LECCO – “Con il taglio del 50% del diritto annuo versato dalle imprese sono a rischio gli interventi di sostegno dello sviluppo delle economie dei territori e alcune migliaia di posti di lavoro” è quanto afferma l’RSU della Camera di Commercio di Lecco in merito alla riforma del sistema camerale attuata dal Governo Renzi.
Dati alla mano, risulta che l’incidenza del Sistema Camerale sulla spesa pubblica nazionale è dello 0,2% mentre le Camere di Commercio valgono appena lo 0,2% dei costi del personale pubblico in Italia contro il 56,2% delle Amministrazioni Centrali.
“Nonostante il gradimento delle imprese per l’operato delle Camere di Commercio, testimoniato da numerosi studi a livello nazionale e locale, il Governo Renzi ha deciso di ridimensionare fortemente il ruolo delle Camere” hanno dichiarato Egidio Silvio Longhi e Daniele Rusconi che hanno poi voluto ricordare come l’art. 28 del D.L. 90/2014 prevede, a partire dal 2015, la riduzione del 50% del diritto annuale pagato dai soggetti iscritti al Registro delle Imprese alle Camere di Commercio: “Le stime di cui disponiamo portano a quantificare in circa 400/500 milioni di Euro i proventi che verranno complessivamente a mancare al Sistema camerale. Inoltre, sulla base di alcuni recenti studi di Unioncamere e CGIA di Mestre, è possibile stimare che dalla novità normativa potrebbe scaturire un effetto recessivo quantificabile in 2,5 miliardi di Euro.”
Per la Camera di Lecco i minori introiti ammonteranno a circa 2,5 milioni di Euro a fronte di proventi correnti che annualmente sono pari a circa 7,6 milioni di Euro.
La crescente preoccupazione espressa riguarda il fatto che, per consentire un risparmio medio per impresa pari a 100 Euro, “i tagli metterebbero a rischio le numerose attività che le Camere di Commercio gestiscono per legge”.
“Se l’intento del Governo è quello di garantire un maggior livello di competitività, riducendo i costi sostenuti dai soggetti privati e rendendo più efficace e meno “burocratica” l’organizzazione pubblica italiana, per quale ragione ridurre un tributo finalizzato a sostenere le nostre produzioni in Italia e all’estero?” si domanda rammaricata l’RSU “perché non immaginare una riduzione dell’IRAP o degli oneri sociali e una riforma che assuma a modello quelle Organizzazioni che più di altre hanno dato prova di saper fare bene?”
La domanda che si prefigura è dunque se davvero la riforma della Pubblica Amministrazione italiana possa fare: a meno del contributo che il Sistema Camerale è in grado di fornire alla modernizzazione del Paese, senza contare il problema occupazionale relativo “all’ombroso destino che spetta ai circa 11.000 addetti del sistema camerale italiano”.
A fianco delle Camere di Commercio si schiera anche la Fp Cisl Monza Brianza Lecco, contraria alla riforma: “La Camera di Commercio è, all’interno della pubblica amministrazione, tra le più tecnologicamente avanzate e possiede la banca dati delle imprese aggiornata in tempo reale su tutto il territorio nazionale: uno strumento preziosissimo per la trasparenza degli operatori del mercato e fonte di dati certi ed aggiornati per le pubbliche amministrazioni inclusa la giustizia – ha dichiarato Franca Bodega, aggiungendo -da molti anni si cerca di riformare la Pubblica Amministrazione. La riforma è assolutamente prioritaria per far ripartire il Paese. Ci hanno provato, in vent’anni, Tremonti, Brunetta, Sacconi, D’Alia con riforme rimaste a metà o nemmeno partite. Non si può perdere tempo, ma una riforma apprezzabile non può partire dagli strumenti per costruire poi i progetti.”