Nel 1974 l’uscita del primo disco. Intervista a Mauro Gnecchi e Giuseppe ‘Pilly’ Cossa
“Il successo è arrivato dopo, inaspettato ed emozionante”
LECCO – “Ai tempi eravamo sei ragazzi appassionati di musica che facevano rock, uno di quei tanti gruppi di quel periodo magico che furono gli anni ’70. Ci piaceva quello che suonavamo ma la consapevolezza del successo è arrivata dopo”.
Sono Mauro Gnecchi e Giuseppe Cossa (Pilly) a riavvolgere il nastro dei ricordi del gruppo Prog lecchese Biglietto per l’Inferno, l’occasione è il 50esimo anniversario dell’uscita del primo album omonimo.
Era il 1974, Mauro (batteria) e Pilly (piano, organo) avevano appena 20 anni. Insieme agli amici e coetani Claudio Canali, Giuseppe Banfi, Marco Mainetti e Fausto Branchini avevano dato vita ad un progetto musicale destinato a lasciare un segno nella storia della musica Prog e a fare conoscere Lecco in tutto il mondo. Il successo per Biglietto per l’Inferno è arrivato però dopo, sul finire degli anni ’90: “Con l’avvento di internet c’è stata una rivalutazione del genere Prog – ricordano Mauro e Giuseppe – dal nulla abbiamo iniziato a ricevere messaggi e richieste da parte dei fan, scoprendo così di essere famosi: non solo in Italia ma anche in Messico, in America, in Giappone… è stata una vera sorpresa, non possiamo negarlo, per noi i Biglietto erano una parentesi finita e archiviata da tempo…”.
Partiamo dall’inizio: perché Biglietto per l’Inferno?
E’ stata un’idea di Claudio, autore di tutti i testi e voce del gruppo. Il nome arriva da un fumetto, Tex. C’è questo cowboy che va in stazione e chiede un biglietto, il bigliettaio gli chiede per dove e lui, che è proprio sfinito, risponde: ‘Per l’Inferno’.
Com’è nato il progetto?
A quei tempi, inizio anni ’70, a Lecco c’erano due band attive, i Gee (di cui facevano parte Claudio Canali, Baffo Banfi e Mauro Gnecchi) e i Mako Sharks (Marco Mainetti, Giuseppe Cossa e Fausto Branchini). Nel ’72 decidemmo di unire le forze, ci incontrammo verso Monza per parlarne e la sera stessa finimmo per suonare all’inaugurazione di un locale a Magenta. Fu una cosa improvvisata, suonammo i 5-6 pezzi di repertorio che avevamo in comune ma l’intesa fu totale, sembrava che avessimo sempre suonato insieme. Da lì nacque il progetto Biglietto per l’Inferno. Claudio aveva già due testi pronti, Confessione e Il nevare, iniziammo a lavorare al resto delle tracce che composero il primo album.
Dove vi trovavate a provare?
Non c’erano le scuole di musica con le sale prove come oggi, ci si arrangiava. Noi ci trovavamo negli oratori femminili, a Pescarenico, ma anche a Olate. Poi avevamo preso una cascina a Primaluna, in Valsassina: non c’era nemmeno la corrente e avevamo dovuto portare su un trasformatore!
E i concerti?
Abbiamo partecipato a diversi festival dell’epoca, Villa Borghese, Villa Pamphili, Parco Lambro, siamo stati in tournee con gli Area, Claudio Rocchi e anche gli Ufo, per citare alcuni nomi. L’inizio di tutto però avvenne al Be In di Napoli, nel 1973: quel concerto ci ha aperto un mondo, infatti venimmo notati dal produttore discografico della nascente etichetta Trydent Record, Maurizio Salvadori. Avevamo solo tre pezzi, l’LP non era ancora pronto, ma era la prima volta che suonavamo davanti ad un pubblico così grande, più di 5 mila persone. C’era questo muro di amplificatori che non avevamo mai visto, era tutto pazzesco. Quanto è partita Confessione, il nostro ‘cavallo di battaglia’, si sono tutti alzati in piedi, scatenandosi. Per noi fu un’emozione incredibile, avevamo 19-20 anni, sembrava di essere nel paese delle meraviglie.
Nel 1974 viene pubblicato Biglietto per l’Inferno, il vostro primo album.
L’abbiamo registrato in appena dieci giorni, durante la licenza di Claudio dal servizio militare, con un fonico alle prime armi. L’album piacque, anche alla critica: eravamo riusciti in una cosa ritenuta improbabile ai tempi, e cioè suonare il rock con i testi in italiano. La voce di Claudio e le sonorità erano il nostro ‘marchio’, ma il successo commerciale non fu particolarmente rilevante, almeno ai tempi.
E dopo?
