Intervista al Dottor Lusenti, in pensione dopo 36 anni di servizio all’ospedale di Lecco

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Il dottor Francesco Lusenti, 36 anni di servizio all’Ospedale Manzoni di Lecco

 

LECCO – Ha cominciato a lavorare all’Ospedale Manzoni di Lecco quando la sede era ancora in via Ghislanzoni e il reparto di Neurorianimazione non era ancora nato. Era il 1981, quando il dottor Francesco Lusenti, medico anestesista e neurorianimatore approdò al nosocomio lecchese. Oggi, dopo quasi 40 anni di onorato servizio, il dottor Lusenti si gode la meritata pensione, continuando però a recarsi nel reparto di Neurorianimazione che ha diretto con passione e lungimiranza, contribuendo a renderlo una delle strutture di prim’ordine e affidata alla collega Dottoressa Patrizia Fumagalli che vanta, anche lei, un’esperienza ultratrentennale, .

Ma non solo: Lusenti è anche direttore del Coordinamento di Prelievo Organi e Tessuti della Provincia di Lecco, nato a inizio anni ’90 grazie al Dottor Cristiano Martini. L’attività oggi portata avanti dal Coordinamento è una delle migliori non solo a livello regionale, ma anche nazionale: lo scorso anno sono stati 353 i prelievi di organi a Lecco che hanno permesso ad altrettanti pazienti di ‘uscire’ dalle liste di attesa per i trapianti, con una percentuale di opposizioni pari al 0%. Nonostante questi numeri più che positivi la “lotta” dei medici per diffondere la cultura del dono non si ferma e l’attività di formazione resta uno dei cardini del Coordinamento.

Un’informazione ora più necessaria che mai, come spiegato proprio dall’ex primario di Neurorianimazione, in vista dell’importante traguardo che l’ospedale lecchese si prepara a tagliare: quello dei prelievi di organi a cuore fermo, ovvero su donatori la cui morte è stata accertata per criteri cardiaci e non celebrali.

Abbiamo incontrato il dottor Lusenti, e con lui abbiamo cercato di ripercorrere quasi 40 anni di lavoro effettuati in questo delicato ambito, fino ad arrivare all’avanguardia dei prelievi a cuore fermo.

Dottor Lusenti, partiamo dal passato. Qual era la situazione quando ha cominciato a lavorare al Manzoni?
Quando ho iniziato io la rianimazione non era ancora aperta, esisteva la Terapia Intensiva Neurochirurgica che di fatto era condotta da neurochirughi. A metà anni ’80 è stata aperta la Rianimazione, quindi a inizio anni ’90 sono state scorporate le due rianimazioni, una generale e una per pazienti neurologici. Io ho sempre lavorato in quest’ultimo ambito e proprio negli anni in cui ho iniziato si cominciavano a testare per la prima volta tecniche innovative ben presto ‘esportate’ in altri ospedali.

Qualche esempio?
A Lecco è stata testata e sviluppata una tecnica di tracheostomia detta percutanea, diversa da quella effettuata dagli otorini. Sui nostri pazienti immunodepressi la tracheostomia classica eseguita dagli otorini aumentava il rischio di infezioni, così è stata ideata una nuova tecnica che prevede il posizionamento di strumenti dilatatori nel buco praticato in trachea anziché sezionarla. Insieme all’ospedale di Brescia siamo poi stati i primi ad utilizzare un particolare tipo di catetere per misurare la pressione intracranica: il vantaggio di questa tecnica è che può essere fatta direttamente dai neurorianimatori in reparto, senza spostare il paziente in sala operatoria. L’esame per cui siamo più famosi però è il Doppler Transcranico che permette di verificare la modalità con cui il sangue scorre nelle arterie e nelle vene all’interno della testa. Nei nostri pazienti questa metodica ha dato risultati molto importanti, e per di più consente di determinare l’assenza di flusso sanguigno nel cervello, che è uno dei criteri neurologici per accertare la morte del paziente. Proprio al Doppler Transcranico è dedicato il corso nazionale di formazione che come ospedale organizziamo da 18 anni.

Può darci un’idea dell’attività del reparto? Qualche numero?
Oggi il reparto di Neurorianimazione conta 6 posti letto che all’occorrenza possono diventare 7, massimo 8. Evitiamo di arrivare a questi numeri perché inevitabilmente la qualità dell’assistenza al paziente può risentirne. A livello di organico sono dodici medici, anzi, undici visto il mio pensionamento, e venti infermieri. Lo scorso anno abbiamo effettuato 335 ricoveri in Neurorianimazione e 342 in Rianimazione Generale. Tanti pazienti vengono da fuori Provincia, sud Lombardia soprattutto, ma anche dal Lago Maggiore e dal Varesotto.

