
Classe 1991 e ricercatrice al Max Planck Institute for Astronomy di Heidelberg, Silvia Belladitta racconta il suo affascinante lavoro di studio dei quasar
“Buchi neri supermassicci che ci aiutano a capire pezzi cruciali della storia dell’Universo e della nostra Galassia”
LECCO – Guardare il cielo e domandarsi cosa ci sia oltre: da questo stupore infantile è nata la passione di Silvia Belladitta, astrofisica lecchese classe 1991, oggi ricercatrice al prestigioso Max Planck Institute for Astronomy di Heidelberg.
Dai primi sogni sotto le stelle di Lecco al lavoro quotidiano sui misteriosi quasar, buchi neri supermassicci che ci raccontano i segreti dell’Universo primordiale, la sua è la storia di una curiosità coltivata con impegno e determinazione.
In questa intervista ci accompagna in un viaggio tra scienza e meraviglia, mostrando come l’astrofisica non sia solo ricerca d’avanguardia, ma anche un modo per riscoprire il senso del nostro posto nel cosmo.
Com’è nata la sua passione per l’astrofisica? C’è stato un momento preciso o una persona che l’ha ispirata?
Sono sempre stata affascinata dal cielo stellato e da che ne ho memoria ho sempre voluto studiare cosa ci fosse al di fuori del nostro Pianeta. Un momento preciso forse potrebbe essere stato quando all’età di 6 anni vidi passare la cometa Hele-Bopp sopra i cieli del Nord Italia.
Quali sono state le tappe più importanti della sua formazione accademica e professionale?
Ho fatto un percorso di studi scientifico, il liceo scientifico a Lecco, poi la laurea triennale in fisica e la magistrale in astrofisica all’Università di Milano-Bicocca e poi ho fatto un dottorato di ricerca in Fisica e Astronomia all’Università dell’Insubria, ma portavo avanti il mio progetto all’Osservatorio di Brera a Milano. E dopo un periodo di post-dottorato sempre all’Insubria, dove ho potuto collaborare con l’Osservatorio di Sormano, sono espatriata in Germania, sempre per un post-dottorato. Da Dicembre 2022 lavoro al Max Planck Institute for Astronomy di Heidelberg.
Di cosa si occupa precisamente? Può spiegarcelo in modo semplice?
Io mi occupo di studiare i quasar, ovvero sistemi extragalattici con buchi neri supermassicci (buchi neri giganti, che hanno masse milioni/miliardi di volte più grandi del nostro Sole) attivi (ovvero che stanno aumentando la loro massa ingoiando la materia, stelle, gas, polveri, della galassia che li ospita). In particolare cerco quelli molto lontani, che si sono formati in meno di un miliardo di anni dall’esplosione del Big Bang: sono come fari che ci mostrano com’era l’Universo quando era giovane. In pratica, il mio lavoro è cercare e capire questi buchi neri primordiali per ricostruire la storia dell’Universo. È un po’ come fare l’archeologo, ma invece di scavare nella Terra scavo nel cielo: guardo indietro nel tempo, studiando la luce che ci arriva da miliardi di anni fa.

Ci può spiegare in modo semplice cos’è un quasar e un blazar?
Un quasar è un buco nero supermassiccio ‘affamato’ che si trova al centro di una galassia. Immaginate un mostro cosmico che divora continuamente gas, polveri e stelle: mentre questo materiale cade verso il buco nero, si scalda e diventa brillantissimo, più luminoso di miliardi di stelle messe insieme. È per questo che riusciamo a vedere i quasars anche se sono lontanissimi.
Un blazar è un tipo particolare di quasar: è come se stessimo guardando questo ‘mostro affamato’ direttamente in faccia. Dal materiale che gira attorno al buco nero possono venir lanciati due getti di particelle ad altissima velocità (quasi quella della luce), come due cannoni puntati in direzioni opposte. Quando uno di questi getti è puntato verso di noi, vediamo un blazar.