Dopo l’uscita del primo disco avrebbe dovuto uscire il secondo, Il tempo della semina, ma la casa discografica fallì e il progetto restò in stand by fino al 1992, quando venne pubblicato. Noi tutti intanto aspettavamo la chiamata per il Servizio Militare: Fausto era già partito, infatti durante l’ultima tournee in Svizzera avevamo un altro bassista, Baffo e poi noi saremmo stati i prossimi, abbiamo iniziato ad interrogarci sul futuro del gruppo. Sostituire i componenti non era semplice e temevano anche di snaturarci. Così, tornando dall’ultimo concerto in Svizzera decidemmo di smettere, era il 1975. Suonammo insieme per l’ultima volta nel 1976 a Saronno, un concerto già fissato a cui non potevamo non presentarci.
Qualche rimpianto per questa scelta?
No, è stato giusto così. Durante le ultime prove capitava ogni tanto di avere visioni differenti tra noi, non in contrasto, quello non c’è mai stato, ma era comunque più faticoso trovare nuove idee. Poi c’era questa ‘spada di Damocle’ del Servizio Militare… Forse, se il secondo disco fosse uscito subito e fossimo andati in Inghilterra le cose avrebbero potuto andare diversamente, ma siamo contenti di quello che è stato.
Il vero successo del gruppo Biglietto per l’Inferno arriva sul finire degli anni ’90. Cos’è accaduto?
Chiusa l’esperienza ognuno di noi ha preso la propria strada, avevamo tutti messo da parte il passato. Nel 1992 è uscito il secondo disco, poi l’avvento di Internet ha cambiato le cose e ci ha riportati ai tempi del Biglietto. Erano i primi anni 2000, un giorno ricevo (Mauro, ndr) un messaggio da parte di due fan bresciani che volevano venire a Lecco a trovarci. Hanno dormito a casa mia e uno di loro ha persino voluto Claudio come testimone al suo matrimonio. Ci siamo resi conto che alla radio passavano i nostri pezzi, poi è venuto fuori ‘il caso’: eravamo increduli per questo successo tardivo, ai tempi eravamo un gruppo prog tra i tanti, ci piaceva quello che facevamo ma non avevamo la consapevolezza. Questa riscoperta ci ha permesso di capire la qualità del nostro lavoro.
Secondo voi qual è stato il motivo di questa riscoperta?
Sicuramente il fatto che il genere Prog, che ai nostri tempi si chiamava semplicemente rock, da genere di nicchia è stato rivalutato grazie all’avvento di internet e tornato di moda. Il nostro primo album aveva sonorità davvero bellissime, i pezzi erano espressivi, noi eravamo molto uniti, quando suonavamo davamo il massimo. Queste caratteristiche sono state riscoperte, a livello internazionale, e ci siamo meravigliati anche noi nello scoprire che in molti ci avevano conosciuto e avevano il nostro disco a casa.
Nel 2009 esce l’album Tra l’assurdo e la ragione, firmato Biglietto per l’Inferno.Folk
Un’idea mia (Pilly, ndr), per rifare tutti i nostri pezzi in chiave folk, sostituendo la parte elettronica con gli strumenti della tradizione. L’album è uscito nel 2009, contiene anche due inediti di Claudio, Tra l’assurdo e la ragione e Narciso e Boccadoro. Un’esperienza sicuramente interessante, fatta con altri amici musicisti. Poco dopo l’uscita dell’album ci hanno chiamato dal Giappone, chiedendoci di andare a suonare, ma volevano le musiche originali degli anni ’70. Abbiamo declinato l’offerta, per noi quell’esperienza era conclusa e non volevamo riviverla dal momento che non avrebbe potuto essere quella originale. Anche in occasione di questo anniversario abbiamo ricevuto tante richieste ma non siamo da revival…vorremmo però celebrare questi 50 anni con una serata evento nella nostra città, stiamo organizzando per maggio, forse giugno. Nessun concerto, solo racconti, video e qualche foto.
A proposito di racconti, vi andrebbe di condividere qualche aneddoto?
Ce ne sono diversi, uno riguarda Marco Mainetti, il chitarrista. Era a servizio militare e alla radio passava un nostro pezzo. I compagni, che non sapevano fosse lui, lo chiamano in causa: “Chitarrista, senti un po’ come suona questo!” Lui non dice niente, quando la canzone finisce prende la chitarra e dice: “Se volete adesso ve la rifaccio sentire dal vivo!”, lasciandoli di stucco.
Io (Pilly) un giorno stavo tornando da Bellano, dove insegnavo, in treno, di fronte a me era seduto un giovanotto un po’ capellone, come me, e iniziamo a chiacchierare. Mi racconta che si occupa di musica, che è un tecnico. Gli chiedo ma lavori con gruppi musicali? E lui “Sì sì, sono il tecnico dei Biglietto per l’Inferno!”. Non gli ho detto niente, non ho osato rovinargli l’illusione…”.