25 Aprile. Il sindaco di Mandello: “Noi mai cattivi, non diventiamolo ora”

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MANDELLO – “Ho conosciuto i tragici eventi antecedenti il 25 aprile 1945 soltanto dai libri di scuola, provando disprezzo per chi, in ogni guerra e animato da qualsiasi ideale, ha perseguito il male. Non serve a nulla, però, cercare vincitori o vinti tra i partigiani o i giovani soldati catapultati al fronte. E questo ha mantenuto viva tra noi una profonda  divisione. Non esiste una guerra con dei vincitori. Un solo morto è già, per tutti, una sconfitta”.

Riccardo Fasoli ha esordito così, nel suo discorso commemorativo pronunciato oggi davanti al monumento ai Caduti nel cimitero del capoluogo nella ricorrenza del 25 Aprile, settantaduesimo anniversario della Liberazione.

“Oggi la più grande paura è la banalizzazione del male – ha detto il sindaco di Mandello – una piaga che la nostra società sembra non vedere perché silenziosa e inesorabile. Accettiamo e giustifichiamo ogni modo irrispettoso e il male parte proprio dai piccoli maleducati gesti di ogni giorno. Accorgersi di questi, condannarli e prevenirli è  il primo antidoto a questa banalizzazione del male”.

“Non siamo mai stati un popolo cattivo – ha aggiunto Fasoli – e non siamo mai stati felici di andare in guerra. Mussolini e le alte sfere del fascismo chiedevano a gran voce alle loro armate di copiare la cattiveria dai tedeschi. In Russia ci chiamavano invece “Italiani brava gente” e a Cefalonia pochissimi nostri connazionali rimasero al fianco dei nazisti, anche se l’alternativa era la morte e non il rientro a casa. Non siamo mai stati cattivi, non diventiamolo ora. Né tra noi, né verso gli altri. Dobbiamo però dare e pretendere rispetto”.

Il primo cittadino ha quindi ricordato come “i piccoli gesti di maleducazione e la mancanza di reciproco rispetto fanno scricchiolare il vivere civile e minano i fondamenti cardine della nostra Costituzione” e sottolineato che “il principio più importante e pericolosamente abbandonato in questi anni è la solidarietà”.

“Ci siamo sempre soffermati – ha anche spiegato il sindaco – sull’importanza di evitare una deriva verso una inaccettabile forma dittatura e schiavitù come quella fascista, fatta di doveri senza diritti. Oggi però nel nostro quotidiano viviamo il paradosso contrario, ossia diritti senza doveri”.

Fasoli ha poi invitato a non confondere solidarietà con assistenzialismo e a non attendere sempre che siano altri a risolvere le nostre problematiche. “Negli ultimi anni anche la politica e le istituzioni – ha affermato il sindaco – per motivi elettorali o per l’incapacità ad affrontare in maniera efficace una crisi economica cronica hanno preferito misure assistenziali a sostegni più strutturali: nel mercato del lavoro, nell’assistenza alla povertà e nello stimolo all’ammodernamento del Paese”.

Quindi una considerazione e una serie di interrogativi: “Non nego, come sindaco, la mia preoccupazione: le istituzioni locali sono strette tra la fatica degli enti superiori ad adempiere alle proprie mansioni e una società che si sgretola, sempre più  apatica e individualista. I cittadini attendono sempre di più e per un numero maggiore di necessità l’intervento pubblico o, comunque, di qualcun altro. Quanto ci aspettiamo dagli altri? E quanto facciamo noi per gli altri? Quante regole vogliamo che vengano rispettate dagli altri e poi siamo i primi a non rispettarle?”.

Infine l’ultima annotazione: “I nomi  su questo e sugli altri monumenti cittadini, sulle troppe lapidi del nostro territorio ci ricordano quanti mandellesi hanno perso la vita per la libertà. Il 25 Aprile ricorda la libertà conquistata ma anche le nostre responsabilità, di singoli cittadini e di comunità. La sua vera commemorazione è vivere con senso civico, rispetto, solidarietà e partecipazione tutti i liberi giorni che qualcuno, 72 anni fa, ci ha donato”.

In precedenza nella chiesa di San Zeno don Ambrogio Balatti aveva celebrato la messa, invitando a riflettere sull’importanza del dono della libertà, “da conservare – aveva premesso – anche con l’aiuto del Signore”.

All’omelìa il sacerdote mandellese aveva affermato:”Siamo rimasti in pochi a ricordare quegli eventi del passato, che ci hanno dato la libertà interiore ed esteriore”. “Ma non dobbiamo dimenticare che il cammino di liberazione dall’oppressore non si esaurisce – aveva aggiunto – e che Gesù stesso ci ha liberati dalla schiavitù interiore rappresentata dal nostro egoismo”.

Don Ambrogio aveva anche sottolineato come oggi vi siano molte forme di male e come  troppo spesso si cada nell’illusione di fare ciò che si vuole. “Serve allora umiltà di cuore “, aveva detto. Quindi un ammonimento: “Viviamo in un mondo che parla tante lingue e dobbiamo imparare ad accoglierci e ad aiutarci reciprocamente per costruire un mondo nuovo, contro ogni forma di schiavitù”.