Per fare un’analogia: se un quasar è come una lampadina potentissima, un blazar è come se quella stessa lampadina avesse anche un faro laser puntato direttamente verso i nostri occhi. Entrambi sono alimentati dallo stesso ‘motore’ – il buco nero che divora materia – ma li vediamo da angolazioni diverse.

Perché si studiano questi oggetti? E ciò che si scopre che importanza può avere in ambito scientifico?
I quasar sono alimentati da buchi neri supermassicci, e osservarli ci permette di rispondere a domande fondamentali: come nascono e crescono questi mostri cosmici? In che modo influenzano la formazione e l’evoluzione delle galassie? Cosa ci dicono sulla fisica in condizioni estreme, che non possiamo riprodurre in laboratorio sulla Terra? Capire i quasar significa, quindi, capire pezzi cruciali della storia dell’Universo (e della storia della nostra Galassia): come si sono formate le strutture cosmiche, e come si è evoluta la materia da pochi milioni di anni dopo il Big Bang fino ad oggi.
Cosa sappiamo dell’universo oggi? Qual è l’oggetto più misterioso scoperto?
Oggi sappiamo che l’Universo è nato circa 13,8 miliardi di anni fa, che si sta espandendo sempre più velocemente e che è fatto in gran parte di qualcosa che non vediamo direttamente: la materia oscura e l’energia oscura. Abbiamo mappato miliardi di galassie e osserviamo la luce che ci arriva da epoche in cui l’Universo era giovanissimo: è come se avessimo un album di famiglia quasi completo.
Riguardo l’oggetto misterioso più scoperto, se dovessi dare una risposta inerente al mio campo di ricerca direi “i buchi neri supermassicci”: non possiamo vederli direttamente, ma governano la vita delle galassie. Non sappiamo ancora come siano cresciuti così in fretta nei primi tempi dell’Universo. Se invece pensiamo all’astrofisica in generale, direi che l’oggetto più misterioso non è un singolo corpo, ma il concetto stesso di materia oscura ed energia oscura: insieme costituiscono il 95% dell’Universo, eppure non sappiamo ancora cosa siano davvero.
Quali strumenti e tecnologie utilizza e quali sono quelle più potenti al mondo?
Nel mio lavoro utilizzo dati raccolti da telescopi sia da Terra che nello spazio. Sono un’astrofisica osservativa: in pratica, guardo il cielo con strumenti che catturano la luce in tutte le sue forme, dalle onde radio ai raggi X. La maggior parte delle mie osservazioni avviene con telescopi ottici e infrarossi, come il Large Binocular Telescope in Arizona o quelli dell’European Southern Observatory in Cile. Inoltre lavoro anche con i dati provenienti dai satelliti, ad esempio la missione spaziale europea Euclid. Questi strumenti, combinati tra loro, ci permettono di avere una visione (quasi) completa dei quasar e dell’Universo.
Oggi i telescopi più potenti al mondo sono quelli che ci permettono di osservare il cielo in grande dettaglio e in diverse lunghezze d’onda. Per esempio, il James Webb Space Telescope, nello spazio, oppure i grandi telescopi da Terra come il Very Large Telescope in Cile e il Large Binocular Telescope in Arizona. E presto arriveranno strumenti ancora più straordinari, come l’Extremely Large Telescope in costruzione in Cile: sarà il più grande occhio umano sull’Universo.
Ci sono recenti scoperte internazionali nel suo settore che l’hanno particolarmente colpita?
Una scoperta recente (del 2024) che mi ha davvero colpita è quella del sistema battezzato Porphyrion. Si tratta della più imponente emissione di plasma (un mix di gas e particelle) da un buco nero mai osservata: due getti partono da un buco nero supermassiccio distante 7,5 miliardi di anni-luce da noi e si estendono per 23 milioni di anni-luce, equivalenti a 140 Via Lattea poste in fila. È così grande da influenzare con la sua energia il gas che forma la struttura a filamenti dell’Universo, il cosiddetto cosmic web. Questa scoperta ci apre nuove prospettive su come i buchi neri abbiano influenzato non solo le galassie in cui vivono ma anche il gas che persa l’Universo molto lontano da loro stessi.
