più prestigiose esaltano questo vitigno “in purezza”, il Rosso Piceno invece è un uvaggio in cui il montepulciano ben si integra col sangiovese.
Per i pranzi e le cene in famiglia nelle prossime festività, il tradizionale cappone ripieno, l’agnello, gli arrosti farciti ed il tagliere dei formaggi troverebbero dei vini come il Conero riserva “Sassi Neri” Le terrazze o la riserva “Agontano” di Garofoli, oppure il Rosso Piceno sup.ris. “Nero di vite” Le Caniette dei fantastici comprimari.
Tra i vini di ultima generazione che sposano uve internazionali come il cabernet ed il merlot all’italianissimo montepulciano, due vini che non mi hanno mai deluso sono il “Pelago” di Umani Ronchi e l’ ”Esperanto” di Ciù Ciù, elegante il primo, potente e piacevolmente vinoso il secondo.
Per finire un “chicca” per i golosi di cioccolato, soprattutto quello fondente, provate a degustarlo col “vino e visciole” un prodotto della tradizione marchigiana che a Natale nelle case non manca mai una medicina!
Battute a parte tanti, tantissimi auguri a tutti, con la speranza di uscire il prima possibile da questa incredibile situazione, per ora trattiamoci bene almeno a tavola .
Assaggiare per credere
Roberto Beccaria
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