LECCO – Ho letto con grande attenzione la lettera che Sergio Bellavita, ex Segretario FIOM Nazionale, ha scritto in relazione alle vere ragioni per cui sarebbe stato dimesso.
Non sono mai stato vicinissimo alle posizioni politico sindacali di Bellavita, nemmeno quando ero in FIOM, dal punto di vista ideale ero e sono più attratto dalle persone di Landini e di Airaudo, non nascondo che hanno sempre esercitato su di me una attrattiva e generato una appartenenza.
Però, le questioni che solleva Bellavita nella sua lettera, non possono essere declassificate o derubricate come semplici scaramucce interne. Sollevano interrogativi che devono ricevere risposte chiare ed inequivoche da parte del Segretario Nazionale della FIOM Maurizio Landini. Devono, perché qui si tratta degli elementi basilari su cui si fonda una qualsiasi organizzazione che professa e propugna la difesa degli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori, incardinata profondamente con la loro condizione di cittadine e cittadini, certamente non destinatari di privilegi e di condizioni particolarmente favorevoli, anzi.
Mi pare che Bellavita sollevi prioritariamente la questione del diritto di cittadinanza al dissenso, non è una questione da poco. Qualsiasi associazione umana, per essere feconda e proficua non può prescindere dall’accoglimento e dalla valorizzazione delle posizioni differenti dalla corrente generale.
Quante volte i grandi cambiamenti hanno preso avvio da posizioni di nicchia, dalla testardaggine di chi, pur conscio di rappresentare una minoranza e di incarnare una solitudine a volte lacerante, ha continuato a credere nelle proprie idee e a tentare con ogni mezzo lecito e democratico di testimoniarle.
E quante volte queste idee sono risultate decisive perché la parte numericamente maggioritaria, ha saputo intelligentemente ascoltare, accogliere e valorizzarne i contributi. Senza presunzione, senza autoritarismi inutili e dannosi, ma solo perché consapevoli che da ciascuno può arrivare un contributo prezioso e perché sufficientemente umili da non ritenere inappellabile il proprio pensiero.
Se questo circolo virtuoso si guasta è un guaio, si diventa autoreferenziali e si procede come treni su binari che sono già morti e si imbarcano soltanto i passeggeri che vanno nella stessa direzione del macchinista.
E’ la fine non solo della democrazia e l’anticamera dell’autoritarismo, anche di quello che si presenta non cruento e apparentemente dolce, è la sconfitta conclamata dello spirito, individuale prima e collettivo poi, che sostiene e corrobora i pensieri e le azioni delle donne e degli uomini che liberamente hanno deciso di mettere a disposizione di tutti il proprio impegno e le proprie capacità.
E’ la fine della libera, bella e gratuita iniziativa personale che confluisce, per mille rivoli, nell’iniziativa collettiva che genera cambiamenti.
E’ la fine del fine ultimo dell’esistenza di ciascuno di noi, essere inseriti ciascuno nel proprio contesto e in grado di contribuire alla sua evoluzione.
Mi ritrovo in diverse considerazioni che Bellavita fa nella sua lettera, particolarmente in quelle più propriamente sindacali, ma non mi interessa affrontarle ora e qui. Però esistono, eccome se esistono, e prima o poi dovranno essere affrontate e coltivo la speranza che la maggioranza intelligente, che spero sappia umilmente ascoltare le tantissime voci di dissenso che emergono anche nella nostra Organizzazione, riesca a proporre percorsi di inclusione credibili, affidabili ed efficaci.
Insieme e solo insieme potremo continuare a contribuire alla crescita vicendevole e globale, i procedimenti di esclusione, i tentativi di anestetizzazione delle coscienze meno omologate, sono solo dannosi. Per tutti e per ciascuno.
Tore Rossi – Lecco, 5 ottobre 2012