LECCO – Riceviamo e pubblichiamo:
Devo ringraziare pubblicamente alcune testate mediatiche, specialmente online, che “in crescendo” stanno svolgendo un ruolo divulgativo/informativo quasi da “servizio pubblico” in materie, come la gestione dell’Acqua, delicatissime per l’assetto delle nostre Comunità locali. Quasi una “supplenza” a quello che dovrebbe essere normalmente svolto soprattutto dalle nostre Amministrazioni che spesso si riempiono la bocca di parole pregnanti come Partecipazione ma che poi “fanno fatica” a tradurle in percorsi effettivi per far crescere la consapevolezza dei propri cittadini, perlomeno in merito alle questioni più importanti. Per fortuna questo modo di fare giornalismo “formativo”, vedo che sta “contagiando” e quindi formulo una proposta per qualsiasi media che volesse farla propria : fornire al cittadino/lettore che volesse approfondire un piccolo dossier progressivo che riporti ed aggiorni i vari “contributi” in materia.
Di converso occorre dire che certi argomenti, ad (apparente) componente “tecnica” rilevante, non godono certo dell’attenzione dell’opinione pubblica, peraltro troppo spesso distolta dai “mezzi di distrazione di massa”, quando non addirittura sfavorita dagli “addetti ai lavori”.
C’è però, a mio parere, da parte di ogni cittadino che voglia effettivamente essere “protagonista” e non “pedina”, un dovere di andare a fondo nella formazione delle proprie opinioni, facendo anche un po’ di sana e doverosa fatica : la Democrazia Partecipativa, se vuole essere tale e non “delega”, è esercizio esigente e “sofferto”. Questo è il “prezzo da pagare” se si vuole essere “Cittadini Sovrani” e non “sudditi”. Si chiama “autodeterminazione” e “partecipazione del basso” e costa tempo, sacrifici e produce a volte “fastidio” ed incomprensioni soprattutto in coloro che gestiscono quel Potere che dovrebbe essere Servizio.
Grazie al dibattito mediatico sviluppatosi sulla “Questione Acqua” relativa all’affidamento dei Servizi Idrici in Provincia, che ha consentito di renderlo più fruibile e comprensibile a chi avesse approfondito, anche nei suoi risvolti “tecnico – giuridici”, posso ora tentare di sottolineare quello che per me e per molti altri è il cuore della questione : la “visione valoriale” ( qualcuno la definirebbe “Politica”, nel senso più alto del termine) sottesa alla scelta di campo tra “pubblico” e “privato”, tra “gestione pubblico/sociale” dei Beni Comuni Primari (in primis l’Acqua) e loro “gestione privatistica”.
Intanto va detto in poche parole che i Beni Comuni Primari sono gli elementi costitutivi e qualificanti di una qualsiasi Comunità ed appartengono alla sfera dei diritti inalienabili (che sottendono pure dei doveri ). L’Aria, l’Acqua, la Salute, l’Ambiente, l’Istruzione, il Lavoro … rappresentano, in ragione della loro insostituibilità, gli strumenti di una Vita Umana degna di tale nome e quindi il loro accesso deve essere garantito a tutti, a prescindere da qualsivoglia altra considerazione di natura economica, tantomeno utilitaristica. La Civiltà di un Popolo o la legittimazione di uno Stato si misura sul grado di coerenza rispetto a tutto ciò : ne va del concetto stesso di Comunità, di Umanità e di Giustizia.
Diciamolo apertamente : si tratta di riprendere in mano una originale “visione politica” che non subordina tutti gli aspetti della Vita, anche quelli più sacri, al Mercato trasformandoci così da portatori di diritti/doveri a semplici clienti/consumatori.
Ecco perché i Beni Comuni Primari non si possono ridurre a semplice merce, pur rappresentando un costo per la Collettività che deve garantirne, attraverso una coerente rete di servizi, la fruizione a tutti. Con uno slogan potremmo sintetizzare che l’Acqua ha un costo ma non un prezzo !
Da queste semplici considerazioni, che capirebbe anche un bambino, discende che nessuna azienda privata – si intendono le grosse realtà imprenditoriali del settore e non le occasionali prestazioni di piccoli professionisti – potrebbe, in ragione delle intrinseche caratteristiche dei Beni Comuni Primari, gestire questi servizi a causa dell’altrettanto propria specifica “natura” di “produttrice di profitti” ( secondo le norme di diritto privato o meglio privatistico ). Sono due mondi diversi che strutturalmente obbediscono a due logiche diverse : entrambe legittime ma in ambiti e con finalità da tenere debitamente distinte.