Qual è il ruolo dell’Italia nella ricerca astrofisica a livello mondiale?
L’Italia ha un ruolo molto importante nell’astrofisica mondiale: contribuiamo sia con la ricerca scientifica che con la tecnologia. Gli istituti italiani, come l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e moltissime università, sono coinvolti in tutte le grandi collaborazioni internazionali, dai telescopi terrestri in Cile, Arizona, nelle Isole Canarie, alle missioni spaziali europee come Euclid. Nell’astrofisica delle alte energie siamo eccellenti: l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) ha sviluppato strumenti per missioni NASA (l’agenzia spaziale americana) ed ESA (l’Agenzia Spaziale Europea). Telescopi come Fermi, Swift, e INTEGRAL hanno componenti italiane cruciali. Inoltre l’Italia è tra i paesi leader nella costruzione di strumenti astronomici: gran parte dell’‘occhio’ (gli specchi e le ottiche) dei più grandi telescopi del mondo è progettata o realizzata in Italia. Infine, l’Italia è il terzo contributore all’ESA dopo Germania e Francia, un investimento che ci garantisce leadership scientifica e tecnologica. Questo fa sì che, pur essendo un paese geograficamente relativamente piccolo, abbiamo un impatto molto forte nella comunità scientifica internazionale.
Ritiene che la divulgazione scientifica in Italia sia adeguata o si potrebbe fare di più?
Sinceramente mi occupo poco di divulgazione e ormai sono più informata su come viene svolta in Germania. Però credo che in Italia spesso si faccia ancora molta fatica a comunicare la scienza al grande pubblico. Prima di tutto, nei media tradizionali la scienza ha ancora poco spazio, spesso manca il linguaggio giusto per renderla accessibile senza banalizzarla. E poi c’è un problema culturale: la scienza viene ancora vista come qualcosa di ‘elitario’ invece che come parte della cultura generale, del patrimonio comune. Ci sono però tanti aspetti positivi; negli ultimi anni la divulgazione scientifica è cresciuta molto: ci sono festival, libri, podcast, canali YouTube, sempre più giovani ricercatori si dedicano alla divulgazione usando i social media, e hanno avvicinato tante persone all’astrofisica e più in generale alla scienza. Servirebbe comunque più spazio nei media, più formazione per noi ricercatori su come comunicare, e soprattutto partire dalla scuola: insegnare la scienza come un’avventura, non come un insieme di formule da memorizzare. Il punto è che viviamo in un’epoca di grandi scoperte – dalle onde gravitazionali ai buchi neri fotografati – e il pubblico ha diritto di stupirsi insieme a noi. La meraviglia per l’Universo non dovrebbe essere un privilegio di pochi!
Che consiglio darebbe a una ragazza o a un ragazzo che sogna di diventare astrofisico?
Il mio primo consiglio è: segui la tua curiosità! L’astrofisica nasce dalla meraviglia di guardare il cielo e chiedersi ‘come funziona tutto questo?’ Se senti questa scintilla, coltivala. E mantieni viva questa curiosità: leggi, guarda documentari, segui canali divulgativi.
Poi bisogna pensare al punto di vista pratico: studiare matematica e fisica con passione è importante, sono alla base dell’astrofisica, sono gli strumenti di lavoro, come il pennello per un pittore; anche studiare l’inglese è fondamentale, è la lingua universale della scienza.
E quando si intraprende il percorso, bisogna essere resilienti e non farsi abbattere dalle difficoltà, quelle ci saranno sempre, l’importante è imparare ad affrontarle un passo alla volta. Perchè poi le soddisfazioni saranno bellissime!
C’è un aspetto del suo lavoro che la emoziona ancora come il primo giorno?
