Confapi: “Scegliere tra una falsa democrazia ed una consapevole dittatura tecnica”
Riportiamo l’’intervento di Oriano Lanfranconi, Presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Confapi Lecco, sulla manovra correttiva del governo Monti:
“In questi ultimi giorni molto è stato detto e scritto sui contenuti e sulle reazioni a questa prima manovra correttiva del governo Monti, un governo a cui pressoché unanimemente le forze politiche hanno deciso di affidare il timone, la guida dell’Italia con la benedizione della più alta carica del nostro Paese.
Tutti sono quindi consapevoli che, anche su indicazione della Comunità Europea, ci siamo autocommissariati, ma dietro le quinte di questa quotidianità si cela però una grande incongruenza. E’ quantomeno singolare che le forze politiche che si sono dichiarate incapaci di portare a termine le necessarie riforme, che hanno rimesso nelle mani di altri l’onere di scelte dure ma necessarie, possano ora arrogarsi la facoltà, il diritto di rivedere nei dettagli quanto proposto. Certamente lo stesso governo Monti ritiene che la linea d’azione del governo e delle future manovre siano perfettibili, che si possa essere maggiormente incisivi laddove serve, ma andava dato un messaggio forte in tempi brevissimi di un paio di settimane.
Mi sembra quantomeno kafkiano che si invochi la concertazione delle scelte con le forze politiche in nome del sacro ed inviolabile rispetto della democrazia, elemento fondante ed imprescindibile di una
nazione moderna e civile, con la certezza però di andare a riscoprire nuovamente quelle differenze ideologiche che hanno ingessato la politica del fare negli ultimi decenni. Una democrazia il cui spirito è d’altro canto deficitario proprio in quel sistema elettorale che con infinita cura ha portato negli anni ad una “democrazia fittizia” mirante alla semplice ratifica delle scelte fatte dalle segreterie politiche dei partiti. Ci resta, forse, l’illusione di poter scegliere la coalizione vincente ma non certo le persone che ci guideranno e decideranno per noi la “polis per la polis”. Dopo anni in cui si accusava il Parlamento di immobilismo e di scelte “ad personam”, ci troviamo ora traumaticamente davanti a riforme strutturali che incideranno sulla nostra quotidianità.
Per anni a gran voce chiedevamo riforme vere e ora ne siamo spaventati, terrorizzati, indirizzandoci verso la scelta difensiva più ovvia: quella di perseguire la più ampia concertazione con tutte le forze sociali. Ed anche su questo Monti ha preso una decisione inusuale ed assolutamente coerente con la formazione tecnica che gli appartiene: concertazione si, ma solo su tematiche di competenza, non tout court.
Nei prossimi giorni ci troveremo dinanzi ad una nuova realtà: quella di dover trattare una riforma del lavoro con un sindacato che rappresenta solo una parte dei lavoratori dipendenti impiegati nelle aziende. Questo perchè nel tempo una grande parte dei lavoratori regolari non ha più una rappresentanza sindacale a causa della stessa precarietà del lavoro. Il tutto senza considerare il sommerso che in vaste aree del paese è ancora tristemente e radicalmente presente.
Il sindacato sarà perciò chiamato ad una grande rivoluzione nella propria linea d’azione: quella di difendere gli interessi di tutta la società del lavoro e non solo quella dei propri tesserati.
Si chiederà un vero e proprio risorgimento nell’interpretazione moderna del pensiero socialista e di una lotta di classe che non potrà più essere radicata solamente sulla ricerca dell’uguaglianza sociale, ma anche su merito e capacità. La stessa chiarezza ed onestà intellettuale, deve essere utilizzata anche sul fronte previdenziale perchè nessuno mette in discussione che le pensioni sotto i 1000-1200€ siano assolutamente incompatibili con una vita dignitosa in un Paese dai costi elevati come il nostro. Così come sono esigui stipendi analoghi, soprattutto se alle aziende costano il doppio, il triplo di quella cifra; tutto per avere dei servizi inadeguati o precari, persino dal futuro incerto come le stesse pensioni. Dobbiamo però chiarire quando si difendono anche delle posizioni privilegiate come quelle del settore pubblico della riforma Andreotti-Malagodi che ha permesso di andare in pensione ad un’intera generazione di quarantenni, ed anche meno.
Lo stesso scempio è stato fatto nel settore privato con gli scivoli, scivoletti e finestre varie che sindacato, politica ed associazioni datoriali hanno concordato per guadagnare consenso o per risolvere situazioni contingenti specie di grosse aziende o macro aree. Si poteva fare meglio. Si doveva fare meglio. Dobbiamo essere molto chiari: la precedente generazione ha abusato in molti casi di un sistema che glielo permetteva andando a fare cassa nelle tasche dei propri figli e dei propri nipoti, nelle nostre tasche. Si ammettano gli errori e non si confonda il pensionato sessantenne che dopo quarant’anni di fabbrica percepisce 1000€ con chi, ugualmente sessantenne, percepisce la stessa cifra da vent’anni dopo averne lavorati meno di 15.
Non è la stessa cosa. Le stesse associazioni datoriali non sono immuni da responsabilità, e non siano fin troppo tranquille e compiaciute della linea adottata dal governo. Certo ogni tecnico ed economista ben conosce l’importanza dell’equilibrio tra deficit-debito e PIL; ben consoce chi produce PIL e chi produce debito. Quindi certamente non ci aspettavamo niente di meno sul fronte “impresa” perchè è qui, solo qui, che si fa affidamento per un rilancio dell’economia reale. Non dobbiamo però continuare a difendere i singoli interessi e la specificità di ognuno. Dobbiamo rappresentare efficacemente ogni azienda del paese, soprattutto la PMI, per anni cronicamente deficitaria di una adeguata considerazione, e rinnovare il nostro modo di fare lobby, concertando trasversalmente le linee di intervento.
Il mondo è cambiato, le aziende sono cambiate, il governo è cambiato ma il mondo delle relazioni industriali è rimasto nella forma e nei contenuti fermo agli anni ’80. Nel futuro dei rapporti tra politica, associazioni datoriali e sindacali ci dovrà essere molta coerenza ed onestà intellettuale perchè nell’Italia di domani serve anche questo; perchè non si può perseguire l’equità senza prima ammettere e rimediare agli errori del passato, non si può perseguire la crescita senza eliminare i vincoli che sinora l’hanno impedita, non possiamo essere rigorosi se non lo siamo nell’analisi della nostra storia e della nostra tradizione”.