Esiste poi il problema di ciò che vuol dire effettivamente “pubblico”. Per andare anche qui al nocciolo del problema, non lo si può identificare solo con la “proprietà pubblica” ma deve essere caratterizzato da una reale gestione “sociale”, che va ben aldilà delle famose 3 E (efficienza, efficacia, economicità) pur necessarie, perché deve garantire l’effettiva fruizione a tutti di un diritto base ( a cui, ribadisco, corrispondono doveri ), e quindi non riducibile a logiche puramente ed esclusivamente economiche, quando non addirittura speculative.
Ne deriva che il peggior tradimento di un presunto “pubblico” sta proprio nel rincorrere gli stessi percorsi finanziari, borsistici, utilitaristici del “privato” : sono sotto gli occhi di tutti le distorsioni prodotte dalle grandi multiutility (exmunicipalizzate) che a suon di strumentali motivazioni d’efficienza economica si sono pienamente votate alle leggi del mercato ( delle vere e proprie multinazionali che scorrazzano in giro per il mondo) , snaturando completamente il loro originale ruolo e peraltro producendo al contrario perdite ed ingiustizie Ricordo a tutti che la “prescelta” Idroservice è all’interno di LRH, “piccola” multiutiliy pur pubblica da cui, nel recente passato, è trapelata la fondata ipotesi di “occhieggiare” ad altre “più grandi” realtà industriali misto pubblico/private, e , proprio per questo, sempre più lontane dal controllo diretto dei Comuni.
Per togliere qualsiasi alibi giustificatorio nei confronti di questa “cultura privatistica” (a prescindere se vi siano o no dei privati) basterebbe dire che, se la vera partita fosse quella dell’efficienza, il “pubblico” ne uscirebbe certamente vincitore perché, a parità d’efficienza ed efficacia, risulterebbe sicuramente il più “risparmioso”, proprio perché non deve fare utili. Altro concetto questo che capirebbe quel bambino a cui facevo prima riferimento e che purtroppo diversi nostri sindaci non capiscono o forse, meglio, fanno finta di non capire. Quindi basta con l’etichettare ad esempio Il Comitato Lecchese per l’Acqua Pubblica ed i Beni Comuni, di cui faccio parte, come “ideologico” ( orgogliosi di esserlo nei confronti di chi svolgesse un ruolo di pura amministrazione di norme contraddittorie – peraltro solo quando convengono – riducendo al lumicino la propria altrettanto costitutiva funzione “Politica” ) perché noi siamo per le 3 E, solo che non usiamo questo come alibi per “aprire” al privato od alla “cultura privatistica”, magari “risucchiati”, come certi sindaci – per fortuna non tutti – da una presunta cultura amministrativa pratica, o meglio praticona. La battaglia va fatta semmai migliorando le 3 E (anche sottraendo alle “clientele” politiche la scelta di dirigenti gestionali, spesso poco competenti) e non “svendendo” ai privati o “cedendo” alla “cultura privatistica”.
Ecco perché ribadisco che la scelta di affidare ad Idroservice il Servizio Idrico Provinciale sarebbe incoerente (opposta alla volontà popolare referendaria), incongrua, dispendiosa, farraginosa … insomma una scelta all’italiana”, purtroppo in linea con l’attuale inqualificabile “classe dirigente” nazionale.
Sarebbe inoltre molto pericolosa, come abbondantemente documentato dal Comitato, perché se la scelta fosse confermata in tutte le sedi preposte ( conferenza dei Comuni, Ufficio d’Ambito, Consiglio Provinciale), coloro che in questi organismi votassero in tal senso, si assumerebbero consapevolmente la responsabilità di rendere praticabile l’ipotesi di gara ( aprendo di fatto quindi all’ingresso dei privati ) visto che le relative delibere verrebbero sicuramente impugnate per palese illegittimità, viziate come sono dal non rispetto dei requisiti normativi . Tutto questo in assoluta contraddizione con i roboanti e ripetuti pronunciamenti di rispetto del voto referendario e col massimo dispregio della volontà popolare ivi espressa.
Tutto questo potrebbe accadere pur avendo a disposizione un modello come quello dell’Azienda Speciale Consortile che oltre ad essere pienamente coerente col mandato referendario richiederebbe, rispetto all’esistente, adeguamenti meno complicati e quindi più rapidi, meno costosi e, non meno importante, più aperti al controllo diretto dei cittadini attraverso organismi di rappresentanza partecipativa.
Spero di aver contribuito con questo mio scritto a rendere l’idea dell’effettiva “posta in gioco”, augurandomi che sempre più cittadini vogliano approfondire e schierarsi, anche e soprattutto in vista delle scelte a breve dei soprarichiamati organismi decisionali. Basterebbe peraltro che chiedessero pubblicamente conto ai propri sindaci od amministratori del grado di coerenza delle loro scelte con l’inequivocabile volontà popolare di ben 27 milioni di Italiani.
Grazie pe l’ospitalità.
Germano Bosisio, cittadino