Si assolutamente! Andare ad osservare di persona ai telescopi! Stare sveglia di notte a fare le osservazioni per me o per i miei colleghi e capire veramente cosa significa osservare, nel mio caso i quasar, dal punto di vista scientifico e tecnico. È sempre stata una delle parti del mio lavoro che preferisco, fin da quando durante il corso di laurea magistrale andai ad osservare al piccolo telescopio di Loiano, sui colli bolognesi. Ho poi osservato a telescopi in tutto il mondo, Cile, Canarie, Arizona, Messico.. non mi stanco mai di questo! Mi piacerebbe immensamente osservare ad uno dei telescopi alle Hawaii, spero di riuscirci un giorno!
Se potesse osservare da vicino un oggetto dell’universo, quale sceglierebbe e perché?
Senza dubbio sceglierei di osservare da vicino l’orizzonte degli eventi di un buco nero supermassiccio – è il confine più misterioso dell’Universo! L’orizzonte degli eventi è quella linea invisibile oltre la quale nemmeno la luce può sfuggire. Rappresenta il limite estremo della nostra fisica: oltre quella soglia, le equazioni matematiche “si rompono”, smettono di dirci cosa succede. Cosa mi piacerebbe vedere? Prima di tutto, gli effetti relativistici estremi: il tempo che rallenta, lo spazio che si curva in modi impossibili da immaginare. Poi i getti di materia che vengono espulsi ai poli a velocità della luce. L’orizzonte degli eventi è il posto dove gravità, tempo e spazio diventano protagonisti di uno spettacolo che sfida ogni nostra intuizione. Il laboratorio di fisica più estremo che esista!
Agenzie spaziali e aziende private, come SpaceX, stanno lavorando per renderepossibile una missione umana su Marte nei prossimi anni. Cosa significherebbe per l’umanità in chiave scientifica?
Una missione umana su Marte sarebbe un passo storico, paragonabile allo sbarco sulla Luna ma su una scala ancora più grande. In chiave scientifica significherebbe poter studiare Marte direttamente, con la capacità che solo gli esseri umani hanno: raccogliere campioni complessi, installare strumenti sofisticati, esplorare zone difficili da raggiungere con i rover. Potremmo rispondere a domande fondamentali: Marte ha mai ospitato forme di vita? Qual è stata la sua evoluzione geologica e climatica?
Inoltre, ogni progresso tecnologico per andare e sopravvivere su Marte avrebbe ricadute anche sulla Terra: dallo sviluppo di energie sostenibili ed efficienti, a nuove soluzioni per il riciclo dell’acqua, ai progressi in medicina e robotica, allo sviluppo di materiali innovativi. Sarebbe insomma un salto in avanti non solo per la conoscenza scientifica, ma anche per l’innovazione globale. In fondo, esplorare lo spazio è sempre stato anche un modo per migliorare la vita qui a casa nostra.
Giochiamo con i numeri, Voyager 1, lanciata 47 anni fa (il 5 settembre 1977), è ancora operativa e si trova a oltre 24 miliardi di chilometri dalla Terra, diventando l’oggetto costruito dall’uomo più distante dal nostro pianeta. Attualmente, un segnale radio impiega più di 22 ore per raggiungere la sonda e viceversa, dimostrando la sua incredibile distanza. E’ diventata la prima sonda a entrare nello spazio interstellare, superando l’eliosfera, la bolla protettiva del Sole. Tuttavia nonostante sia in viaggio che dura da 47 anni, se rapportato alla velocità della luce è come se fosse partita meno di un giorno fa. Ci aiuti a capire meglio questo tipo di spazio tempo.
Voyager 1 ci sembra lontanissima: è l’oggetto costruito dall’uomo più distante, a oltre 24 miliardi di chilometri dalla Terra. Eppure, se rapportiamo questo viaggio alla velocità della luce, scopriamo che non è andata poi così lontano: la sua distanza equivale a poco più di 22 ore luce, cioè meno di un giorno se la luce partisse dalla Terra. Per confronto, la stella più vicina a noi, Proxima Centauri, dista 4,2 anni luce: quindi Voyager, in 47 anni, ha percorso una frazione piccolissima della distanza che separa la Terra da una qualsiasi altra stella. Questo ci fa capire quanto l’Universo sia enorme e quanto i nostri viaggi spaziali siano ancora agli inizi.
