La sofferta decisione della cooperativa Solleva
Da mesi l’accesso allo Stallazzo è reso alquanto difficoltoso dalla presenza della frana che da maggio ha interrotto la percorribilità dell’alzaia dell’Adda
PADERNO – Lo Stallazzo chiude da lunedì prossimo, 2 dicembre, a meno che non verranno messi in atto “fatti concreti ad elevato impatto”. Ad annunciare quella che viene definita una decisione “impossibile da scongiurare” è Luigi Gasparini, direttore della cooperativa Solleva che da anni gestisce il punto ristoro allestito lungo l’alzaia dell’Adda appena dopo il ponte di Paderno.
Da mesi l’accesso allo Stallazzo è reso alquanto difficoltoso dalla presenza di una frana che, dal maggio scorso, ha bloccato la fruibilità da nord a sud dell’alzaia, rendendo di fatto impossibile l’accesso al punto ristoro da chi arriva dalla provincia di Milano e di Monza Brianza. “Dopo mesi di agonia con alternanze di speranze e delusioni, la decisione era da qualche settimana nell’aria. Nessuna polemica, nessuna accusa: è il tempo del lavoro! Bisogna lavorare assiduamente per rimuovere la frana in tempi decorosi e bisogna lavorare per costruire nuovi progetti e ripensare l’intera area alla luce di mutate strategie . Ciascuno deve fare la propria parte e nei prossimi giorni la cooperativa solleva presenterà pubblicamente sue proposte e iniziative” precisa Gasparini che ha inviato una lettera al presidente del Parco Adda Nord Giorgio Monti e ai sindaci di Paderno Gianpaolo Torchio e Cornate Giuseppe Felice Colombo in cui anticipa la sofferta decisione di sospendere le attività del ristoro dal prossimo 2 dicembre “in assenza di fatti concreti ad elevato impatto che dovranno però verificarsi nelle prossime ore o giornate”.
Il perché è presto detto: “Le condizioni economiche non permettono il prosieguo dei servizi. Presenze estremamente ridotte, incassi largamente insufficienti a coprire le spese. A queste negatività si è aggiunta nei giorni scorsi la decisione Inps di non prorogare la cassa integrazione per i lavoratori”.
Gasparini ha anche ripercorso la situazione in cui la cooperativa si è ritrovata da maggio in avanti, quando, a seguito della frana, ha dovuto porre in cassa integrazione i dipendenti in servizio, revocando tutti i contratti di tirocinio ed inserimento lavorativo. “Uno dei due soggetti interessati dalla cassa integrazione ha trovato subito una diversa opportunità lavorativa, mentre l’altro ha usufruito dell’ammortizzatore sociale per i primi tre mesi – spiega – . Nei giorni scorsi l’Inps ha però inaspettatamente rigettato la richiesta di proroga della cassa integrazione: il lavoratore dovrebbe quindi rientrare in servizio allo Stallazzo, ma la circostanza si rende impossibile perché la cooperativa non dispone della necessaria economia. Negli ultimi mesi, lo Stallazzo riceve introiti molto ridotti e specificatamente in questo mese di novembre l’incasso complessivo mensile sarà probabilmente inferiore a 1.500 euro”.
Troppo pochi a fronte delle spese mensili energetiche pari a 450 euro circa, alle uscite per
gli acquisti delle derrate alimentari (circa 500 euro), a cui si sommano i costi per le bombole gas e altre voci minori. “Impossibile pensare di prendere in carico il lavoratore che ha un costo aziendale di 2500-3000 euro. Abbiamo subito chiesto la disponibilità di cooperative sorelle per farsi carico del lavoratore, ma è impensabile poter risolvere nell’immediato. L’unica possibilità rimasta è “chiudere” per non compromettere l’intero assetto della cooperativa. Ringraziamo tutti coloro che in questi mesi ci sono stati vicini, sostenendo nella concretezza quotidiana le nostre attività: il Rotary Club di Merate, varie Pro loco, varie Associazioni e Cooperative, musicisti ed artisti in genere, privati cittadini”.
Gasparini conclude: “Certamente non intendiamo mollare il colpo, anzi insisteremo con forza in tutte le sedi per chiedere la soluzione dei problemi. Siamo convinti che lo Stallazzo e l’area ecomuseale meritino un’attenzione assoluta perché rappresentano il meglio delle nostre tradizioni e della nostra cultura operosa. Siamo consci che lasciare le strutture all’abbandono significhi compromettere il lavoro svolto negli anni da decine di volontari.
Facciamo quindi un appello a tutte le parti perché da subito si metta in campo uno sforzo straordinario per provare ad “inventare” qualcosa e percorrere strade nuove”.