LECCO – “Il dibattito esploso in questi giorni, che vede coinvolti numerosi sindaci del nostro territorio, a seguito della richiesta di Holcim Italia di procedere ad un piano di ristrutturazione industriale che prevede anche un elevato ricorso della cassa integrazione, fa emergere un dato inequivocabile: il nuovo Piano Cave della provincia di Lecco è abortito prima ancora di nascere. Figlio di divisioni interne alla maggioranza dell’Amministrazione provinciale e sottoposto a veti politici e pressioni vetero-ambientaliste, ha mancato al suo vero obiettivo: quello di essere uno strumento di reale programmazione del territorio, capace di coniugare esigenze di sviluppo economico ed occupazione con la necessaria tutela e valorizzazione del patrimonio provinciale in un’ottica di prospettiva”.
E’ molto duro il commento con cui Mario Sangiorgio, già presidente di ANCE Lecco e componente della Commissione Cave della Provincia, si esprime sul nuovo Piano Cave varato dall’Amministrazione provinciale: “Ancora una volta si è scelto di non scegliere. Ci si è fatti guidare nelle decisioni dall’onda lunga della piazza, senza riflettere e ponderare sulle conseguenze che avrebbero potuto determinarsi. Ci troviamo così di fronte ad uno strumento peggiorativo rispetto al Piano precedente in cui di fatto si sostiene che le risorse naturali, cioè la materia prima, esistenti sul territorio non vanno toccate, sia che si tratti di ghiaia e sabbia, sia che si tratti di marna, con poche eccezioni. E ciò senza pensare alle ripercussioni sull’economia delle industrie del settore e sulle famiglie che in queste aziende lavorano, né alle esigenze reali del settore delle costruzioni, che seppur oggi in crisi, penso che tutti si debbano augurare che si possa riprendere a breve-medio termine”.
“Ora che tutto è ormai deciso ci si mette a discutere. – afferma ancora Sangiorgio – Forse lo si sarebbe dovuto fare prima, quando c’erano tutte le condizioni per una riflessione che fosse realmente all’insegna della programmazione territoriale e senza pregiudizi. Anche perché il blocco dell’attività estrattiva determina un’altra conseguenza di cui nessuno ha ancora sino ad oggi parlato: l’arresto, di fatto, di tutti i possibili interventi di riqualificazione territoriale attraverso il conferimento di terre e rocce da scavo, che abbiamo dimostrato in questi anni di poter condurre in modo efficiente, economico e regolamentato, restituendo alla fruizione della collettività aree degradate. Interventi che in concreto hanno anche dato una risposta concreta alle esigenze di conferimento da parte del nostro settore”.
“Se anche poi, al termine di un serio confronto, si fosse approdati alla soluzione nei fatti assunta dal Piano Cave, quanto meno ciò sarebbe stato l’esito di un percorso meditato, in cui tutti gli elementi sarebbero stati attentamente considerati nei risvolti economici, sociali e ambientali. L’occasione, invece, è stata persa per tutto il nostro territorio”.