MANDELLO – “Un giorno, sul computer, ricevetti una lettera da padre Antimo Villano, un mio confratello già missionario nelle Filippine che era ricoverato presso la nostra casa di Lecco”. Inizia così la lettera scritta in questi giorni agli amici da padre Mario Marazzi, missionario mandellese.
Ricorda quel suo confratello, nel frattempo scomparso, che in risposta a un suo scritto affermava: “Sono grato per questo computer supertecnologico che la Regione Lombardia provvede ai malati di sclerosi laterale amiotrofica, che non hanno altro modo di comunicare. Mi sono rimasti soltanto gli occhi e con quelli sto scrivendo questo messaggio. Ho la possibilità di leggere libri contenuti in questo computer, navigare in Internet. Se qualcuno mi telefona ascolto, ma non posso rispondere… Nonostante i disagi della malattia, sono sereno perché il Signore mi dona la forza di accettare e offrire a Lui il mio stato, pensando che sono sempre missionario anche se inchiodato in un letto e chiuso fra quattro mura…”.
Padre Mario spiega che da un anno e mezzo si trova nella casa dei Missionari del Pime e premette che, come padre Antimo, si sente “sempre missionario, anche se c’è un’abissale differenza tra la sua condizione di allora e la mia di adesso”.
E’ a Hong Kong, padre Marazzi, e non nasconde che a volte lo assale la nostalgia “per la vita semplice che ho avuto la gioia di condividere con i ragazzi disabili della casa famiglia di Huiling a Guangzhou”.
“Altre volte – si legge nella sua missiva – sogno di poter essere in una parrocchia di Hong Kong a contatto con la gente, come i miei confratelli più giovani. Alla fine sono grato al mio Istituto che mi offre un ambiente accogliente dove passare l’ultimo (o il penultimo?) periodo della mia vita. Dalle finestre della mia camera guardo il mare e con la mente rivedo la nave che 54 anni fa mi portò in questo lembo di terra. Quanti motivi di gratitudine a Dio e a tante persone per ciò che è avvenuto in questi cinque decenni e mezzo!”.
Padre Marazzi spiega quindi quella che attualmente è la sua vita a Hong Kong. “Esco quasi tutte le domeniche a celebrare l’Eucaristia in differenti chiese a seconda del bisogno. Ma, ahimè, dopo tanti anni di vita qui sono di nuovo alle prese con la lingua cinese. Sarà un po’ colpa della memoria che non è più quella di un tempo, fatto si è che preparare l’omelia domenicale è un esercizio che m’impegna. Col tempo la lingua s’impara, ma cercare di essere quanto più possibile cinese con i cinesi è un esercizio che non finisce mai, un tratto del nostro cammino di conversione…”.
La lettera del missionario nativo di Varenna continua così: “Anche alla Pime house, la casa dove vivo, a contatto con i miei compagni missionari scopro “quanto è bello e soave che i fratelli abitino insieme” (salmo 133). Ma scopro anche che la fraternità è qualcosa da costruire – o ricostruire – giorno dopo giorno, perché ogni giorno ci può essere qualcosa che mina la convivenza e ogni giorno occorre ricominciare da capo. Sia nella casa famiglia di Guangzhou sia alla Pime house di Hong Kong occorre essere disposti a pagare di persona perché sia mantenuta l’unità”.
Quindi l’ultimo pensiero: “Grazie di avermi accompagnato in tanti modi durante quest’ultimo anno. Chiedo una preghiera per la “mamma” dell’ultima casa famiglia dove sono vissuto a Guangzhou, che a Pasqua riceverà il Battesimo. Dite una preghiera anche per me, che non venga mai meno all’impegno di amare e servire gli altri”.