Servirebbe dunque un reparto più ampio. Progetti al riguardo?
Quando è nata la Neurorianimazione aveva 10 posti letto, poi diventati 9, poi 8, poi 6. Speriamo di non avere più riduzioni. Quando il reparto è saturo e c’è un paziente urgente facciamo i salti mortali per liberare un posto, fortunatamente possiamo contare su un rapporto fortemente collaborativo con la vicina Stroke Unit, il dipartimento di Neurosciente diretto dal Dottor Andrea Salmaggi e con la Rianimazione Generale. La riduzione del reparto dipende da scelte politiche che non riguardano noi medici, e le criticità, dimensioni a parte, non mancano.
A livello di organico la media dei medici anestesisti rianimatori al Manzoni è 5, non alta. E poi, inutile dirlo, mancano i soldi, che ci consentirebbero di acquisire macchinari e strumenti nuovi per innalzare il livello dell’assistenza e del lavoro che si svolge qui. La Neurorianimazione è diventata Struttura Dipartimentale Semplice quindi non prevede più la presenza di un primario, ma di un responsabile, la dottoressa Fumagalli ora, che risponde poi al capo dipartimento. Il 31 marzo ci sarà un momento importante per la Rianimazione Generale invece, il concorso per nominare il nuovo primario.

La dottoressa Patrizia Fumagalli, nuova responsabile del reparto, e il dottor Lusenti

 

Parliamo del prelievo organi e dei trapianti. Regione Lombardia ha autorizzato l’avviamento dell’iter per il prelievo a cuore fermo. Cosa succederà a Lecco?
Gli accordi con la Regione prevedono tre step. Il primo di formazione interna nostra, che stiamo portando avanti con incontri e riunioni insieme ai chirurghi del Policlinico, gli unici di fatto che saranno abilitati al prelievo e al trapianto degli organi a cuore fermo. Quindi una o più simulazioni, per testare che tutto il sistema funzioni nei tempi necessari. Infine l’avvio dell’attività. Difficile fare previsioni ma l’idea sarebbe quella di terminare l’iter burocratico e le simulazioni entro quest’anno e dal prossimo partire con i prelievi.

Come funziona?
In parole semplici si opera su un cadavere il cui cuore ha smesso di battere e attraverso tecniche di ricondizionamento degli organi di interesse, che per ora sono i polmoni e quelli addominali, fegato e reni, sarà possibile prelevarli e riutilizzarli per un trapianto. Ci si limiterà per ora ai polmoni e a casi di morte per arresto cardiaco testimoniato, ovvero in presenza di qualcuno che possa affermare che a una data ora la persona è stata colpita da attacco di cuore. Ad effettuare il prelievo saranno chiamati i chirurghi toracici del Policlinico di Milano. Sono stati loro i primi a pensare al ricondizionamento dei polmoni e al Policlinico, nel 2010, è stato effettuato il primo ricondizionamento di polmoni che erano stati scartati da altri centri. Il primo prelievo di polmoni a cuore fermo e riutilizzo è stato invece fatto a Pavia.

In che termini pensate possano influire questi nuovi prelievi sulla disponibilità di organi da donare e sulle liste di attesa?
Non ci si aspetta in realtà una grossa incidenza sulla composizione delle liste di attesa ma di certo non possiamo ipotecare il futuro. 10 anni fa sembrava impossibile pensare di ricondizionare gli organi di un paziente morto per attacco cardiaco, invece eccoci qui. Di certo una cosa si può fare: informare le persone che questa tecnica è possibile e spiegarla loro. Già tanti familiari che contattiamo per chiedere il consenso al prelievo di organi, in caso di cuore battente e quindi morte neurologica e non cardiaca, sono in difficoltà perché non sanno di cosa si tratta. Informare è importante, per noi e per gli oltre 9 mila italiani in lista di attesa per un trapianto.

Il suo impegno al Manzoni dunque continua?
Difficile staccarsi da un lavoro così intenso. Per quanto possibile continuerò ad affiancare il reparto e l’attività del Coordinamento, soprattutto per quanto riguarda la formazione e l’informazione. A questo proposito un ringraziamento doveroso all’Aido e ai suoi tenaci volontari il cui supporto è indispensabile.