Se l’Universo fosse come un viaggio intorno al mondo, in 47 anni Voyager avrebbe fatto appena un passo fuori dalla porta di casa.
Qual è la stella più vicina alla terra dopo il sole?
La stella più vicina a noi dopo il Sole è Proxima Centauri, una piccola nana rossa a circa 4,2 anni luce di distanza che fa parte del sistema Alpha Centauri. Attorno a Proxima Centauri sono stati scoperti almeno due pianeti, uno dei quali (Proxima b) si trova nella cosiddetta “zona abitabile”, dove le condizioni potrebbero teoricamente permettere la presenza di acqua liquida.
La nostra galassia è la via Lattea. Quante stelle contiene e quanti pianeti ci sono? E nell’universo visibile si stima che vi siano quante galassie?
La nostra galassia, la Via Lattea, contiene centinaia di miliardi di stelle. Se provassimo a contarle una al secondo, ci vorrebbero migliaia di anni per arrivare alla fine. E quasi ogni stella ha almeno un pianeta: questo significa che nella nostra galassia ci sono probabilmente più mondi di quanti granelli di sabbia ci siano su tutte le spiagge della Terra. E non è finita: l’universo visibile contiene centinaia di miliardi di galassie, ognuna con miliardi di stelle e pianeti. In pratica, ogni volta che guardiamo il cielo, dovremmo pensare che quei puntini luminosi sono solo una piccolissima parte di un immenso oceano cosmico.

Per lei quante probabilità ci sono che da qualche parte nell’universo vi sia presenza di vita?
La faccio breve: se fossimo davvero soli tra tutti quei miliardi e miliardi di pianeti, stelle e galassie direi che sarebbe un enorme spreco di spazio.
La terra ha una “data di scadenza”? Qual è?
Sì, la Terra ha diverse ‘date di scadenza’ a seconda di cosa intendiamo per ‘fine’. La scadenza più drammatica arriverà tra circa 5 miliardi di anni, quando il Sole, evolvendo, si trasformerà in una gigante rossa. Aumenterà di tantissimo le sue dimensioni, inghiottendo Mercurio, Venere e forse anche la Terra. Anche se il nostro pianeta sopravvivesse, diventerebbe un mondo arido e inabitabile. Ma molto prima, tra circa 1 miliardo di anni, il Sole diventerà gradualmente più luminoso (del 10% circa), e questo sarà sufficiente per far evaporare tutti gli oceani terrestri. La vita come la conosciamo non potrà più esistere. Tuttavia, questa prospettiva cosmica non ci tocca così da vicino. Un miliardo di anni fa sulla Terra c’erano solo organismi unicellulari. L’uomo moderno esiste da appena 300.000 anni. Le ‘scadenze cosmiche’ sono così lontane che la vera sfida è prenderci cura del nostro pianeta oggi, per le generazioni future. Sappiamo benissimo che la minaccia più concreta e preoccupante sono i cambiamenti climatici causati dall’attività umana, che stanno trasformando il nostro pianeta proprio ora. Stiamo già vedendo uragani sempre più feroci, tempeste tropicali in zone dove prima erano rare, ghiacci polari che si sciolgono e barriere coralline che muoiono a ritmi allarmanti. Questi non sono scenari futuri: stanno accadendo oggi e potrebbero rendere ampie parti della Terra inabitabili nel giro di decenni o secoli, non miliardi di anni.
Infine, qual è il motto che scandisce la sua vita?
Non credo di avere un motto solo che scandisce la mia vita, o almeno non ci ho mai pensato…Sono più una tipa da citazioni di film/libri, e le uso per descrivere ogni momento!

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