“Diagnosi precoce e nuove tecnologie: così cambia la vita dei giovani con diabete”

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Al centro la dottoressa Addis

Intervista alla dottoressa Claudia Addis, diabetologa pediatrica dell’Asst di Lecco

“La ricerca sta compiendo passi enormi: l’auspicio è che un giorno si potrà convivere con la malattia senza aver bisogno delle infusioni di insulina”

LECCO – Il diabete in età pediatrica è una realtà in crescita che richiede consapevolezza, informazione e una corretta gestione quotidiana. Per comprendere meglio la situazione sul nostro territorio e i progressi della ricerca, abbiamo intervistato la dottoressa Claudia Addis, diabetologa pediatrica dell’ASST di Lecco, che da anni segue bambini e ragazzi affetti da diabete di tipo 1 e le loro famiglie.

Diabete in età pediatrica: quali sono le statistiche sul nostro territorio (provincia di Lecco)?
In Regione Lombardia, i dati aggiornati al 2017 indicano un’incidenza del diabete di tipo 1 di circa 20 casi ogni 100.000 abitanti, nello specifico 14-16 casi per la nostra provincia. È un dato sovrapponibile alla media nazionale, mentre in Sardegna si registra l’incidenza più alta d’Italia. Si tratta però di dati che non riguardano esclusivamente l’età pediatrica (0-18), ma comprendono anche esordi fino ai 35 anni. Il diabete di tipo 1 nasce da una predisposizione genetica, ma per manifestarsi richiede anche un fattore esterno che avvia un processo autoimmune. All’Ospedale di Lecco si osservano ogni anno in media cinque/ sei nuovi casi di diabete di tipo 1, con picchi che in alcuni anni hanno raggiunto anche i dodici esordi. L’andamento nella nostra esperienza non è variato con il Covid.

C’è una fascia di età particolarmente rappresentata per l’esordio?
Sì, ci sono due fasce d’età in cui l’incidenza è più elevata. Il primo picco si registra in età prescolare, quindi nei bambini sotto i cinque anni, mentre il secondo si presenta tra i dieci e i quattordici anni.

Diabete di tipo 1 e diabete di tipo 2: come si distinguono?
Nel mondo, circa l’90% dei casi di diabete è di tipo 2 e riguarda prevalentemente gli adulti, spesso in sovrappeso o con abitudini alimentari scorrette. Il restante 10% è di tipo 1, e di questi il 90% interessa bambini e adolescenti.

Le due forme si distinguono per la causa: nel diabete di tipo 1 c’è una predisposizione genetica e un successivo processo autoimmune, scatenato probabilmente da fattori esterni come infezioni virali, che porta alla distruzione delle cellule pancreatiche produttrici di insulina. Nel diabete di tipo 2, invece, l’organismo produce insulina ma le cellule diventano resistenti alla sua azione.

Se immaginiamo l’insulina come una chiave che apre la serratura delle cellule per far entrare il glucosio, nel diabete di tipo 1 la chiave manca del tutto, mentre nel tipo 2 la serratura non funziona bene.

Quali sono le cause del diabete?
Nel diabete di tipo 1 la causa è un processo autoimmune che ha bisogno per insorgere di una predisposizione genetica su cui interviene un fattore ambientale, in causa anche infezioni virali stagionali. Spesso i nuovi casi si presentano a grappoli, come “le ciliegie: uno tira l’altro”. A differenza di altre patologie, non esiste un modo per prevenirlo.

Il diabete di tipo 2, invece, è legato a cattive abitudini alimentari, sedentarietà e obesità. L’Italia considera oggi l’obesità una vera e propria malattia e non più una semplice condizione, poiché comporta una serie di alterazioni metaboliche, tra cui anche l’insorgenza del diabete.

Quali sono i sintomi del diabete in età  pediatrica e a cosa bisogna prestare attenzione?
I sintomi del diabete sono abbastanza riconoscibili ma possono trarre in inganno, perché simili a quelli di altre malattie dell’infanzia. I segnali principali sono il bisogno frequente di urinare, la sete intensa e la perdita di peso nonostante l’appetito rimanga buono.

Il meccanismo è semplice: il glucosio non riesce a entrare nelle cellule perché manca l’insulina, quindi resta nel sangue. Il rene tenta di eliminarlo con le urine, ma così facendo perde anche molta acqua e provoca disidratazione, che induce il bambino a bere di più. Quando le cellule non ricevono più glucosio, l’organismo comincia a bruciare i grassi, producendo corpi chetonici.

Se i sintomi non vengono riconosciuti in tempo, si può arrivare a una condizione grave chiamata chetoacidosi diabetica, con acidificazione del sangue, vomito, respiro accelerato e alterazione dello stato di coscienza. È una situazione di emergenza (rischio vita) che richiede intervento immediato.

