La zona di Versasio non è nuova a dissesti, l’episodio più grave nel 1882
Allora una frana travolse il borgo, uccidendo sei persone. La chiesetta ne fu risparmiata
LECCO – Che il territorio lecchese, guardando all’intera provincia, sia soggetto a fenomeni di dissesto idrogeologico non è purtroppo una novità: sono tanti gli episodi accaduti in anni recenti che ce lo hanno ricordato, in ultimo il distacco di rocce che venerdì sono piombate sul raccordo della Valsassina, la nuova Lecco-Ballabio.
Il più tragico degli episodi che si ricorda in città è senza dubbio la frana del San Martino, ancora viva nella memoria di molti lecchesi, che nel febbraio 1969 crollò verso valle raggiungendo quella che veniva chiamata la ‘Casa del Sole’ in via Stelvio, uccidendo sette persone.
Eppure, andando ancora più a ritroso nel tempo, c’è un accaduto altrettanto tragico successo proprio nella zona di Versasio, oggi attenzionata per il crollo di massi finiti sulla strada statale, fortunatamente senza fare vittime. Quella volta, le cose andarono molto peggio: era il 16 settembre del 1882 quando una frana travolse le case a valle, provocando sei morti.
“Aveva piovuto molto in quei giorni, la frana è scivolata dal pendio verso le abitazioni – ci racconta lo storico Angelo Borghi, ricercatore premiato la scorsa settimana con la benemerenza civica dal Comune per la sua attività di ricostruzione della storia di Lecco – ancora oggi è possibile notare un piccola concavità in corrispondenza di quello che era il paese”.
Poco più di un centinaio gli allora abitanti di Versasio: “Era un paesino di allevatori soprattutto, parte di quello che era il Comune di Acquate, lavoravano la lana e si dedicavano ai mestieri tradizionali. Il cognome Pozzi, oggi diffuso in città, è originario di quel nucleo – spiega Borghi – La frana ha distrutto metà dell’abitato, facendo sei vittime e uccidendo anche molti animali da allevamento. Si salvarono solo alcune case più a nord e la chiesetta che venne solo lambita e risparmiata. Detriti e roccia si riversarono poi nel Caldone, la cui piena scese fino alla zona del Garabuso”.
“Massi ne sono caduti moltissimi nel corso della storia della nostra città – aggiunge Borghi – Delle frane riguardanti il San Martino se ne trova documentazione da metà Ottocento in poi, per quanto riguarda invece Resegone e Magnodeno la documentazione è minore. La stessa Rovinata di Germanedo, si dice che debba il suo nome ad uno smottamento avvenuto prima che venisse edificato il santuario ma di cui non ho mai potuto trovare testimonianza documentale”.