Claudia Addis
La dottoressa Addis con Lino, il pupazzo che l’associazione regala ai bambini, ha sul suo corpo indicati i siti di iniezione dell’insulina

Una volta che la patologia è insorta, come si convive con il diabete?
Fortunatamente esiste una terapia efficace, basata sulla somministrazione di insulina. Oggi i pazienti possono utilizzare penne o microinfusori, strumenti che semplificano molto la gestione quotidiana. L’insulina basale copre il fabbisogno giornaliero, mentre dosi aggiuntive vengono somministrate in base ai pasti o ai livelli di glicemia.

Per il diabete di tipo 2 la gestione prevede uno stile di vita sano, attività fisica e, se necessario, farmaci per via orale.

Molti genitori chiedono cosa i loro figli possano o non possano fare. La risposta è semplice: possono fare tutto. Esistono alcune limitazioni solo per attività particolarmente rischiose, come l’alpinismo in solitaria o le immersioni subacquee, ma per il resto i bambini possono praticare sport, viaggiare e condurre una vita normale. Un ragazzo seguito dal nostro centro, ad esempio, gioca nella nazionale di rugby.

Nei campi scuola organizzati per i giovani diabetici si comprende quanta forza e spensieratezza abbiano questi ragazzi nel gestire la loro condizione. Se si curano con attenzione e responsabilità, non hanno limiti.

Qual è la difficoltà più grande che incontrano le famiglie?
La difficoltà maggiore riguarda spesso la scuola. Oggi la situazione è molto migliorata rispetto al passato. Durante la pandemia abbiamo sfruttato le piattaforme online per incontrare insegnanti e personale scolastico e spiegare loro come affrontare le esigenze dei bambini con diabete. La collaborazione tra scuola e famiglia è fondamentale e negli ultimi anni i progressi in questo senso sono stati notevoli.

Ci può parlare dell’importanza dello screening?
La legge 130 del 2023 ha istituito uno screening nazionale rivolto ai bambini e ragazzi da 0 a 17 anni per individuare precocemente celiachia e diabete. Quattro regioni pilota, tra cui la Lombardia, hanno partecipato al progetto . I pediatri hanno invitato  i bambini di 2, 6 e 10 anni ad effettuare un piccolo prelievo di sangue dal dito, poi analizzato in laboratori specializzati ( San Raffaele di Milano) per la ricerca di autoanticorpi.

Il risultato più importante è stata la riduzione dei casi di esordio in chetoacidosi, già prima che lo screening partisse in maniera effettiva, questo grazie all’attività informativa dei pediatri che hanno spiegato alle famiglie i sintomi e l’importanza dei controlli precoci. Questo dimostra quanto sia potente l’informazione.

Dal 2022, inoltre, è stato approvato negli USA un anticorpo monoclonale in grado di ritardare la progressione della malattia. Nei soggetti con prediabete, ovvero con anticorpi positivi e valori glicemici alterati ma ancora capaci di produrre insulina, il trattamento ritarda di circa due anni l’esordio della patologia. Si somministra per via endovenosa per quattordici giorni e può essere utilizzato dagli otto anni in su, ma in Italia può essere prescritto ancora solo a scopo compassionevole, in attesa di una autorizzazione degli organi competenti.

C’è ancora il luogo comune che lega il diabete all’assunzione di dolci. Può spiegarci come stanno le cose e in cosa consiste la “conta dei carboidrati”?
Nel diabete di tipo 1 non esiste alcuna responsabilità individuale: non è causato dal consumo di dolci e non poteva essere evitato. Il bambino diabetico deve semplicemente seguire un’alimentazione equilibrata come tutti gli altri, evitando eccessi di zuccheri semplici e alimenti molto processati.

Non ci sono cibi proibiti. Il bambino può partecipare alle pizzate o alle feste di compleanno e mangiare la torta, purché impari a gestire le quantità e la terapia. La “conta dei carboidrati” è una metodologia che insegna a riconoscere la quantità di carboidrati contenuta nei diversi alimenti e a calcolare la dose di insulina necessaria in base a ciò che si mangia. È un approccio che restituisce libertà e responsabilità.

Oggi la ricerca e la tecnologia hanno fatto grandi progressi. Crede che arriveremo a non dover più somministrare insulina dall’esterno?
La ricerca sta compiendo passi enormi. Sul piano tecnologico, i microinfusori e i sensori glicemici di nuova generazione sono sempre più precisi, performanti e facili da usare. Consentono di ridurre il numero di punture e di migliorare la qualità della vita dei bambini. Oggi, per esempio, un set di infusione durando tre giorni evita al paziente le circa 15 iniezioni che avrebbe dovuto compiere in terapia multiniettiva. La possibilità di comunicazione tra il microinfusore e il sensore che misura la glicemia crea una sorta di “pancreas artificiale”.

Anche sul fronte della prevenzione e della cura si registrano sviluppi promettenti. Nell’agosto 2025 è stato annunciato il primo  trapianto di cellule pancreatiche  modificate geneticamente , capaci di produrre insulina senza essere riconosciute dal sistema immunitario e quindi senza necessità di terapia immunosoppressiva. È un piccolo passo, ma molto importante, verso la possibilità di una cura definitiva.